Il 21 dicembre del 1968 usciva il capolavoro di Sergio Leone
Ci sono alcuni film nella storia del cinema che raccontano delle favole. Non importa se alle volte non sono proprio a lieto fine o che comunque lasciano, in chi le ha viste, un grandissimo senso di malinconia o, quantomeno, nonostante tutto, anche un forte senso di speranza per il futuro.
Poi ce ne sono altri di film, sempre della storia del cinema, in cui, nella loro essenza, sono delle favole vere e proprie. Nel senso che la loro fase di ideazione, di sviluppo, di produzione, del mondo in cui è stato girato, da chi è stato interpretato e il significato che comprende rappresentano, in tutto e per tutto, una favola da tramandare alle nuove generazioni e per un semplice motivo: a distanza di 55 lunghi anni non si può credere che sia stato realizzato veramente.
Dunque, si potrebbe iniziare a raccontare questo aneddoto cinematografico o meglio, perdonateci, questa favola del grande schermo partendo da una data in particolare e con la classica espressione che si usa sempre dire: era il giorno 23 dicembre del 1966. È vero siamo oltre alla misura del tempo indicata. Avrebbe più senso affermare che tutto ha inizio in quella data di quasi sessanta anni fa quando, nei cinema italiani uscì quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo vero western di Sergio Leone, ‘C’era una volta il west’; di cui proprio oggi, 21 dicembre 2023, si celebrano i 55 anni esatti dall’uscita
Il grande regista romano era convinto, fino a quel momento, di aver detto tutto quello che si doveva dire sul genere che lui stesso, due anni prima, aveva non solo riportato in auge ma, addirittura, reinventato. Era convinto, dunque, di ciò e non aveva alcuna intenzione di tornare sui suoi passi anche per un altro motivo; molto, ma molto valido tra l’altro.
Da qualche tempo si era ritrovato, per le mani, l’autobiografia di un gangster, Harry Grey, in cui raccontava la sua vita, il suo percorso esistenziale, all’epoca del proibizionismo. Di questo libro, dal titolo ‘Mano armata’, Leone decise di farne un film, proponendolo, giustamente alla Paramount, la quale era pronta a collaborare con lui nuovamente.
La leggenda narra che la stessa Major statunitense avesse accettato il progetto de ‘Il Buono, il brutto e il cattivo’ a ‘scatola chiusa’. Di questa espressione è autore uno dei più grandi sceneggiatori dell’epoca, il compianto Luciano Vincenzoni, il quale, intervistato per uno speciale dedicato al grande regista romano scomparso nel 1989, raccontò come funzionava il dialogo tra le grandi case di produzione americane e i registi dell’epoca, almeno nei confronti dello stesso Leone.
Nel senso che la Paramount comprò il progetto quando era solamente un’idea in stato embrionale e non esisteva neanche una sceneggiatura. Ciò voleva dire una sola cosa: che i produttori americani si fidavano ciecamente del talento del nostro regista conosciuto, ormai, a livello mondiale e studiato, ancora oggi, in tutte le facoltà universitarie di cinema.
Sergio Leone, dunque, era intenzionato a realizzare ciò che riterrà essere il film della sua vita e che, forse, più degli altri, lo sentiva suo. Strano, per uno che fino a quel momento aveva realizzato film western uno migliore dell’altro. Ecco, appunto: fermiamoci su questa espressione, per poi riprenderla e per un semplice motivo.
Sergio non sapeva ancora che di lì a poco avrebbe diretto il vero miglior film della sua vita, nonché il vero miglior western di tutti i tempi, a detta non solo nostra, ma anche della critica mondiale e dei più grandi cineasti che si stavano formando o che stavano muovendo i primi passi proprio dalla seconda metà degli anni ’60 in poi.
La Paramount, dal canto suo, non disse no alla proposta del regista italiano ma, purtroppo per il nostro Sergio Leone, e per fortuna per il cinema in generale, la casa produttrice d’oltreoceano voleva ancora un altro western. Infatti, in quel periodo tutti quanti stavano accostando il nome di Leone al suddetto genere e tutti volevano che dirigesse solo film di questo tipo.
Quest’ultimo, alla fine, si dovette adeguare con un particolare stratagemma. In effetti, le sue prime tre opere cinematografiche: ‘Per un pugno di dollari’, ‘Per qualche dollaro in più’ e, appunto, ‘Il Buono, il brutto e il cattivo’ componevano, nella loro essenza, la cosiddetta trilogia del dollaro.
Con l’esigenza di creare dal nulla un altro western e forse di malavoglia, anche, e meno male aggiungeremmo noi ironicamente, il regista romano rifletté sulla necessità di creare una seconda trilogia, quella che aveva come comune denominatore ‘Il tempo’. Una tematica ricorrente nelle ultime opere cinematografiche ideate, dirette e anche prodotte negli ultimi anni della sua irripetibile carriera.
Una volta convintosi di ritornare sui suoi passi, Sergio Leone incominciò a ideare un progetto in grande stile e, soprattutto, di realizzarlo con nuovi collaboratori, abbandonando ogni riferimento alla fabbrica dei sogni di Cinecittà, per avvicinarsi, sempre più allo stile hollywoodiano.
Con sé, dunque, non portò lo stesso Luciano Vincenzoni ma, in un primo momento, due giovani talentuosi del nostro cinema che si stavano facendo le ossa nell’ambiente: Bernardo Bertolucci e Dario Argento, si avete capito benissimo: il futuro Re dell’Horror italiano.
Alla fine, però, solamente uno dei due rimase accanto a Leone quasi fino al termine della sceneggiatura, ovvero Dario Argento, mentre Bertolucci intuì che con i cowboy e il mondo che lì circondava aveva ben poca dimestichezza e decise di virare su altri progetti ben più consoni a lui. Nonostante tutto sui titoli di testa, ovvero quelli iniziali, al momento di indicare i veri autori della sceneggiatura, il nome di Dario Argento non figura.
Eppure, il futuro regista di film dell’orrore per un breve periodo di tempo, divenne un apprezzato autore di sceneggiature di film western, come ‘Un esercito di cinque uomini’ con Bud Spencer. Il nome che viene affiancato a quello di Sergio Leone è un suo omonimo, ma che di cognome porta Donati.
Al di là di questo non bisogna dimenticare l’apporto che lo stesso Argento diede alla stesura della sceneggiatura fu alquanto significativo e rilevante. Si pensi, per esempio, al nome della cittadina in cui la storia è ambientata: Sweetwater. Un nome che trovò dopo aver visionato, personalmente, una mappa dell’epoca degli Stati Uniti d’America. anche se quello stesso nome venne usato anche in un altro film sempre dello stesso genere.