Nelle parole del personaggio tutto il dramma non solo di un solo uomo, ma di un’intera nazione

Nella seconda parte di questo lungo speciale dedicato al primo storico e leggendario ‘Rambo’, ci siamo soffermati doverosamente, aggiungiamo noi, sulle sostanziali differenze tra il romanzo di Morrell e la sceneggiatura realizzata in gran parte da Stallone. Il cambiamento più significativo è quello rappresentato dalla scena finale la quale, come è stato specificato più volte in questi anni, non combacia con la visione dello scrittore.

Stallone, nella sua personale prospettiva e fiutando l’affare per la realizzazione di più film, mostrò, fin da subito, di voler lanciare un ulteriore tipo di messaggio. Un messaggio più vicino alla speranza, senza nulla togliere al dramma dell’uomo che si celava dietro alla macchina da guerra che era diventato il reduce del Viet-Nam.

Nel senso che il berretto verde, sul grande schermo non avrebbe mai e poi mai trovato la morte come nel romanzo, ma si sarebbe salvato concretizzando, di fatto, la possibilità di altri sequels. Esattamente ben quattro a partire dal 1985 in poi, ma questa è un’altra pagina della storia del cinema e che verrà approfondita in un altro momento.

Concentrando la nostra attenzione sul primo film, ed in particolar modo sulla scena finale, bisogna ricordare che ne furono girati due: uno è quello che ormai tutti quanti conosciamo, l’altro era quello fedele al romanzo; mostrato come flashback in una scena del quarto film, quando Rambo è in preda ai propri incubi, prima di accompagnare i mercenari nel tentativo di salvare alcuni missionari diventati prigionieri dell’esercito birmano.

In quell’ultima sequenza d’inquadrature, sempre del primo film, composte di parole sofferenti, pianti e commozione, c’è tutta l’immagine di una nazione sconfitta, frustrata la quale si rivede nel proprio eroe perdente per l’ennesima volta dal punto di vista morale. Il suo arrendersi, allo stesso tempo però, è una vittoria. Il cercare per l’ennesima volta, dopo vari tentativi falliti, di immettersi nuovamente nella società civile, seppur priva del classico codice militare: io copro te, tu copri me. ‘Perché non si riesce neanche a trovare posto come parcheggiatore’.

Per quegl’attimi finali del film a Stallone gli varrà il riconoscimento della critica, staccandosi di fatto dal classico cliché dall’attore di soli film action e, quindi, capace anche di ulteriori momenti recitativi di notevole impatto emotivo. Quelle parole, quello sfogo, vengono, non tanto amplificate, semmai valorizzate dalla canzone finale e dal titolo altrettanto eloquente: ‘It’s a long road’, scritta ed interpretata da Dan Hill. Un singolo diventato nel tempo un vero e proprio evergreen.

Non solo, in             quello sfogo c’è tutta la delusione, sempre ulteriore, di aver perso i suoi amici più cari con i quali ha condiviso quella bruttissima esperienza. Considerati, quasi, come una seconda famiglia. Riporta aneddoti di atrocità al quale egli stesso è stato testimone, mostrando anche tutta la frustrazione che è già presente dopo la scena di apertura del film: Rambo si ferma davanti ad una casa ubicata davanti ad un fiume con la convinzione di trovare un suo amico, anch’egli reduce da quella maledetta guerra.

Scoprirà l’amara realtà: di esser rimasto solo di quel gruppo scelto. L’amico, purtroppo, se l’è portato via il cancro nel giro di pochi mesi. Da quel momento in poi la tragedia personale incomincia a diventare sempre più chiara e grande fino a trasformarsi in un’ulteriore guerra personale dalla quale rischia di non uscirne vivo. Le tagline delle locandine dell’epoca riportavano questa frase: adesso deve combattere per la sua vita. Ed è ciò che succede nel film, oltre che nel romanzo.

Su questo leggendario primo film cos’altro dire? Forse è già stato detto tutto, non solamente da noi. In quattro decenni molte cose sono state scoperte, altre verranno rivelate nel corso dei prossimi anni. La sensazione, però, è che si è detto molto, non troppo, ma molto.

Se ne parlato sempre anche con una vena di malinconia, prendendo le difese di colui che quando è tornato in patria è stato chiamato ‘assassino’ perché ‘ha ucciso donne e bambini’. La vera morale del film, per non dire soprattutto, le vere intenzioni è stato quello di far capire che i veri carnefici della guerra in Viet-Nam non furono coloro che vennero inviati al fronte, no. Semmai quelli che organizzarono quella guerra.

Rambo, nella sua essenza, ne è un emblema tragico, ma di grande impatto. Capace di lasciare un segno indelebile non solo nelle generazioni che hanno vissuto quel periodo, ma anche di coloro vedono per la prima volta il film. Un action movie, certo. Uno grosso spettacolo per intrattenere il pubblico, anche. Nulla però toglierà alla pellicola il valore storico insito, con l’unico vero scopo: di non far mai dimenticare alle nuove generazioni ciò che accade in quegli anni negli Stati Uniti d’America.

https://www.youtube.com/watch?v=cx6agRT5Pr4

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