In ‘Le vie del Signore sono finite’ affrontò i lati negativi del sentimento più nobile: l’amore
Massimo Troisi nella sua fulminea ed irripetibile carriera, in ambito cinematografico, ha sempre analizzato, attraverso ogni sfaccettatura, il nobile sentimento dell’amore. Lo ha fatto in ‘Ricomincio da tre’, ‘in ‘Scusate il ritardo’ e non fu da meno neanche in un altro suo film datato 1987: Le vie del Signore sono finite.
Prosegue, dunque, l’appuntamento con la particolare serie di articoli dedicati all’ottima annata del cinema, il 1987, e rispetto a venerdì scorso con un giorno di ritardo, insieme anche alla rubrica: ‘Film Consigliato’. Motivo: ci siamo recati all’International Cilento Film Festival che tra ieri e oggi si sta svolgendo a Paestum. Proprio nella serata di ieri, dopo tre giorni itineranti in alcuni piccolissimi comuni della Campani, lo sfortunato attore scomparso nel 1994 è stato l’assoluto protagonista di una serata tutta dedicata a lui. Ma di questo ne parleremo meglio nel prossimo articolo.
Ritornando al film, forse, rispetto alle altre sue opere sul grande schermo, in quella sua interpretazione, c’era tutta la volontà di affrontare la disamina dell’amore nel momento in cui, a causa di una rottura, l’amore stesso diventata una malattia.
Un classico, diremmo. Invece no, perché l’indimenticato attore di San Giorgio a Cremano in questo film scritto, diretto ed interpretato da lui, s’inventa uno stratagemma per attirare l’attenzione del pubblico, almeno per proporre un elemento originale in tema sentimentale.
Il suo personaggio è bloccato su una sedia a rotelle. Nessuna lesione del fisico, il suo medico imputa la sua condizione ad una malattia psicosomatica causata proprio dalla rottura del fidanzamento con la propria ragazza. Una bella giovane francese che si trova in Italia. Durante il viaggio in treno, di ritorno da Lourdes, Camillo, questo il nome del personaggio di Massimo Troisi, e accompagnato da suo fratello Leone, il cui volto è quello di Marco Messeri, stringe amicizia con Orlando, interpretato da Massimo Bonetti, realmente su una sedia a rotelle.
Orlando scrive delle lettere, camuffate da poesie, rivolte ad una cameriera austriaca ma che non ha il coraggio d’inviargliele a causa della sconfitta della Austria, durante il Primo conflitto mondiale. Il film è ambientato durante l’epoca mussoliniana. Camillo, una volta tornato a casa, scopre la sua adorata, di nome Vittoria ed interpretata da Jo Champa, si sarebbe messa con un altro. Eppure, lei sembra non aver troncato del tutto i rapporti con Camillo.
In quello che sembra comunque un capriccio di colui che non vuole lasciare andare la bella amata, c’è alla base una gelosia sepolta da una grossa paura di rimanere senza la persona amata, la vera causa della malattia. Per una strana coincidenza, le gelosie di Camillo raggiungono l’apice, al limite dell’isteria, in due momenti del film: in una scena in cui è presente anche il grande Enzo Cannavale, in un altro momento, proprio quando a nominare Vittoria è proprio Orlando il quale, dopo essersi allontanato, scopre che in verità che Camillo cammina tranquillamente sulle proprie gambe.
Premiato nel 1988 con due Nastri d’Argento, uno per il miglior attore non protagonista, a Marco Messeri, e per la miglior sceneggiatura, scritta come detto proprio da Massimo Troisi, il film più uno spaccato di un periodo storico è, in verità, una sorta di psicoanalisi sugli effetti negativi dell’amore. Un’anamnesi semplice ma approfondita, perché nel profondo dell’animo umano.
In ultimo non va dimenticato che la trama è accompagnata dalle splendide musiche di Pino Daniele, che hanno nel loro culmine nella canzone ‘Qualcosa arriverà’.