‘E.T – L’extraterrestre’, un capolavoro che ha emozionato intere generazioni, uscì nelle sale cinematografiche americane l’11 giugno 1982. Nell’affrontare l’analisi della fantascienza cinematografica, salvo per alcuni casi, l’alieno è stato quasi sempre rappresentato o proposto come il “cattivo” e “invasore”. Con E.T. l’idea dell’alieno buono entra nell’immaginario collettivo, evidenziando l’aspetto allegorico e fiabesco di una storia avvincente.
La genesi di questo film risale ai tardi anni 70. Spielberg venne a contatto con una strana storia, intitolata “Night Skies”, che narrava di alieni, simili a Gremlins, i quali arrivavano sulla Terra e stazionavano in una fattoria isolata terrorizzandone i suoi abitanti. Alla fine, però ripartivano, lasciando un membro dell’equipaggio sul nostro pianeta. Fu questo singolo spunto di storyline ad ispirarlo e ne parlò con la sceneggiatrice Melissa Mathison, (all’epoca moglie di Harrison Ford). Melissa iniziò subito a lavorare nel progetto più importante della sua carriera, riuscendo a calibrare i sentimenti di due personaggi lontani dalla loro provenienza ma simili nella loro sensibilità.
Il casting fu risolto abbastanza in fretta: l’unico ruolo che comportò una scelta più elaborata fu quello di Elliott, infine assegnato ad Henry Thomas. Ma il compito più difficile di tutti era “creare” E.T. Spielberg, infatti, voleva che fosse repellente, ma non ispirasse malvagità e pensava ad una specie di tartaruga senza il guscio. Lo scopo era creare un essere che penetrasse nel cuore degli spettatori non per il suo aspetto fisico, per la sua bontà interiore. Il progetto fu pertanto affidato al noto illustratore Ed Verreaux, anche se poi il merito maggiore fu di Carlo Rambaldi, che ideò la forma definitiva e soprattutto fece risaltare gli occhi, come espressamente richiesto da Spielberg.
Il tecnico e progettista ferrarese Rambaldi, grazie a complessi sistemi elettrici e idraulici ha dato vita a numerosi personaggi: come King Kong e il mostro di Alien. Durante le riprese furono costruiti dei modelli meccanici di E.T., che furono trattati come dei protagonisti ‘reali”. A dare la voce all’alieno fu invece un’anziana attrice non professionista, Pat Welsh, la cui voce fu miscelata a quella di altre voci e versi di animali, per un totale di 18 diverse fonti vocali, tutte unite per dar vita alla voce dell’alieno. Le riprese durarono 65 giorni e furono effettuate in California.
Spielberg da buon cinefilo, non si risparmia anche in qualche piccola autocitazione, come quando Elliott mostra a E.T. i suoi pesci rossi e mima l’attacco di uno squalo ai loro danni, richiamo palese al precedente Jaws (1975), in Italia, per l’appunto, ‘Lo squalo’. Ma c’è spazio anche per il carpenteriano Halloween (1978, nelle soggettive dell’alieno mascherato durante la parata), per Miracolo a Milano di De Sica (1951, per le biciclette che volano).
Il resto, come si dice, è storia: il film ebbe un gradimento enorme, rimase per più di un decennio in cima alla lista degli incassi di molti paesi del mondo e vinse 4 Oscar (Colonna sonora, suono, effetti sonori, effetti visivi per Carlo Rambaldi). I produttori
subito invocarono un sequel, idea però sempre avversata da Spielberg. Per il ventesimo anniversario la Universal e Steven Spielberg hanno rilanciato il film nelle sale: reinserendo alcune scene tagliate all’epoca (per non appesantire la storia o perché non furono completate). Oggi grazie alla Computer Grafica queste sequenze sono state rifinite e reintrodotte nel film: fra le altre va menzionata una sequenza in cui Elliott cerca di fare il bagno al piccolo alieno. Il punto più controverso riguarda però due piccole alterazioni del film originario: la sostituzione delle armi dei poliziotti con più innocui walkie-talkie e della parola “terrorista” con “hippie”. Il film dopo il restauro e i ritocchi è stato modificato solo del 3%, perciò non sminuisce l’integrità della prima versione dell’opera.
I due protagonisti Elliott ed ET compiono un percorso di progressivo avvicinamento all’alterità, attraversando le fasi della scoperta, dell’incontro, della conoscenza, della crescita nel rapporto con l’altro, della messa in comune, della relazione amicale. Lo sguardo della macchina da presa assume, in questa pellicola un ruolo fondamentale nella costruzione della fisionomia dei personaggi e nell’esplicita creazione di un punto di vista che guida lo sguardo dello spettatore all’interno alla narrazione.
Potendo rivedere alcune sequenze significative potrebbe essere interessante individuare soggettive e fuoricampo e riflettere sul significato di scelte linguistiche cinematografiche da parte del regista. Anche i movimenti di macchina, soprattutto nelle scene di fuga-inseguimento, servono per creare dinamismo dell’azione e aumentare la partecipazione emotiva dello spettatore.
Il tempo del film – il montaggio parallelo/alternato: particolarmente significativa è quella che vede Elliott ed E.T. ormai uniti da una speciale simbiosi: l’alieno a casa beve la birra ed Elliott a scuola si sente ubriaco.
E.T. rappresenta anzitutto una parabola sul bisogno di comunicazione universale che finisce per unire due creature lontane, nel segno di un’amicizia pura, coinvolgente, un a sorta di empatia psico-fisica.
L’alieno viene subito presentato come una figura eccezionale, infatti è in grado di sollevare gli oggetti con la forza del pensiero, di guarire le ferite di umani (quindi animali) e vegetali, la sua capacità di apprendimento è notevole e, infine, risorge dalla
morte grazie alla forza infusagli dall’amore di Elliott. È insomma una specie di “superuomo spaziale”, ma allo stesso tempo finisce per incarnare a meraviglia il ruolo fiabesco di compagno ideale che un bambino calato in una situazione difficile come Elliott non può non desiderare. Il piccolo protagonista, infatti, è tutt’altro che fortunato: i due fratelli sono comunque posti su un piano percettivo diverso dal suo (troppo grande Michael, troppo piccola Gertie), il padre è completamente assente e la madre lavora per mantenere la famiglia ed è spesso fuori casa. Per contro la sua camera si presenta ricolma di doni, sintomo evidente della volontà materna di colmare il vuoto lasciato dalla sua scarsa presenza in casa, delegando le proprie manifestazioni affettive al giocattolo.
A causa di questa solitudine, che E.T. diventa l’amico del cuore di Elliott: gli adulti sono tenuti all’oscuro della sua presenza, non a caso Elliott dice a Gertie che i “grandi” non possono vederlo; soltanto quando il pericolo esterno rappresentato dagli adulti (gli scienziati cattivi) minaccia irreparabilmente il futuro di E.T., i tre ragazzi decidono di rivelarne la presenza alla madre, che però, spaventata, lo rifiuta istintivamente.
In questo senso è interessante notare che il film pone in essere una vera e propria dicotomia fra un mondo adulto ossessionato dalla logica scientifica (gli scienziati che studiano l’alieno ed esultano alla scoperta del suo DNA) e quello dei bambini, più propriamente fantastico, privo cioè dei preconcetti legati a una esasperata razionalità e perciò sbilanciato verso una dimensione universale degli affetti.
I ragazzi dovranno cavarsela da soli contando sulle loro forze per portare a termine l’evasione del loro amico galattico. Come sempre nel cinema di Spielberg, anche questo film risulta un grande affresco sulla forza della vita contro ogni forma di emarginazione e anche come indagine/riflessione sulla solitudine infantile.