Siamo quasi arrivati agli sgoccioli con questa serie di articoli interamente dedicata al Paesaggio
Una chiave di lettura importante per la lettura della pittura di paesaggio nel secolo del Novecento è quella di tipo ideologico. In fondo, è proprio puntuale orientamento di protesta ciò che muove il processo della ‘Secessione’ che rifiuta radicalmente il conformismo accademico per dirigersi verso una prospettiva di sintesi che sappia rendersi interprete delle ragioni del nuovo che s’affaccia nella società.
Non è questa una protesta che abbraccia le ragioni delle logiche d’avanguardia, ma è un processo largo che va alla ricerca di un rinnovamento dei rapporti tra oggettualità e pittura, proponendo un indirizzo quasi d’ordine sinallagmatico tra il movimento sociale e un risconto artistico capace di integrare il dato emergente straripante d’un vibratile individualismo con il portato scientifico e tecnologico in debordante espansione.
E’ molto ampio l’arco del processo secessionistico: da Vienna a Parigi, da Berlino a Roma, da Monaco a Napoli. In questa ampia escursione, sia territoriale, che temporale, sono significativamente vistose le differenze che costellano il processo secessionistico nelle varie manifestazioni locali.
A Napoli, ad esempio, l’istanza ‘secessionistica’, assume le caratteristiche peculiari di un movimento giovanile e le forme di una ricerca di integrazione tra istanze neosimbolistiche e pregnanza della persistenza del ‘vero’, in un tentativo di restituzione d’ambiente (Curcio, Pansini, Villani). Il paesaggio, come non mai, articola l’immagine dell’ambiente e l’ambiente non è altro che il riflesso delle condizioni sociali.
Alla pittura di paesaggio viene dedicata, pertanto, grande attenzione e sarà essa lo specchio fedele della realtà, il laboratorio in cui l’esperienza estetica avvia il suo lungo percorso di nuovo terreno della comunicazione sociale.
Nell’addentrarci nelle nuove logiche che ispirano l’esigenza di rinnovamento, incontriamo il movimento di ‘Valori Palstici’, che nasce nel 1918. Esso fornisce della pittura di paesaggio una misura figurativa profondamente atteggiata alla sobrietà ed alla compostezza, presieduta da un profilo ordinamentale della composizione in cui l’equilibrio delle masse possa erigersi a sintesi concettuale.
Non a caso, il Fascismo farà sua questa prospettiva, aggiustandone la linea, in qualche caso particolarmente rigoristica, con un atteggiamento proclive all’accoglimento di quelle istanze, evidentemente corsive, che giungevano dalla ‘pancia’ della nazione e che venivano significativamente sintetizzate nella formula di ‘strapaese’.
Il movimento del ‘Novecento italiano’, fortemente ispirato dalla azione di Margherita Sarfatti, almeno nella sua parte di azione rivolta all’obiettivo di fiancheggiamento e di sostegno del regime, si dà il compito – e qui semplifichiamo, evidentemente, un ordito critico più complesso ed articolato nelle sue parti – di rendere più accessibile e prosaico il tema di riflessione che il movimento di ‘Valori Plastici’ aveva inteso introdurre. La consistenza volumetrica e la scansione rigorosa degli spazi che costituivano l’abbrivio di ‘Valori Plastici’ diventano, con il ‘Novecento italiano’, invito al monumentalismo.
Il monumentalismo, però, non costituisce necessariamente un fattore di appesantimento dell’arte dei decenni degli anni Venti e Trenta e, al di là di certa produzione celebrativa e magniloquente, la retorica di regime – che, pure, non ha poco peso nell’arte dei decenni degli anni Venti e Trenta – non prende a mano agli artisti, fino ad azzerarne la spinta propulsiva d’ordine poetico.
Il pensiero va, in questo caso, all’opera di Sironi, ai suoi Paesaggi Urbani che lasciano affermare massicciamente, peraltro, il tea del ‘paesaggio industriale’. Si può verificare, inoltre, l’attestazione di una disposizione alla meditazione ed alla introspezione psicologica che s’afferma non soltanto in una ripresa di temi figurativi trattati con una sensibilità propriamente postimpressionistica, ma anche in tentativi di una sperimentazione produttiva che, pur non abbandonando l’adesione ad una linea di realismo figurativo, si proietta, però, verso nuove accezioni della rappresentazione delle cose.
E qui, in particolare – in questo periodo di frontiera che si sviluppa tra un’attenzione ai dettami ‘novecentisti’ ed un rifiuto radicale al loro indirizzo prescrittivo, senza dover, però, procedere ad un’adesione all’avanguardia come scelta oppositiva – s’affermano le ragioni compositive di ‘altri’ atteggiamenti creativi.
E tali atteggiamenti creativi sono identificabili, ad esempio, nelle sperimentazioni luministiche (il Chiarismo lombardo), nella rastremazione figurativa (I Sei di Torino), nella austerità etica (i Quattro di Palermo), nel tonalismo critico (la scuola romana), nel rovesciamento espressionistico delle istanze postimpressionistiche (la scuola del Pascone a Napoli), nel Realismo magico (la realtà veneziana di Cagnaccio di San Pietro).
Queste varie vie d’accesso alla rappresentazione del dato ambientale e territoriale determinano la profilatura del complesso d’insieme della pittura di paesaggio nella prima metà del ‘900 e potrà essere utile aggiungere ad esse i nuovi aspetti d’ordine pop-artistico, iperrealistico, iperfigurativo, del Realismo di denuncia e del Realismo esistenziale per aver il completamento del quadro stilistico del ‘900 con la messa a fuoco, così, dei nuovi orientamenti che si affermano nella seconda metà del secolo.
Ciò che occorre aggiungere è che questo profilo storico, che abbiamo cercato di sintetizzare, non esaurisce le prospettive d’approccio al contesto unicamente italiano, ma delinea, in qualche misura, la perimetrazione d’un quadro che possiamo giudicare più esteso.
A tal proposito, occorre subito indicare, ad esempio, che, certamente, non ci sfuggono le peculiarità che caratterizzarono, nella prima metà del ‘900, il mondo germanico nel segno non solo della ‘Neue Sachlickeit’, o quello statunitense nel segno non solo dell’American Scene, ma anche delle temperie che si addensò intorno alla personalità di Edward Hopper, così come non ci sfugge il rilievo della persistenza generalizzata d’un orientamento convintamente postimpressionista che avrebbe trovato accoglienza un po’ dappertutto.
Detto questo, rimane accertato, però, che l’identità propria della pittura di paesaggio del ‘900 – ed entro i limiti e le perimetrazioni concettuali e stilistiche che abbiamo additato – può essere considerata sufficientemente rappresentata nelle ‘variazioni’ che il genere, complessivamente, articola nell’insieme delle plurime manifestazioni della pittura italiana del secolo.