Basato sulla figura di Al Capone, ma reso immortale da Al Pacino
Pochi si ricordano di Tony Camonte. Quasi nessuno, si potrebbe dire. Molti, però, hanno ben presente, per non dire che sanno, chi è Tony Montana. Eppure, entrambi i personaggi sono fuoriusciti dai geniali sceneggiatori di Hollywood e hanno più di un punto in comune. Anzi, per essere precisi solamente due e non di poco conto. I due personaggi sono, appunto, icone del grande schermo, usciti a distanza di cinquanta anni l’uno dall’altro, con un grande ‘Ma’ da specificare.
Ma sono il frutto di un’unica fonte d’ispirazione: un boss mafioso e non proprio uno dei tanti; di quelli che hanno fatto la storia del crimine, purtroppo, approfittando, tra le altre cose, di una delle tante leggi americane per guadagnare sempre più potere. Siamo nell’epoca del Proibizionismo e, dunque, quale boss intoccabile e inarrivabile vi viene alla mente? Si, proprio lui: Al Capone, soprannominato ‘Scarface’.
Tale nome gli venne attribuito per una vistosa cicatrice sul volto, inferta durante i primi anni di criminalità e precisamente durante una lite, secondo la leggenda che è stata riportata fino adesso. Un soprannome che è stato tenuto ed utilizzato per identificare le due opere cinematografiche uscite sul grande schermo in due epoche totalmente differenti l’una dall’altra.
La prima nel 1932, per la regia del visionario Howard Hughes, e la seconda il 9 dicembre del 1983, quindi quaranta anni fa esatti, per la regia dell’ulteriore talentuoso Brian De Palma e con un cast magistrale; soprattutto, da parte della stessa produzione, nell’aver saputo scegliere degli attori adatti per ruoli non semplici e drammatici da interpretare nella loro essenza.
Ecco, come avete potuto appena leggere vi abbiamo svelato nell’immediato i due punti in comune. Ora, non ci resta che chiarire su quale versione ci soffermeremo in questo piccolo speciale. Semplice: quella del 1983, quella di Brian De Palma, quella interpretata e resa ancor più immortale da un attore che già all’epoca era considerato come uno dei migliori della sua generazione, insieme a Robert De Niro, stiamo parlando di Al Pacino, il quale viene doppiato dell’indimenticabile Ferruccio Amendola.
Si dice che l’idea di quello che era di fatto un vero e proprio remake partì proprio da Al Pacino, dopo aver assistito ad una delle tante proiezioni, presso il Tiffany Theatre di Los Angeles. L’attore italo-americano si convinse fin da subito sulla possibilità per la realizzazione del progetto e contattò, senza perdere tempo, il suo manager.
Nelle intenzioni di Pacino c’era quella di mantenere la struttura narrativa del film diretto da Howard Hughes. Ben presto, però, si rese conto che i toni melodrammatici, soprattutto all’inizio degli anni ’80, non avrebbero fatto presa sul pubblico dell’epoca. A collaborare al progetto, ovviamente come regista, fu anche Brian De Palma il quale ingaggiò un primo sceneggiatore, di nome David Ray. Ma lo stesso Ray, non soddisfò il signor De Palma, e forse anche Al Pacino, così venne sostituito da un giovane autore di cinema e, allo stesso tempo, regista: Oliver Stone.
Fu questa la vera svolta e molto probabilmente anche il successo dello stesso film. Stone, per certi versi, da un lato seguì alcuni suggerimenti mossi da Sidney Lumet, il quale aveva lavorato proprio con Al Pacino dieci anni prima in occasione del biopic su Frank Serpico. Dall’altro, invece, si basò, purtroppo anche su esperienze personali con la droga; senza dimenticare che si documentò incontrando con criminali, ex-criminali e con le istituzioni impegnati nella lotta contro la droga. Non solo, quindi, con le classiche forze dell’ordine, ma anche la Dea ed avvocati.
Per essere ancor più precisi, Oliver Stone non venne solamente scelto da Brian De Palma ma anche dal futuro produttore del film: Martin Bregman, che era, tra le altre cose, anche il manager dello stesso Al Pacino. Per quanto riguarda i suggerimenti, quelli di Sidney Lumet, quali furono? Di spostare l’azione nella Miami degli esuli cubani, dettaglio che lo stesso Stone non se lo fece ripetere due volte.
Lo stesso futuro regista de ‘Nato il 4 luglio’ accettò tale incarico anche per un altro motivo: si trovava in forti difficoltà economiche, dopo aver fatto fiasco al botteghino nel 1982 con il film ‘La mano’. Con ‘Scarface’, possiamo dirlo’ fece un lavoro egregio, soprattutto per come è stata sviluppata la trama.
Per scrivere la sceneggiatura, sempre Oliver Stone, si trasferì a Parigi per il tempo necessario. La capitale francese era ottima per tenerlo lontano dalla droga, visto che negli stessi Stati Uniti d’America molti dei suoi amici erano consumatori abituali. Prima, però, Oliver Stone si documentò anche attraverso veri narcotrafficanti, recandosi in Ecuador, in Bolivia e a Bimini.
Infatti, uno dei personaggi compresi nella sceneggiatura, il temibile Alejandro Sosa, venne ispirato dal più ben reale ‘Re della cocaina’ Roberto Suarez Gomez, il quale si arricchì talmente tanto con il traffico di droga che giunse persino a finanziare un colpo di stato nel proprio paese. Sfortuna volle che il lavoro svolto dal futuro regista anche di ‘Jfk’ non venne apprezzato e qui sarebbe opportuno precisare un ulteriore particolare.
Fino adesso abbiamo lasciato intendere che al progetto stavano lavorando, in contemporanea, due registi: Sidney Lumet, con i suoi preziosi consigli seguiti comunque dallo sceneggiatore, e Brian De Palma. In verità non fu proprio così. Brian De Palma entrò ufficialmente nel progetto quando lo stesso Lumet, leggendo il copione, non espresse un giudizio positivo.
Per il regista di ‘Serpico’ e tanti altri capolavori del cinema, mancava una vera e propria direzione politica, cosa che invece andava bene allo stesso Brian De Palma il quale, appunto, divenne il regista di uno dei film, forse, più violenti sul tema, legato ai boss della droga e alla criminalità organizzata.
Eppure, c’è un particolare che molti, forse, tendono a dimenticare riguardante proprio la sceneggiatura di Oliver Stone: ad un certo punto Tony Montana dice che la lotta alla droga non verrà mai vinta fino a quando non ci saranno dei veri politici che realmente hanno intenzione di combatterla in modo definitivo. Non solo, anche quaranta anni fa si faceva menzione alla liberalizzazione della droga come elemento portante nella distruzione di ogni cartello internazionale che guadagna in questo modo.