Il 22 novembre del 1963 venne assassinato a Dallas il 35° Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy
Dallas, Texas. Ore 12.30 pomeridiane. Sono accorsi in molti per la parata presidenziale. Tutti quasi assiepati sui marciapiedi nell’attesa del passaggio del corteo. L’entusiasmo è palpabile, quasi come se dovesse arrivare una rock star o magari proprio il Re Elvis Presley. Invece no.
Chi deve salutare la folla è colui che rappresenta la più alta carica della Nazione più potente del mondo. Il cordone delle auto, con la Lincoln quasi in testa e preceduta dalle motociclette della polizia, attraversa tutta la Main street per poi sbucare alla Dealey Plaza. Anche in quel punto la gente è in attesa da chissà quanto tempo, poco importa. D’altronde la città di Dallas non vedeva la visita di una personalità così importante dal 1949.
La Lincoln nera per uscire dalla piazza non fila dritta come prosegue la strada, ma svolta, uscendo dalla Main street, prima a destra e dopo qualche metro a sinistra; davanti ad un palazzo di mattoni rossi che fa da angolo. Le urla di gioia, i saluti tra il popolo e quella personalità importante. Poi tutta la spensieratezza del momento è spazzata via da alcuni spari. Di fucile si scoprirà poi. I numeri dei colpi? Per qualcuno tre, per altri sei.
Riportata così sembra la scena di un film di Hollywood. Uno dei tanti al quale il cinema americano ci ha abituato in questi decenni. Invece tutto quello che è stato ricostruito, forse in maniera troppo approssimativa, accadde realmente la mattina del 22 novembre del 1963. La vittima che entrò per sempre nell’immaginario collettivo per la sua tragica fine fu il 35° Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.
Il suo assassinio è ancora oggi avvolto nel mistero. Non è una frase retorica o presa in prestito, anzi, è un dato di fatto. Il suo omicidio ha originato le teorie più disparate. Chi dice che è stato solamente il marxista Lee Harvery Oswald a sparare dal palazzo di mattoni rossi, all’epoca il deposito di libri della Texas School, oggi trasformato in un museo per l’occasione. Per altri fu Fidel Castro, per vendicarsi della ‘Baia dei porci’ e poi la Mafia, la Cia, il Federal Bureau of Investigation, pezzi deviati dei militari americani, addirittura il Ku Klux Klan per le troppe aperture alla comunità afroamericana, i baroni dell’acciaio che furono cacciati in malo modo dallo studio ovale e persino il vice – presidente dell’epoca Lyndon Baines Johnson. Un politico navigato, molto rispetto allo stesso giovane presidente. Senza dimenticare anche Richard Nixon.
La lista è lunga, insomma. Troppo lunga. Si, ci fu un processo. Ma la verità non venne mai a galla. Il movente, per esempio, quale fu? E l’arma usata fu davvero quel fucile italiano il Mannlicher Carcano maneggiato da Lee Harvey Oswald? E poi: c’era davvero lo stesso Oswald affacciato al sesto piano del deposito di libri oppure c’era qualcun altro. Ancora: magari era presente e forse non ha agito da solo. Come tutti sanno il mistero sulla morte di Kennedy s’infittì ancor di più con la morte, avvenuta il giorno seguente, dello stesso attentatore.
Ucciso da ‘un cittadino indignato’ e sconvolto per ciò che era successo al Presidente degli Stati Uniti. Quella persona, sbucata dal nulla, si chiamava Jacob Rubinstein, meglio conosciuto come Jack Ruby. Dirigeva un bordello dove, si dice, venisse frequentato anche da alcuni poliziotti del dipartimento di polizia di Dallas.
Verità o leggende? Forse entrambe. Sta di fatto che a distanza di ben cinquantasette anni da quella tragica mattina ancora non si sa cosa sia realmente successo in quella piazza. Oltre al deposito di libri ci sono altri due punti da considerare: la collinetta erbosa, la Grassy Knoll, e il sottopassaggio. Si è sempre sostenuto che alcuni cecchini si siano posizionati in quei punti strategici per una migliore visuale.
Nonostante ciò, la gente si riversò non solo verso il deposito di libri, ma anche verso la collinetta erbosa. L’omicidio del primo Presidente degli Stati Uniti cattolico venne ripreso da un anonimo sarto che, giusto qualche giorno prima, si era comprato uno dei primi tipi di videocamere, immortalando per l’eternità quei tragici momenti. Si chiamava Abraham Zapruder. Aveva scelto il giorno sbagliato per inaugurarla.
In tutti questi anni su questo evento storico ed epocale non si sono solamente risparmiate le varie teorie. Non si possono dimenticare tutti i libri sull’accaduto. Saggi e romanzi, come quello di Stephen King intitolato proprio ‘22/11/63, da cui è stata tratta l’omonima serie. Documentari, film come quello del 1991 di Oliver Stone, ‘JFK – Un caso ancora aperto’ e ‘Parkland’ del 2013.
Un attentato che ha di sicuro accresciuto il mito del giovane Presidente, alimentandone per di più leggende sulla sua figura. Forse la tragedia del 1963 è da considerarsi fortemente connessa ad altri due assassini illustri di quel periodo: quello di Martin Luther King del 4 aprile del 1968 e di Robert Francis Kennedy del 6 giugno sempre dello stesso anno.
Un evento che viene ricordato a distanza di anni non solo per la sua rilevanza storica e per le sorti del mondo, ma anche per un aspetto appartenente alla sfera privata di ognuno di noi. Per chi è nato dal 1963 in poi si ricorda perfettamente dove si trovava e cosa stesse facendo l’11 settembre del 2001.
Ciò vale anche per chi è nato prima di quella data si ricorda benissimo dove si trovava e cosa stesse facendo il giorno del 22 novembre del 1963 e di sicuro, cinquantanove anni dopo, il ricordo è ancor più nitido proprio come se fosse solamente ieri, invece il tempo andato molto avanti nel frattempo. Qui sotto una canzone dedicata a quella tragica mattina:
FONTE FOTO WIKIPEDIA: PUBBLICO DOMINIO