Nella notte tra il 21 ed il 22 giugno del 1964 vennero assassinati, nel Mississippi, tre attivisti per i diritti civili

Ma che cos’era, in primis, ‘Mississippi Burning’? Era il nome dell’operazione dell’Fbi, attraverso cui si cercava di fare luce sui fatti avvenuti tra la notte del 21 ed il 22 giugno per le strade isolate della Contea di Neshoba, nello Stato del Mississippi. Secondo fonti storiche, fu un’operazione in cui prese parte, addirittura, anche il fratello del compianto Presidente John Kennedy, Bobby, il quale inviò oltre un migliaio di uomini per far in modo, nelle ore e nei giorni successivi alla scomparsa dei tre attivisti dei diritti civili, di ritrovare al più presto i tre ragazzi.

Come specificato, ventiquattro anni più tardi i tragici fatti, il regista Alan Parker, con una produzione firmata Frederick Zollo, decise di raccontare in via leggermente romanzata i fatti. Nulla di grave, non ci furono grandissimi stravolgimenti nella sceneggiatura sviluppata da Chris Gerolmo. La trama segue, a grandi linee come si svolsero i fatti, ponendo in risalto le figure dei due agenti federali che veramente si recarono nella contea subito dopo la sparizione dei tre attivisti e senza perdere ulteriore tempo iniziarono subito le indagini.

Fin da subito i sospetti ricadderò sull’ufficio dello sceriffo che, nella finzione, era rappresentato da Ray Stuckey, interpretato da Gailard Sairtan. Nella realtà la figura ispiratrice del personaggio era veramente il tutore della legge della contea, coinvolto nella realtà nel triplice omicidio dei tre ragazzi: Lawrence Andrew Rainey. Ciò valeva anche per Cecil Ray Price, reale vicesceriffo della Contea di Neshoba, che sullo schermo aveva il volto dell’attore Brad Dourif con il nome di Clinton Pell.

I fatti, dunque, vennero raccontati con quasi estremo rispetto ma mutando, essenzialmente, i nomi dei reali protagonisti. Se comunque la sceneggiatura è stata sviluppata per ricostruire la vicenda, non si sa sé alcune scene con Gene Hackman protagonista, alle volte anche insieme a Willem Dafoe, rappresentavano delle vere e proprie licenze poetiche oppure, sempre nella realtà, John Proctor agiva veramente in quel modo.

Quest’ultimo, reale agente del Federal Bureau of Investigation, pare che avesse dei modi un po’ troppo rudi o comunque che oltrepassavano, in alcuni momenti, il limite consentito dalla legge stessa. Sul grande schermo la sua figura sarà rappresentata da Rupert Anderson, un personaggio dalla personalità molto, ma molto pragmatica. Non si sa quanto reale oppure inventata.

E l’altro personaggio? Quello impersonato da Willem Dafoe, dal reale nome di Joseph Aloysius Sullivan. Rispetto all’agente Proctor, Sullivan, secondo quanto è stato riportato da alcune fonti, era più idealista. Più ligio al dovere ed al rispetto della legge; era più che altro convinto che nel fare il proprio dovere, proprio per dare anche l’esempio, non si dovevano oltrepassare quei limiti che il personaggio di Gene Hackman superava in due occasioni, la prima:

Alan Ward, questo è il nome che lo sceneggiatore aveva scelto, rappresentava alla perfezione Sullivan. Ma al di là di cosa effettivamente sia stato rispettato dallo script e cosa no, ciò che è rilevante è quello di non dimenticare questa storia per farla disperdere nel tempo. Fu un caso di cronaca, questo è vero, ma è come se in questi lunghi sei decenni ci ricordiamo maggiormente di altri fatti sempre legati al problema razziale.

Per esempio, tanto per citarne qualcuno: ci ricordiamo i 70 anni della Board of Education vs Brown, dell’assassinio di Medgar Evers avvenuto l’11 giugno del 1963. E ancora Martin Luther King, la tragedia della bomba in una chiesa protestante afroamericana di Birmingham, dove morirono quattro bambine innocenti e così via. L’elenco è lungo e non solo a partire dagli ’60, anche prima di quel periodo e anche successivamente i casi di cronaca a sfondo razziale, negli Stati Uniti d’America, hanno sempre occupato un posto in prima pagine tra i mass media, anche a distanza di tempo.

Eppure, di questa vicenda non sempre si è dato il giusto risalto. Come detto fu Alan Parker che nel 1988 la volle raccontare, mostrando al mondo quella parte pesantemente oscura degli Stati Uniti d’America che ha sempre cercato, sia nel bene che nel male, di esportare la propria idea di democrazia nel resto del mondo. Un’idea voluta da John Kennedy e proseguita da altri dopo di lui, applicando il concetto che rinnovava il sogno americano in sé, ovvero la ‘Nuova Frontiera’.

Ma quando si parla di Profondo Sud degli Usa ed in particolar modo dello Stato del Mississippi è come, nella sua essenza, ci si addentrasse in un mondo a parte. In effetti, come dice il personaggio di Gene Hackman, Rupert Anderson, dopo aver effettuato le prime ricostruzioni con l’ufficio dello sceriffo, pronuncia questa frase: qui le ipotesi non hanno il minimo perso Sir, se lo sceriffo dice che andata così: vangelo è andata così.

Tale battuta del film, però, non deve in nessun caso sviare su alcuni dettagli della vicenda, come detto, leggermente modificati. I due agenti dell’Fbi, i quali alla fine riuscirono a trovare i corpi dei tre ragazzi furono aiutati da un informatore. Attenzione, però, nella visione di Alan Parker tale figura è riconosciuta attraverso il personaggio femminile magistralmente impersonato dalla talentuosissima Frances MacDormand.

L’attrice veste i panni della moglie dello sceriffo Pell, colei che alla fine svelerà il luogo di sepoltura corrispondente alla realtà. Ciò che in verità non collima con quello che successe è che non fu una donna a svelare tale dettaglio, ma stesso uno degli incappucciati bianchi.

Nella sceneggiatura si optò per dividere in due questo personaggio. Infatti, Lester Cowens, che nel film era interpretato da Pruitt Taylor Vince. Nella realtà il nome vero, del cosiddetto Mister X era riconosciuto nel nome di James Jordan.

La scena in cui il personaggio della MacDormand si apre in maniera definitiva con Rupert Andersson è una, delle scene più intense dal punto di vista recitativo; le parole che lo stesso personaggio pronuncia sono una denuncia nei confronti di una società, quella del Mississippi, che veniva vista solo come ‘fanatica e razzista’.

Una denuncia rivolta a chi stava fuori da quell’ambiente e dallo Stato del Mississippi e che lo considerava, a priori, totalmente con idee razziste. Invece, quella scena ha voluto sottolineare il contrario: esisteva il male, ma non tutti la pensavano in quel modo. Alle volte non si faceva nulla per non parlare o per lasciar vivere pagando a caro prezzo anche danni d’immagine.

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