Undicesimo appuntamento con il mondo il Chiarismo
Di Leo Masinelli, in particolare, vorremmo additare un dipinto del 1947, Canale di Venezia con ponte, presentato alla Mostra dei pittori modenesi di quell’anno, ove è possibile cogliere il processo di estensione morfologica, vorremmo dire, di quella temperie ‘chiarista’, che acquista sempre più le peculiarità di una pittura che affida non tanto alla lattiginosità di albati chiarori il significato preminente della propria identità ‘categoriale’, quanto, piuttosto, ad una ineffabile impermanenza tonale – magari anche di tensione corrusca, come nel caso del dipinto del Masinelli – che va a governare le forme di una composizione che non affida al disegno, ma al colore le sue determinazioni formali e che, soprattutto, fa leva sulla pregnanza contenutistica di una concezione ‘filosofica’ che traspare in filigrana.
Questo dipinto su cui ci siamo soffermati, peraltro, offre l’opportunità di introdurre – utilizzando in proposito una sua opera in particolare, Venezia, intrigantemente simile, nei modi, negli accenti e nel soggetto, a quella di Masinelli stesso – la personalità di Gino Brighi nativo di Comacchio (1896) che ci sembra utile iscrivere in questo contesto artistico sottolineando nella sua pittura una vibratilità forse ancora più sfibrata e resa seducente e pastosa nel suo clima di ovattata sensualità dalla tecnica preziosa dell’acquerello, di cui Italo Cinti riconosce al Brighi doti di assoluta “valentia”27.
Una citazione specifica meritano anche alcuni aspetti della pittura di Ferruccio Scattola (1873-1950), artista che si propone intrigantemente in linea con la pittura di Semeghini, come ci rivela, ad esempio il confronto di due opere, Marina veneta, del primo e Canale della Giudecca (1928), del secondo. E qui il tonalismo veneto dimostra come una tradizione lunga e consolidata sappia trovare le ragioni di una attualità che non è accomodata maniera, ma sintesi efficace di una identità culturale.
Ai nomi di queste personalità, vanno aggiunti ancora quelli dei modenesi Oscar Sorgato (1902-1941), Tino Pelloni (1895-1981), Augusto Zo- boli (1894-1993) che svolgono un ruolo, per così dire di cerniera, tra le sensibilità di Burano e la consistenza propria delle declinazioni milanesi, prolungando la propria attività nel corso stesso del secondo cinquantennio del ’900, come possiamo osservare attraverso la felice compitazione che rende, ad esempio, Tino Pelloni negli anni ’50 (La casa incantata di Burano, 1958). Interessante personalità appare quella di Sorgato, che già nel ’35, con un’opera come Canale a Mazzorbo, si guadagna l’iscrizione nel contesto ‘chiarista’. Spiega Graziella Martinelli Braglia che “è di quell’anno la sua partecipazione alla IV Sindacale Lombarda presso la Permanente di Milano … [mentre] va intanto imponendosi la nuova poetica che, proprio nella recensione di quella mostra su ‘L’Italia Letteraria’ dell’11 maggio, a firma di Leonardo Borgese … verrà per la prima volta definita col termine di ‘Chiarismo’: ‘Sorgato come molti altri di qui sta orientandosi verso una pittura chiara e leggera – vi rileva Borgese – i cui inizi vanno in buona parte ricercati, oltre che in Matisse, naturalmente, anche nelle opere di Semeghini grande influenzatore di Veneti e di Lom- bardi’”28.
Di ambito mantovano vorremmo additare le personalità di due pittrici, Eva Quajotto, che nasce a Mantova nel 1903 e muore nel 1952, e Angiola Meucci, che nasce a Revere nel 1892 e muore nel 1966. La produzione creativa di tali artiste si volge a fornire una prospettiva che possiamo definire ‘amabilmente’ critica del dettato ‘novecentista’ interpretato da entrambe con libertà personale che si dispiega, in particolare per la Quajotto, sia nel paesaggio che nel ritratto, con “sensibili accenti di intimismo ambientale, offrendo, peraltro, una declinazione delle prospettive ‘novecentiste’ tutt’altro che appiattita sulla retorica monumentalistica e nell’irrigidimento dei volumi”29.
Può istituirsi, inoltre, a nostro giudizio, una relazione producente tra un Paesaggio della Quajotto ed alcuni dipinti, anch’essi di paesaggio, di Spadolini, su cui ci soffermeremo nel prosieguo del nostro ragionamento. Di acuta sensibilità ambientale mostra di sapersi fare interprete, infine, la pittura della Meucci, come ben si mette in evidenza in alcune prove di Paesaggio che si rivelano particolarmente sensibili alle vibrazioni lumi- nistiche30.
Occorre, poi dire, che una prospettiva più ampia consente di prendere in considerazione anche altre personalità, che offrono una declinazione compositiva di notevole valore luministico e di delicata intimità, personalità che ci sentiamo in animo di giudicare ragionevolmente apparentabili alle peculiarità della scansione ‘chiarista’. Tali figure accompagnano l’evoluzione complessiva del quadro sinergico burano-milanese andando ad accreditare la proposta di una sensibilità padana allargata che incrementa l’integrazione, peraltro, della luminescenza veneto-lombarda con più corposi innesti di robustezza d’atmosfera emiliana, come avviene con l’opera di Casimiro Jodi di Modena (1886-1948), di cui osserviamo una intrigante Una nevicata a Modena esposta nel 1914 in una mostra organizzata a Roma dalla ‘Probitas’, e dello stesso Giuseppe Graziosi del Modenese (1879-1942), personalità quest’ultima cui, peraltro, Mario Vellani Marchi modenese (1895-1979) guarda con grande ammirazione.
E proprio Vellani Marchi, su cui ci sembra giusto lasciar qui planare la nostra attenzione, può essere indicato come la ideale figura di snodo nei rapporti veneto-lombardo-padani, grazie alla sua capacità di fornire una significazione piena all’istanza della sintesi figurativa di ordine narrativo intesa come misura ‘costruttiva’ di un impianto compositivo articolato tra consistenza perimetrabile delle forme ed esigenza di indeterminazione ovattata e sfumata.
Mentre Semeghini, insomma, rimane legato, comunque, ad un bisogno di descrizione ben ferma e ad un rispetto della consistenza dei ‘pesi’ pur rispettando la tradizione veneta del tonalismo, il modenese Vellani Mar- chi spinge il bisogno descrittivo e ‘realistico’, proprio della più nobile tradizione emiliana, a saper assumere la componente cromatica non come dato indipendente rispetto al ‘disegno’, ma, addirittura, come strumento di esso.