Il disco che consacrò per sempre agli occhi del mondo Bruce Springsteen
Partiamo da qui, da questa canzone, per raccontarvi questa storia di musica, per celebrare una consacrazione definitiva avvenuta quaranta lunghi anni fa. Erano gli anni ’80, quei mitici ed irripetibili anni di cui, ancora oggi, ne sentiamo la mancanza, alle volte, come il pane. Non è solo esaltazione la nostra, no. È consapevolezza di un periodo che ha portato spensieratezza, fiducia ed ottimismo verso il futuro. Quello stesso futuro in cui siamo dentro da quasi venticinque anni ormai.
Non divaghiamo, comunque. Rimaniamo fermi e concentrati sull’obiettivo di questo lunghissimo speciale che si dipanerà da oggi fino ad una data particolare che non riguarda la nostra storia, semmai una storia, un’altra, che abbiamo sempre sentito parlare ma, questa volta, ve la raccontiamo in maniera molto ma molto diversa: attraverso il successo definitivo nel mondo delle sette note di un notissimo cantante americano, con discendenze per metà irlandesi e, addirittura, per metà napoletane.
Una storia musicale che ne ingloba anche un’altra, parallela e paradossale, ma sempre legata, in origine, all’uscita di questo disco avvenuta nel lontano 4 giugno del 1984. Ebbene sì, siamo partiti forse a metà del racconto per non dire anche dalla parte finale, per poi tornare indietro e non di molti anni. Quasi nove. Aspettate, non correte: vi ripetiamo che questa è una storia, musicale, degli anni ’80, sugli anni ’80, e di come, un tempo, nel mondo delle sette note, si ‘faticava assaje’, perdonateci l’espressione partenopea, sul come si raggiungeva alcune vette nella vita. Non come oggi.
Dunque c’è stato un tempo che il mondo delle sette note aveva già ottenuto due sovrani: Elvis Presely, prima, e Michael Jackson, poi. Ma in alcuni ambienti, in alcune convinzioni e generi musicali la figura del sovrano non basta. C’è bisogno di qualcosa di più. qualcosa che parta dagli angoli di strada, dall’entroterra di quella che un tempo veniva considerata della classe media.
L’esordio di questo giovane e talentuoso cantante folk con la chitarra, molto lontano dallo stile comunque di Bob Dylan, aveva già infiammato lo stato di appartenenza, il New Jersey. Dalla sua aveva avuto una percorso personale tutto particolare, problemi con il proprio padre, e chi non è ha, e nonostante le difficoltà sente che il territorio dov’è nato gli sta un po’ troppo stretto.
Suona in mezzo alla gente, nei locali, fonda delle piccole band ed ogni serata convince. Fino a quando, nel lontano 1973, esce con due long play. Non sono niente male, ma siamo ancora agli inizi, quindi, c’è bisogno di un terzo disco e che arriva due anni più tardi. La sua entrata nelle radio e nelle classifiche è come un tornado. La sua carica, i suoi testi, le sue sonorità riescono a fondere, in maniera molto ma molto naturale, tutte le tradizioni culturali e musicali degli Stati Uniti d’America. in sostanza, quel ragazzotto di provincia, della classica provincia americana, fatta di contee, di praterie e campi sterminati, di mondi dimenticati e caratteristici di un mondo che ci appartiene per certi versi, seppur lontano dalla nostra realtà, proponeva musica folk, raccontava storie a stelle e strisce ma era in tutto e per tutto un rocker.
Tre anni dopo al mitico 1975, il giovane del New Jersey, sempre con la sua chitarra e la voglia di raccontare storie di provincia, tornò con il suo quarto album. In quell’occasione qualcuno, non troppo esageratamente, parlò di capolavoro assoluto. Aggettivo che venne ripetuto anche due anni più tardi, con un doppio vinile che, a distanza di ben quarantaquattro anni, continuano a riecheggiare quelle sonorità folk mescolate ad una nostalgia comunque speranzosa.
Due anni più tardi siamo a sei, uscito nel settembre del 1982, il giovane cantautore americano è ancora considerato un talento emergente ma non il punto di riferimento di molti. Non ha ancora ottenuto la consacrazione che meritava.
Sempre in quello stesso anno, sempre il 1982, si narra che tornò in sala d’incisione quando ancora il suo sesto album, come avete appena visto, ancora doveva esser pubblicato. Tornò a registrare con l’unico obiettivo di scrivere il suo nome nella storia della musica e per essere, definitivamente, considerato come la nuova stella del rock americano e mondiale, solo che non si aspettava di esser considerato in un modo del tutto particolare.
Le raccolte di inediti come ‘Born to run’, ‘Darkness the edge of town’, ‘The River’ e ‘Nebraska’ gli avevano regalato la notorietà. Mentre i due dischi di esordio come ‘Greetings from Asbury Park, N.J.’ e ‘The Wild, The Innocent & The Street Shuffle’ erano bastati ad attirare l’attenzione su di sé. ma, anche se non era poco, non bastava per la consacrazione. Serviva un altro disco, serviva qualcosa che realmente scuotesse, al tempo stesso, critica e pubblico verso un unico giudizio unanime.
In quel lontano 25 gennaio del 1984, Bruce Springsteen, il suo nome lo abbiamo tardato di proposito per creare comunque un po’ di suspense, entrò negli studi di registrazione conosciuti come Power Station situati sulla 441 West 53 RD Street di Manhattan di New York per incidere quello che sarà, cronologicamente parlando, il suo settimo album della sua carriera. Non solo, non furono solamente questi gli studi di registrazione scelti per l’occasione. Il cantante si spostò, sempre nella Grande Mela, presso la cosiddetta Hit Factory.
Si presentò, dunque, con la sua band al completo. La E-Street Band, fondata diversi anni prima ed era composta, oltre che da lui, da Clarence Clemmons, Roy Bittan, Danny Federici, Garry Tallent, Steven Van Zandt, Max Weinberg, Richie ‘La Bamba’ Rosenberg e Ruth Davis.
Fino a quel momento, lo stesso Bruce Springsteen si era presentato con, all’attivo, come abbiamo già detto, ben sei dischi, per un totale di sessantaquattro canzoni, palleggiando sempre tra il genere sia rock e folk. Eppure, mancava ancora qualcosa. Mancava quel qualcosa che lo portasse più in cima di prima.
Le canzoni che fino adesso abbiamo condiviso da Youtube sono, precisamente, la seconda, la terza e la quarta traccia di questo settimo disco con sonorità sempre radicate nella sua essenza musicale, ma con elemento diverso e si intitolano: Cover me, Darlington County e Working on the Highway.