Ultimo appuntamento con il Mondo Chiarista

In Calabria, ad esempio, incontriamo la personalità di Antonio Amodeo (1915-1999) autore di una pittura chiara e luminosa, di semplice impianto compositivo e definita da una fine sensibilità ispirativa che traduce in forme di composta sobrietà tonale una semplicità dell’animo che rivela in tralice una misura di ‘innocenza’ contenutistica, come ci rivelano le sue composizioni soprattutto di Paesaggio, di cui additiamo un pregevole esemplare che si apparenta alla pratica figurativa del salernitano Francesco Brancaccio di cui proponiamo un Paesaggio salernitano datato al 1952.

Ci sembra convincente sottolineare, peraltro, la prossimità che queste opere rivelano con le modalità d’intervento della pittura di artisti come De Grada, ad esempio, al cui Boschetto, precedentemente richiamato esse sembrano apparentarsi. È un ulteriore elemento di prova, anche questo, di quella circolarità ampia e diffusa che riesce ad assumere questa pittura di cui an- diamo delineando una possibilità di perimetrazione critica, giustificabile nel segno delle ragioni ‘chiariste’, in una prospettiva di ‘lirismo critico’.

Rientra senz’altro in questo clima anche la personalità di Nunzio Bava (1906-1994), artista calabrese, che propone una pittura delicatamente schiarita, rivelandosi capace di mettere in evidenza le sue peculiarità creative in compitazioni (Paesaggio agreste, Ulivi), che si presentano di godi- bile delibazione tonale, ed in cui l’ordito compositivo provvede a costruire la consistenza impalpabile di una luminescenza ovattata.

Sarà poi utile prendere in esame la pittura di una artista siciliana, di cui abbiamo già dato cenno, Maria Grazia Di Giorgio, nata a Palermo nel 1910, allieva di Adele Giarrizzo Huber, che attraversa un processo evolutivo, al cui interno può riconoscersi una vocazione che noi abbiamo definito “di vivida carica espressionistica”56, ma che scavalca le note d’impostazione ‘novecentista’.

Tale processualità evolutiva si manifesta con una modalità d’intervento in cui, come sostiene Laduca, appare “una struttura compositiva meno architettonicamente costruita, più mobile nell’impaginazione della scena come nella stesura cromatica, che si dispone ora a brevi macchie di colore grumoso”57.

Di grande interesse appaiono alcune sue opere in particolare, come ad esempio, quella già richiamata de Il convento, presentata alla ‘VII Mostra d’Arte del Sindacato interprovinciale fascista Belle Arti di Sicilia’ del 1936, ed una Veduta, in cui la luce sfalda, di fatto, la misura compositiva della scena, lasciando che il colore disegni il profilo delle cose. Intriganti, peraltro, ci sembra di poter dire, si manifestano le prossimità compositive che possiamo additare tra questa Veduta della Di Giorgio ed i dipinti di Gaetano. Bighignoli, Il fiumicino e di Savino Labò, Paesaggio del Lago Maggiore, su cui abbiamo precedentemente lasciato planare la nostra attenzione.

Una sottolineatura merita, ancora, a nostro giudizio, la pittura di Leo Castro, nativo di Corleone (1884-1970), che conferisce, soprattutto nelle sue vedute di Paesaggio, una particolarissima luce alle scene che egli raffigura, una luce che si rivela essere meridiana senza proporsi, però, violentemente solatia, ma quasi attraversata di una sottile velatura che non copre le cose, nascondendole alla nostra attenzione, e le rivela, invece, secondo una visione impermanente e diafana, ottenendo, per altra via, evidente- mente, un effetto luministico apparentabile alle opalescenze lagunari.

L’artista è stato allievo di Francesco Lojacono ed è rimasto piuttosto insensibile alle sollecitazioni della temperie ‘novecentista’, ritagliandosi una profilatura fatta di pacatezza di afflati nutriti di intima sensibilità.

Sono, comunque, esperienze visive e psicologiche che alcuni artisti hanno saputo trovare consentanee con la propria sensibilità, traendo- ne ispirazione e motivo di felice rappresentazione di un orgoglio della coscienza che sceglie di rimanere in qualche modo in disparte, curando nell’intimità dell’esistenza la forza morale della propria consapevolezza di pensiero, un pensiero fortemente schierato su una linea di inflessibile serietà, quella di un ‘lirismo critico’ così perfettamente rispondente, peraltro, agli intendimenti paradigmatici tracciati da Persico per i suoi ‘cinque’ di Milano, ma ragionevolmente estensibile in più dilatata consapevolezza storiografica e critica.

Abbiamo potuto osservare, infatti, come un largo sentire di ordine ‘chiarista’ si sia diffuso in Italia, a partire dagli anni tra le due guerre mondiali, espandendosi nel tempo fino ai decenni del secondo cinquantennio del ’900. Si è proposta, in tal modo, una temperie di varia estensione e ‘categorialmente’ definita, al cui interno le peculiarità storiche ‘regionali’ hanno potuto lasciare agire il portato di un pregresso che va, per intenderci, dalle sensibilità romantico-scapigliate dei Lombardi, a quelle ‘macchiaiole’ dei Toscani, a quelle ‘naturaliste’ dei Napoletani. Per effetto di tutto ciò, quell’intendimento di ordine ‘filosofico’, che è stato giustamente riconosciuto come il fondamento identitario alla cui stregua Edoardo Persico ha saputo modellare il gruppo primigenio ‘chiarista’ assume le caratteristiche proprie di una sensibilità creativa che, nel nome della innocenza e della mitezza, sa farsi voce avvertita di fine ‘lirismo critico’.

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