La ‘Scuola di Posillipo’ è il punto di convergenza di importanti sensibilità creative che confluiscono in una pittura che sembrava non dovesse andare al di là di un souvenir per turisti e che è capace, invece, di proporsi come esperienza europea di altissimo profilo
Difficile parlare di Ottocento napoletano, e, al suo esordio, di ‘Scuola di Posillipo’, senza lanciare uno sguardo all’indietro, osservando il lascito della tradizione settecentesca.
Non è al Settecento rococo o neoclassico, però, che bisogna guardare per osservarvi le premonizioni artistiche delle sensibilità creative del nuovo secolo nel segno della innovazione che saprà suggerire la ‘Scuola di Posillipo’.
Piuttosto, occorrerà osservare l’intelligente delibazione illuministica di Gaspare Traversi o la puntuale ‘calligrafia’ di van Wittel o di Joli; non meno importanti andranno giudicate le compostezze del Mengs e le friabili proiezioni naturalistiche di J. Ph. Hackert, né, soprattutto, occorrerà dimenticate le straordinarie interpretazioni dei ‘muri’ napoletani che saprà rendere Thomas Jones.
- Jones, ‘Muri di Napoli’
Partiamo proprio di qui, dall’arrivo a Napoli, nel 1780, di Thomas Jones, che vi giunge, per un soggiorno più stabile, portando con sé la donna che ama, Maria Moncke, sua domestica. L’artista rimarrà nella città partenopea per un periodo di tre anni, in cui gli nascono anche le sue due figlie, andandone via dopo aver dato vita ad una importante produzione artistica che si rivela anticipatrice delle sensibilità propriamente posillipiste e poi barbizonnières.
Nelle opere di Jones di piccole dimensioni, che raffigurano i tetti ed i muri di Napoli c’è tutta la forza e l’anticipazione premonitrice della coscienza creativa che maturerà solo molto più tardi, nel ‘900, quando la sensibilità ‘informale’ saprà dare il giusto significato rivelativo alle consistenze espressive della carica materica.
Più immediatamente, però, questo pittore gallese, che viene snobato dalla comunità artistica – e che, perciò, finisce col concentrarsi sulle vedute-visioni di ciò che scorge intorno a sé, cortine murarie apparentemente anonime e sbrecciate – questo pittore, dicevamo, più immediatamente anticipa le poetiche della ‘Scuola di Posillipo’, che possono essere riassunte nella disposizione a creare una pittura di grande vibratilità emotiva, rapida nel tocco e godibilmente leggibile negli assetti compositivi.
Thomas Jones anticipa, insomma, quelli che saranno i frutti della ricerca dei due grandi caposcuola posillipisti, Anton Sminck Pitloo e Giacinto Gigante, costruendo una pittura che potremmo definire di ambiente e di atmosfera.
- S. Pitloo, ‘Boschetto Francavilla al Chiatamone’
Nel celebre soggetto pittorico di Pitloo del ‘Boschetto Francavilla al Chiatamone’ , l’artista sembra collegarsi idealmente ai ‘muri’ di Jones e riagganciarsi, peraltro, alle atmosfere sospese della pittura di un altro artista che giunge a Napoli nei primi dell’800, Christian Dahl, che si prodiga in un impegno creativo che viene fortemente sollecitato dalla straordinaria esuberanza naturale dei luoghi partenopei e del suo circondario.
- Dahl, ‘La Reggia di Quisisana’
Intanto, i Posillipisti vanno avanti e superano il pregiudizio che li vuole autori di semplici vedute da vendere ai turisti.
- Gigante, `Tramonto a Caserta’
- Gigante, ‘Tempesta in Costiera’
La loro pittura – del contesto fanno parte, tra gli altri, anche personalità come quelle di Gabriele Smargiassi, Achille Vianelli, Teodoro Duclère, Consalvo Carelli, ed altri – si rivela essere il prodotto di una ricerca figurativa matura e complessa, che non si limita ad offrire una immagine paesaggistica illusiva e fascinosa, ma produce, piuttosto, un contributo di analisi ‘naturalistica’, ove l’aggettivazione di ‘naturalistica’ non va intesa come prolessi positivistica, ma come pienezza di coscienza d’una appartenenza romantica nutrita di un retroterra illuministico e razionalistico senza alcuna concessione ai formalismi accademici o classicistici.
- Duclère, ‘Mergellina’
- Duclère, ‘Casa del Tasso a Sorrento’
Di fatto, la ‘Scuola di Posillipo’ inaugura una pittura en plein air che sarà poi ampiamente sviluppata dapprima dai cosidetti Barbizonniers e, poi, dagli Impressionisti. È, inoltre, quella posillipista, una pittura in cui si raccolgono in sintesi le istanze romantiche che pervadono l’ Europa di questo primo ‘800, ispirate dalle prospettive più evanescenti e fumose di Turner (anch’ egli in soggiorno a Napoli nel ’20), non meno che da quelle più raccolte e compatte di Friedrich.
- Turner,’ Eruzione del Vesuvio’
E se Pitloo puo essere considetato certamente la grande mente che ispira questa pittura napoletana, cui solo piu tardi, Pasquale Villari (1867) saprà riconoscere la configurazione di ‘scuola’, è a Giacinto Gigante che spetta tutto il merito d’esserne considerato l’ineffabile e squisito poeta.
- Carelli, ‘Palazzo Donn’Anna a Posillipo’
Il prodursi nel tempo della tradizione posillipista sarà lungo, alimentato (ma anche tradito) da quanti partecipano di questo contesto storico assolutamente particolare ed irripetibile; e il tempo più stretto della sua evoluzione andrà considerato concluso – per la sua fase più fertile – entro la fine del decennio dei ’30.
Parallelamente succedono altre cose e la stagione posillipista rimane come un riferimento in qualche modo coperto da una sorta di nebbia soffusa, che sarà possibile dissolvere con consapevolezza storica e critica solo molto tempo dopo, grazie anche al decisivo contributo di studiosi come Ortolani e Causa.
- Corot, ‘Il Golfo di Napoli con Castel dell’Ovo’
Intanto, può non essere peregrino osservare che le cose napoletane posillipiste erano state osservate anche da Corot e da Catel (entrambi a Napoli nel corso degli anni ’20), a testimonianza, tutto ciò, che, in una condizione di fertile interscambio, la creatività partenopea di primo’ 800 aveva fornito un suo contributo propositivo, originale e fattivo, al contesto contemporaneo europeo: dalla ‘Scuola di Barbizon’, alle varie declinazioni nazionali e locali della temperie romantica e dei suoi ampliamenti prospettici.