Il 20 maggio è la giornata mondiale dedicata alla creatura più docile, poco esigente ed utilissima alla sopravvivenza dell’umanità intera
Chi non ricorda quando da ragazzini, le mamme, le nonne. ogni qualvolta avevamo un po’ di mal di gola, tosse, o febbre ci davano un cucchiaino di miele, o ancora in fasce imbevevano il biberon nel miele. Quanti di noi non hanno bevuto, contro i mali stagionali dei primi freddi, un bel bicchiere di latte caldo e miele.
E ancora quando, già grandicelli, andavamo a scuola con caramelle al miele fatte in casa, avvolte in un poco di carta ed infilate nello zainetto all’ultimo momento, con la solita raccomandazione: “mi raccomando scioglile in bocca piano piano che ti fanno bene alla gola.”
Il miele: un medicinale noto fin dall’antichità. Molti documenti, risalenti a migliaia di anni fa, attestano l’utilizzo dei prodotti delle Api per curare varie malattie. Pitture rupestri di oltre 8000 anni addietro, Iscrizioni sumeriche, papiri egizi, scritture indù, nel Corano, nella Bibbia, scritti di Ippocrate e di Aristotele. Una vasta documentazione che conferma come l’uomo abbia avuto al suo fianco da sempre le api con i suoi prodotti: miele, polline, pappa reale, cera, propoli, veleno e fornendo anche conoscenze.
Si pensi che gli antichi egizi da loro appresero la conservazione delle mummie. Notarono che le api uccidevano piccoli animaletti, insetti od anche topolini che entravano nel loro alveare ricoprendoli di propoli allo scopo di evitare una pericolosa decomposizione. Le bende delle mummie venivano cosparse di propoli.
Le api, dunque, sono insetti docili. Ci incutono paura se non terrore per le loro punture ma esse, in effetti attaccano, contrariamente alle vespe, solo se percepiscono un pericolo per la propria famiglia. Appartengono all’ordine degli imenotteri, hanno una lunghezza tra i dodici e venti centimetri e vivono dai trenta giorni al massimo ai 5 anni. Volano da fiore in fiore nutrendosi del loro nettare che poi trasformano in miele.
Si pensi che sono instancabili, non dormono mai, riposano solo per brevi periodi di circa 30 secondi. Volano instancabilmente per centinaia di migliaia di km per produrre un solo chilogrammo di miele. Hanno, si può dire, anche conoscenze
geometriche e di calcolo. Basta guardare con quanta precisione costruiscono le loro cellette tutte perfettamente esagonali in modo da sfruttare al meglio lo spazio disponibile. La loro è una società con saldissimi legami fino al punto che un’ape è disposta a sacrificarsi pur di salvare la propria colonia.
Sono gerarchicamente organizzate. Hanno una loro regina: unica femmina dell’alveare, la più grande e l’unica fertile. Può deporre dalle 500 alle 3000 uova nell’arco della giornata. Anch’essa vive al massimo 5 anni. Ha una sua corte di circa 12 api che la nutrono con pappa reale per tutta la sua vita. Viene fecondata da più fuchi durante il volo nuziale che poi rimangono evirati e muoiono. I sopravvissuti vengono invece allontanati dall’alveare ogni fine stagione dalle api operaie. Queste ultime sono addette a vari compiti: cura delle larve, pulizia dell’alveare e ricerca del cibo.
Una società così ben strutturata non potrebbe esistere se non esistesse un modo di comunicare tra di loro. Le api hanno un loro linguaggio fatto ovviamente di movimenti. Ogni movimento ha un significato. Le esploratrici volano in cerchio per dire che la fonte di nettare è vicina, formano un otto per dire che è lontana. E così di seguito. Indicano sempre con il volo se andare verso l’alto, verso il basso, a destra o a sinistra. Tutti questi movimenti che compiono sono conosciuti come la danza delle api.
Spostandosi da un fiore all’altro le api, come anche altri animali impollinatori, sono indispensabili per la biodiversità nell’ecosistema. Esse riescono ad impollinare più di 170.000 specie vegetali. Ecco perché nel 2017 l’Assemblea generale delle
Nazioni unite ha stabilito di ricordare all’umanità l’importanza che hanno le api per l’umanità tutta istituendo una giornata dedicata alla loro salvaguardia.
Si stabilisce il 20 maggio, giorno della nascita di Anton Jansa (1734-1773) pioniere delle tecniche sull’apicultura moderna nella sua terra: la Slovenia.