Sesto appuntamento con la serie di articoli dedicata al Chiarismo
La sottolineatura da parte della Pontiggia, giova aggiungere, di un ‘distacco dal classicismo sarfattiano più radicale e meno schematico’ costituisce la ragione più interna e significativa di una sperimentazione produttiva che intendeva spendersi con autonomia propositiva rispetto al dettato omologante di ‘Novecento’, senza contrapporsi frontalmente ad esso, ma cercando, piuttosto, di differenziarsene, introducendo degli albori di chiarezza ed una vibratilità compositiva a fronte di una proposizione segnico- cromatica caratterizzata dalla stigmatizzazione dei volumi e dalla terrosità cromatica.
A Persico non sono sfuggite le potenzialità che questo abbrivio dei pit- tori trovati a Milano conteneva, ed ha inteso dare ad esse un indirizzo che fosse capace non solo di ricondurre il più possibile ad unità formale una sperimentazione sparsa, ma, soprattutto, di conferire sostanza e pregnanza contenutistica ad una intuizione larvale di stampo antinovecentista, che meritava un ben più robusto impianto di pensiero per poter affermarsi come voce piena e convincente.
E, pertanto, nell’intesa di definizione di ‘lirismo critico’, che noi suggeriamo, possono e debbono trovare giustificazione certamente i contri- buti prettamente pittorici degli artisti ‘chiaristi’, ma, non meno, l’apporto di Persico, che riesce a conferire spessore contenutistico ad una modalità del ‘dipinger chiaro’, che, altrimenti, ‘potrebbe essere [anche solo] una moda’ (Giolli).
La Pontiggia, che si mostra essere perfettamente avvertita della intrinseca difficoltà di far convivere ‘tonalismo’ e pregnanza ‘segnica’, non a caso, riflette sul dato della irrilevanza critica dell’insistenza sulla contrapposizione tra ‘luminosità’ chiarista e ‘bitume’ novecentista, osservando come “la differenza tra i due movimenti riguardasse non solo il colore, ma anche l’iconografia e lo stile, il cui mutamento era il riflesso di una mutata concezione filosofica”19.
I tempi di procedere virtuosamente al mutamento di una ‘concezione filosofica’, intesa propriamente come esigenza di mutamento di quell’ideale di vita che andava suggerendo la massificazione fascista, sono ampia- mente maturi nel succedersi del decennio degli anni ’30 a quello dei ’20.
E qui, occorre subito aggiungere ancora una volta, provvede Persico a dare spessore e dignità a tale impegno, andando a coniugare un’istanza psicologica con un empito vitalistico di grande tensione esistenziale, in uno sfondo estetico che trovava sponda nel pensiero di Banfi e orientamento morale in quello di Maritain, nel cui processo speculativo c’è tutta la determinazione a rileggere San Tommaso in una prospettiva che prescinde da una rimodellazione ‘neotomista’, provvedendo invece (Arte e Scolastica) a procedere ad una riattualizzazione del Tomismo tout-court20. Un significato importante in tale processo può essere attribuito anche alla prospettiva di pensiero bergsoniana che consentiva di far guadagna- re alle prospettive di Maritain la misura di un giusto equilibrio tra la di- sposizione ‘sistematica’ ed una sensibilità quasi compulsiva, che poteva leggersi nella specie di quell’élan vital che riconduce all’esperienza della vita e che fornisce una motivazione psicologica alla pregnanza dell’empi- to espressivo che la maladresse acquistava negli spessori convincenti che
Persico scorgeva, ad esempio, nell’opera di Tullio Garbari (1892-1931). Può essere particolarmente illuminante la posizione argomentativa di Elena Pontiggia, che, rilevando come la bellezza sia tomisticamente “definita come lo splendore della forma sulle parti proporzionate della materia” non manca di osservare come “Maritain introduceva nel suo libro il concetto di maladresse (la goffagine, l’essere maldestro), sostenendo che lo spirituale può passare attraverso un segno maldestro. Al concetto classico di arte come scienza Maritain opponeva l’idea di un’arte allieva di Dio, animata dalla semplicità e dall’innocenza. L’ordo amoris si sostituiva così all’ordo, cesura, pondus di ascendenza classica”21.
Detto questo, rimane sicuramente difficile, ma anche incredibilmente intrigante, poter accertare compiutamente la perimetrazione intellettuale che definisce ciò cui la Pontiggia può autorizzare a pensare introducendo il tema del mutamento di una ‘concezione filosofica’.
Si dovrebbe poter immaginare, ragionando dei ‘chiaristi’, che tale istanza si debba annidare nel dettato produttivo artistico presieduto da una più o meno viva consapevolezza di pensiero da parte delle singole personalità degli artisti che animarono il nucleo, avendo conto, però, che il disvelamento della forza contenutistica del loro impegno creativo si pro- pone come una sorta di epifania di una imperscrutabile e preterintenzionale innocenza che non sopporterebbe il confinamento nella misura della naïveté.
Non ci sembra agevole, però, e fors’anche nemmeno possibile, poter verificare l’esistenza di un legame intrinseco e stringente tra la produzione creativa degli artisti ed una loro matura consapevolezza teoretica che possa delineare il punto di fondazione eidetica della temperie ‘chiarista’.
L’intendimento ‘filosofico’, quindi, va considerato aggiunto ab externo, piuttosto che inteso come propriamente ispiratore ‘dall’interno’ della compagine dei singoli artisti ‘chiaristi’. E chi provvide a tale impresa fu innegabilmente Edoardo Persico. Se potessimo parafrasare, in proposito, Pirandello, diremmo che tutto il processo si svolge all’insegna di ‘cinque pittori alla ricerca di un critico’.
Muovendo, quindi, alla ricerca di una ragione propria delle dinamiche produttive che ispirarono l’azione creativa degli artisti, e valorizzando il contributo offerto dall’intervento di Persico, la definiremmo, quindi, quella ‘chiarista’, una pittura della ‘non violenza’, o, più semplicemente, una pittura della ‘mitezza’: una mitezza non disarmata, ma attestata in modo consapevole sulla linea di ciò che intendiamo additare come ‘lirismo critico’.