Nella notte tra il 21 ed il 22 giugno del 1964 vennero assassinati, nel Mississippi, tre attivisti per i diritti civili

Sul finire della seconda parte pensiamo di esser stati abbastanza chiari nell’esposizione, considerando il fatto che alcune dinamiche, di sicuro, sono state enfatizzate, romanzate o comunque inventate. Sta di fatto che nel film il gruppo della contea di Jessup del Ku Klux Klan vengono assicurati alla giustizia entro la fine di quell’estate del 1964 e nella realtà?  Diciamo che andò allo stesso modo, ma non proprio con le stesse tempistiche. Il processo finale per quell’atroce triplice delitto si chiuse quarant’uno anni più tardi; dunque, solamente nel 2005.

Cosa successe di particolare quasi venti anni fa? Si pose fine alla vicenda con la condanna dell’ultimo mandante di quegli efferati omicidi. Era stato condannato l’ultimo dei capi rimasti in vita, fino a quel momento, dei cavalieri bianchi dei suprematisti dello stato del Mississippi.  Nel film, però, ci sono altri momenti, altre scene che mostrano perfettamente l’aria che tirava in quegli anni.

Per esempio, quando i due agenti federali, all’interno di un locale, si accomodano accanto ai posti riservati ai neri, ancora: quando vanno a parlare con il pastore protestante della comunità afroamericana e si scopre che lui non parla per proteggere la propria famiglia ma, in via ufficiosa, è suo figlio ad aiutare i federali. Non solo, è attinente alla realtà il ritrovamento dell’auto dei ragazzi grazie ad un choctaw di una riserva indiana.

Ciò che non sembra vero o persino romanzato, fino all’estremo s’intende, sono gli scontri di idealismo e di prospettiva tra gli stessi due agenti inviati da Hoover sul modo di condurre l’indagine. Non si sa se effettivamente questo scontro così violento ci sia stato fra i due.

Come non si sa se effettivamente il reale sindaco della Contea di Neshoba si sia veramente suicidato per essersi sentito umiliato nel non aver visto o, peggio ancora, per non aver fatto nulla per fermare una situazione del genere. Perché  ‘Era colpevole… quando si vedono accadere queste cose e nessuno fa niente si è colpevole. Alla stessa stregua dei fanatici che hanno sparato. In fondo lo siamo tutti’ dice Alan Word nella scena in avviene il ritrovamento del cadavere del primo cittadino della Contea. È un momento quello che prelude al finale tanto significativo, quanto speranzoso, ma allo stesso tempo amaro.

Amaro per tutto quello che in realtà accadde. Amaro perché molti videro e non fecero nulla anche per paura. Amaro, perché nella terra dei sogni certe storie a simil incubi non te le aspetteresti nemmeno. Una morale, quella riportata sopra, che per alcuni poteva essere vista come retorica; per altri, invece, sono parole che colpiscono nell’animo umano e descrivono, per filo e per segno, cosa volesse significare essere neri in quegli anni in America e cosa, ancora adesso, significa esserlo.

Perché, in effetti, ‘che cosa significa un inalienabile diritto se sei un nero’ tuona uno dei predicatori in una chiesa durante la scena, straziante, del funerale di uno dei tre ragazzi dei diritti civili. Lo sceneggiatore non ci è andato leggero con le parole, ponendo l’accento di come la comunità nera non avesse problemi ad accettare la sepoltura dei due ragazzi bianchi nei loro cimiteri, ma lo stato del Mississippi per quanto riguarda il ragazzo nero non lo avrebbe mai e poi mai concesso.

Nella scena dell’estremo saluto c’è tutta l’essenza di ‘mea culpa’ di una nazione che cercava già, in quel 1988, di far pace con il proprio passato, autodenunciandosi al mondo intero; come ha cercato di fare venti anni più tardi alla realizzazione di questo film con l’elezione di Barack Obama. Ma la questione razziale sarà sempre in prima linea ed avrà sempre l’effetto di un boomerang per la stessa nazione americana.

Significativo, dicevamo. Si, perché ‘Mississippi Burning – Le radici dell’odio’ è un’opera cinematografica che si pone come un punto di rottura rispetto alle altre sul tema. Rappresenta un pugno nello stomaco verso chiunque, anche in patria, crede nel sogno americano. Un sogno trasformatosi in un incubo per le etnie che hanno subito sistematicamente determinati tipo di atto.

Significativo, per il semplice motivo che ogni scena, ogni inquadratura, ogni battuta interpretata racchiude in sé una moltitudine di messaggi, espliciti ed impliciti. È un confronto-scontro non solo tra due modi di pensare sul come affrontare determinati casi spinosi, come abbiamo visto. Non solo.

È un confronto-scontro tra lo Stato del Mississippi, o l’intero Profondo Sud, ‘Con il resto dell’America che non conta niente’, anche se nel film viene usata un’espressione ancor più colorita, e far scoprire, seppur con una metafora, che il gioco del baseball, semmai venisse usato da un afroamericano, sarebbe ‘l’unica volta in cui un nero può stare davanti un bianco senza rischiare la pelle’.

Significativo perché viene mostrato il lato peggiore degli Stati Uniti d’America con una trama fortemente drammatica, contornata dai classici elementi del genere thriller e poliziesco; con atmosfere cupe quasi come un romanzo noir, in cui il male emerge in tutte le sue sfaccettature.

Speranzoso. Si, come già specificato, questo finale lascia molto di più che un briciolo di speranza, di ottimismo. Instilla la fiducia che veramente le cose possono cambiare grazie a quello splendido canto gospel intonato nel cimitero della contea lontano dalla lapide indicata nella prima parte di questo speciale. Un canto composto da voci soavi e potenti, leggiadre come quella degli angeli ma, soprattutto, unicamente formato non solo dai componenti la comunità afroamericana, ma anche da bianchi. Un segno forte ed inequivocabile verso quella parte oscura di America che si ostina a non capire che l’uguaglianza non è solo una parola scritta nelle carte costituzionali, semmai un elemento imprescindibile in modo naturale.

Come, in modo naturale, torniamo al punto di partenza con il quale abbiamo aperto questo speciale. Con quella scritta che indica anno e aggettivo in un modo inequivocabile, 1964 indimenticabile, e in cui ‘i serpenti a sonagli si sono suicidati’ e quell’ultima inquadratura è accompagnata dal coro gospel di una splendida canzone e in cui, i due agenti federali, sono partiti da poco per Washington per il loro lavoro è ormai finito per un film, come già indicato, che è commovente e al tempo stesso è un bel pugno in faccia per chiunque.

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