La pittura americana dell’‘800 deve molto all’Europa, ma già si annunciano ragioni di originalità che si manifestano nella scelta della enfatizzazione realistica
Hanno interpretato l’America come una sorta di Paradiso terrestre, proponendo l’immagine di un territorio di conquista, (che poi, di fatto, è stata spietatamente violenta), con una narrazione che favoleggia di paesaggi incantevoli e fatati, che traggono certamente ispirazione dalla consistenza oggettiva di luoghi incontaminati e nativi, ma che vengono proposti pittoricamente secondo una idealizzazione artificiale e surrettiziamente esaltante.
Questi sono i pittori della ‘Hudson River School’, un gruppo di artisti che si forma nel corso del secolo XIX e che troviamo articolato in più di una generazione. L’ordine di scuderia degli artisti riconoscibili nelle almeno due generazioni importanti della Hudson River School è di produrre una pittura che risponda alle tre parole d’ordine di scoperta, esplorazione e conquista.
T. Cole, Paesaggio del Connecticut, 1836
Pittori cowboys e pionieri, allora? Tutt’altro: i protagonisti della ‘Hudson’ sono, invece, raffinati interpreti dello spirito romantico, educati al gusto europeo, consapevoli della ricerca più aggiornata italiana e tedesca, che riescono a costruire una immagine fantastica del paesaggio americano trasformandolo in una proposta di immagine ‘surreale’ della realtà oggettiva, così da poter fare di esso una sorta di configurazione trascendentale di una visione mistica e spirituale.
A. Biestardt, Villaggio Sioux, 1860
I rimandi storici di questa pittura sono da individuarsi non semplicemente in Constable o in Turner o in Friedrich, quanto, forse, piuttosto, in Claude Lorrain e, forse, soprattutto, in Salvator Rosa, in artisti, cioè, che avevano saputo rendere del paesaggio idealizzato una prima e decisivamente alta formulazione, almeno due secoli prima, nel corso del ‘600.
Alcuni degli esponenti della ‘Hudson’ non sono nemmeno americani di nascita, come Thomas Cole, che è di origine inglese o Albert Biestardt che nasce tedesco, conosciuto, questi, anche come interprete della ‘Scuola delle Montagne Rocciose’. Intorno a questi due artisti, che interpretano le ragioni della prima e seconda generazione della ‘Hudson’ ricorderemo le figure di Asher Durand, che opera negli anni di Cole distinguendosi di forte tempra realista, e, con lui, di Edwin Church, Jasper Francis Cropsey, John Frederik Kensett, tutti impegnati in un intendimento della pittura secondo una prospettiva immanentistica, in cui agli artisti viene riservato il ruolo, come addita Barbara Novak, di ‘sacerdoti della chiesa naturale’. E ciò trova una rispondenza nel pensiero di Henry David Thoreau e di Ralph Waldo Emerson.
A. Durand, Paesaggio, 1852
Il ‘culto’ paesaggistico non valeva semplicemente a tradurre in pittura il pensiero filosofico trascendentalistico-naturalistico emersoniano, ma valeva molto bene anche a fornire di un riferimento identitario la giovane ‘nazione’ americana che non aveva altri punti di riferimento adottabili, se non il suo stesso territorio, come significativo fattore di propria riconoscibilità.
E. Church, Le Cascate del Niagara, 1857
T. Cole, L’Etna da Taormina, 1843
Troveremo anche in seguito, nel ‘900, ancora viva e pressante questa domanda di autoriconoscimento che l’America degli States rivolgerà a se stessa ed agli artisti, e la ‘American Scene’ sarà un altro indirizzo che tenterà di dare risposta a tale domanda nei primi decenni del ‘900, mentre la ‘Scuola di Ashcan’ avrebbe provveduto a suggerire un primo tentativo di coscienza critica sociale.
Ma, ritornando agli artisti della ‘Hudson’; occorrerà osservarne più marcatamente il debito europeo, di cui sono espressione e di cui danno testimonianza non solo i luoghi di nascita di alcuni artisti (erano europei oltre Cole e Biestardt, ancheThomas Moran e Thomas Hill, inglesi o James McDougal scozzese), ma soprattutto i riferimenti esemplaristici, tra cui segnaleremo la referenza all’ambiente artistico della ‘scuola’ di Düsseldorf (quello, peraltro più vicino alla sensibilità di un Achenbach, che non a quella dei ‘Nazareni’ Schadow e Cornelius) ove troviamo impegnati, appunto, non solo Bierstadt, che vi si forma, ma anche altri, come William Stanley Haseltine e Thomas Worthington Whittredge.
Né andrà trascurato il rilievo dell’influsso italiano esercitato sulle personalità dello stesso Cole (ne vogliamo qui additare una Veduta dell’Etna e non meno una agile restituzione disegnativa di Palazzo Donn’Anna di Napoli, che sembra echeggiare sensibilità posillipiste di grafismo gigantiano), mentre di Biestardt ricorderemo, tra l’altro, delle suggestive e ‘romantiche’ Scene di vita caprese.
Un bilancio complessivo di questa pittura può consistere nella sua vocazione ‘politica’ e nel tentativo di imprimere una prima caratterizzazione di ‘americanità’ ad un indirizzo artistico che non si faceva scrupolo di costruire una visione empirica e pragmatica, che riusciva ad assemblare in una concezione organicamente orchestrata una prospettiva naturalistica di variegata e composita sorgente esemplaristica.
A. Biestradt, Capri, 1857
Di questa pittura avrebbe avuto un seguito l’istanza ‘politica’ più che la consistenza stilistica del suo portato creativo, anche se il tema del ‘realismo’ avrebbe saputo affermarsi progressivamente come la ricerca ‘americana’ di un rapporto di grande intimità con il dato ‘oggettuale’ delle cose asciuttamente osservate, scevre di quell’alone ‘romantico’ che caratterizza, comunque, ancora la ‘Hudson’.
I protagonisti di quest’altra declinazione del Realismo saranno personalità come Homer o, poi, in seguito, Hopper. Ma, evidentemente, questa è un’altra storia.