Destava scandalo il loro modo di vivere e la stessa definizione di promiscuità sessuale suonava come una censura sociale, ma il Bloomsbury Group apriva la via ad un nuovo modo di intendere la vita; e la coscienza intellettuale ne aveva gran parte
I nomi di Virginia Woolf o di Vanessa Bell sono fin troppo noti nel mondo della letteratura e delle arti figurative, non meno di quanto non lo sia quello di John Maynard Keynes nel mondo dell’economia.
Sono questi solo alcuni nomi, tra i molti, di quelli che presero parte alla esaltante esperienza umana di quel particolarissimo gruppetto di persone conosciuto con l’appellativo di ‘Bloomsbury Group’, dal quartiere londinese ove risiedevano in quegli anni cruciali di apertura del XX secolo, tra il 1905 e la seconda guerra mondiale, quando tramontava l’età vittoriana e, con essa, cadevano i tabù del conformismo e del perbenismo ipocrita e meschino.
G.C. Beresford, Ritratto di Virginia Woolf nel 1902
Di fatto, però, occorre subito osservare, quella dei componenti del Bloomsbury, non era una scelta di vita priva di note di evidente snobismo, anche se caratterizzata da una notevole consapevolezza culturale.
In realtà, dovendo dire di Bloomsbury, occorrerebbe chiarire bene se quel gruppo abbia rappresentato la fine di un’epoca o non, piuttosto, l’aprirsi di una nuova stagione. Da un certo punto di vista, è vera l’una e l’altra cosa, giacché quel gruppo londinese ebbe la capacità di far emergere tutto il carico di ipocrisia che distingueva l’età vittoriana, quel clima che trovava corrispondenza evidente nel mondo della cultura nei termini di conformismo e di evidente deriva accademica, accompagnandosi ad uno stile pompier, da cui Bloomsbury cercò, comunque, di prendere le distanze, accostandosi, piuttosto a delle sensibilità figurative – nel campo delle arti visive – che erano più prossime a quella pittura di asciutta sensibilità realistica di cui avrebbe saputo dar prova magistrale, ad esempio, la personalità di Lucien Freud. Ciò non impedì, però, che Bloomsbury sapesse manifestare una sua propensione anche verso quelle modalità creative che distinguevano in effetti il rapporto – potremmo dire così, tra arte e industria – un rapporto che Morris e Ruskin avevano tentato di immaginare, in qualche modo, come una sorta di nuova frontiera della creatività nell’età della trasformazione industriale.
V. Bell, Ritratto di Virginia Woolf, 1912
Sul piano dei comportamenti umani, lo stile di vita che intesero darsi quelli del ‘Bloomsbury’ additava solo marginalmente l’opportunità di una vera e propria rivoluzione sociale: i componenti di quel gruppo, infatti, furono molto attenti a circoscrivere nel loro strettissimo ambito le condivisioni di un modo di vivere che certamente suggeriva nuovi moduli di comportamento nei rapporti interpersonali e nella sfera delle relazioni sessuali, non intendendo affatto immaginare di poter estendere su più vasta scala sociale le loro peculiari ‘sensibilità’, che prevedevano una opportunità di relazioni ‘aperte’ non solo nella definizione delle coppie, che potremmo definire ‘a geometria variabile’, ma anche nella cosiddetta ‘scelta dell’orientamento sessuale’.
Li distingueva una straordinaria squisitezza dei modi ed una delicatezza formale dei rapporti che rese possibile il prolungarsi di una esperienza che allora appariva molto arrischiata e che – solo in tempi a noi più vicini – non sembrerebbe destare un rifiuto pregiudiziale.
E tutto ciò va detto al netto della considerazione che effettivamente Bloomsbury fu un fenomeno di ricca opportunità di promozione culturale, di sensibilità creativa e di pensiero: un fenomeno la cui portata è difficile poterla riscontrare in altri contesti per quanto ispirati a soluzioni di vita particolarmente liberi e non conformisti. E tutto ciò a riprova di quanto – e lo osserveremo in seguito riferendo anche qualche altro caso di straordinario rilievo – lo stile di vita ‘vittoriano’ non potesse impedire che una effettiva evoluzione dei costumi prendesse a farsi strada aprendo nuove possibilità ai rapporti umani e, soprattutto, imponendo una nuova considerazione per il ruolo della donna. Il fenomeno non è circoscritto alla solo Gran Bretagna ed il caso, ad esempio, di Rosa Bonheur può considerarsi esemplare.
Riprendendoci al clima inglese in ispecie, sul piano propriamente critico, e nell’ordine, quindi della valutazione culturale, va detto, quindi, che le dinamiche ‘Bloomsbury’ sono sostanzialmente, sul piano della prassi creativa artistica, di sapore tardosimbolistico e la prospettiva culturale delle Avanguardie non sembra che sfiorarle solo lateralmente.
Anche se, però, sarà da apprezzare, nella prospettiva di una decisa scelta di originalità propositiva, una sorta di sensibilità da ‘Ritorno all’ Ordine’ ciò che si affermerà come ‘basso continuo’ individualmente partecipato, capace di dettare una profilatura d’indirizzo più o meno condivisa all’interno delle dinamiche produttive del gruppo, almeno per quanto attiene la sfera delle arti visive.
I ‘Bloomsbury’, peraltro, giova sottolineare, non costituiranno mai un vero e proprio ‘movimento’, rimanendo essi legati ciascuno alla difesa strenua di una propria autonomia e di una propria libertà di pensiero, cui nessuna logica di appartenenza di gruppo avrebbe potuto consentire di assumere rilievo di sopraffazione di una libertà assunta a mito ed a religione di laico intendimento.
V. Bell, Natura morta alla finestra, 1915
I nomi che si affacciano alla mente sono molti, ma noi qui vorremmo circoscrivere la nostra attenzione su due personalità femminili: quella di Vanessa Bell e di Virginia Woolf, sorelle, nate Stephen, che si distinsero in modo netto e significativo, la prima, principalmente nell’ambito artistico, la seconda in quello letterario.
Di fatto, le idee politico-sociali, ispirate alla cultura filosofica del Fabianesimo, non andavano oltre una sorta di blanda prospettiva di riformismo socialdemocratico (sostanzialmente, quindi, ‘liberali’), rimanendo, di fatto, ancorate queste personalità appena un po’ oltre la cultura fin de siècle ad una prospettiva di generosità paternalistica ed umanamente illuminata.
Occorrerebbe molto spazio per diffondersi sulle vicende che questo gruppo poté attraversare, andando ad indagare quanto poterono intervenire le vicende interpersonali ad orientare profilature individuali di indirizzo culturale, tutte, però – e questo è il denominatore comune – ispirate ad una sorta di moderatismo ‘borghese’ (e la cosa non sembri contraddittoria) che andava a manifestare le sue posizioni di radicalismo solo nella sfera dei costumi – chiamiamoli pure ‘morali’ – senza procedere a spingersi verso le regioni di una cultura della sperimentazione e dell’avanguardia vera e propria.
J. Benham Hay, Tobia ridà la vista a Tabita
Si è soliti valutare il fenomeno Bloomsbury come una sorta di ‘accidente’ della storia, ma noi riteniamo che – senza voler qui indicare sovrapposizioni o convergenze evidentemente inopportune ed indebite – possa essere possibile additare già in precedenza, nello stesso tessuto sociale inglese di pochi decenni prima, qualche caso analogo, che, pur senza essere sovrapponibile, ed avere tutta la ampiezza di sviluppo del ‘Bloomsbury, né le sue spiccate ed originali caratteristiche distintive anche di stampo ‘morale’, di tale temperie può costituire un intrigante préalable.
J. Benham Hay, Processione fiorentina
E qui additiamo, allora, l’esperienza – la definiremo napoletano-britannica – che caratterizzò le vicende di vita degli Hay, coinvolgendo dapprima la personalità di Jane Benham Hay, di Saverio Altamura e di Elena, la sua moglie greca, per diffondersi, poi, nel tempo, attraverso alcune importanti personalità di artisti, come Bernardo Hay, e giungere fino ai nostri giorni, apprezzabile negli esiti di straordinaria levatura creativa, dell’ultima erede di questa nobilissima stirpe di artisti, nella pittrice Cica Hay.
Sulle vicende di questi particolarissimi antesignani del Bloomsbury e sulla portata di grande rilievo della loro creatività artistica, ci permettiamo rimandare ai nostri tre volumi di Le arti figurative al femminile nel Mezzogiorno d’Italia dal Cinquesento al Duemila, edito nel 2009 e di La pittura napoletana del Novecento edito nel 2002 e di Artiste in Italia 1800-1950, edito nel 2011.