E siamo giunti all’ultima parte della storia della Graphic Novel. Avremmo dovuto chiudere la scorsa settimana, ma la settimana di Ferragosto ha un po’ rallentato i lavori come spesso succede. Così, quest’ultimo appuntamento con questo rapido excursus storico permetterà il rinvio, ulteriore e per la prossima settimana, dello sdoppiamento delle due rubriche fino adesso unite proprio dalla Graphic Novel: ‘Angolo Letterario’ e ‘Il mondo dei fumetti’.
Come abbiamo precisato nel precedente appuntamento l’anno 1992 per la graphic novel è stato quello della consacrazione. Un’opera, un volume che ha conquistato un premio e quindi inteso come un riconoscimento inequivocabile, il quale a sua volta cambiò il corso della storia di questo modo di raccontare e proporre storie. A metà strada, come abbiamo detto per più di un’occasione, tra un romanzo ed un fumetto. In questo che è di fatto l’ultimo appuntamento con questa serie di articoli interamente dedicati sulla storia della graphic novel, andremo a ricordare, più che ad analizzare, la storia con la quale Art Spiegelman conquistò, addirittura, il premio pulitzer: Maus.
Ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, Spiegelman riuscì, rispetto ai suoi predecessori e quindi illustri colleghi, ad arrivare dove gli altri non si erano neanche sognati di avvicinarsi. La consacrazione, e quindi anche il conseguente premio dell’opera, non era dovuto solamente per il racconto del secondo conflitto mondiale. No, era qualcosa di più. qualcosa che aveva inorridito gli europei e tutto il mondo dopo la scioccante scoperta: l’Olocausto.
Una tematica non semplice. Una tematica più da saggio, da romanzo che da fumetto. Spiegelman ebbe il coraggio di osare e alla fine venne riconosciuto il suo talento. ‘Maus’ è composto da ben undici capitoli. I primi sei vennero pubblicati nel 1986, mentre gli altri cinque nel 1991. Quest’ultimi, in Italia, giunsero l’anno successivo. L’anno della consacrazione: il 1992.
La storia è spezzettata da una serie di istantanee che mostrarono il difficile rapporto che lo stesso autore ha avuto con il padre. Difatti il genitore dell’autore aveva assunto uno stile di vita impossibile da sopportare ed era imposto anche a chi gli stava intorno. Art si presentava apparentemente indifferente per quanto il padre avesse subito durante quel tremendo periodo della storia personale e mondiale.
Questi furono i giudizi rilasciati dalle grandi testate e anche scrittori, a cominciare da Umberto Eco: ‘Maus è una storia splendida. Ti prende e non ti lascia più. quando questi due topini parlano d’amore, ci si commuove, quando soffrono si piange. A poco a poco si entra in questo linguaggio di vecchia famiglia di Europa Orientale, in questi piccoli discorsi fatti di sofferenze, umorismo, beghe quotidiane, si è presi dal ritmo lento e incantatorio, e quando il libro è finito, si attende il seguito con disperata nostalgia di essere stati esclusi da un universo magico’.
Il New York Times: un’epopea narrata a disegni minuscoli; l’Associated Press: Spiegelman ha trasformato la Germania nazista in una mostruosa trappola per topi… semplice e di grande respiro; il Washignton Post: Una riuscita trionfale, tranquilla, commovente, semplice… impossibile da definire con precisione, e impossibile da ottenere in forme diverse dal fumetto; il curatore capo del Jewish Museum: un impressionante documento visivo. Le minuscole figure animali che si muovono, si vestono e parlano come esseri umani diventano una metafora dell’esperienza ebraica.
Infatti, la genialità di Spielgeman fu quella di raccontare le atrocità di quel periodo fruendo come personaggi degli innocenti topini, i quali rappresentavano la perfetta metafora di ciò accadde al popolo ebreo.