In una famosa intervista rilasciata alla Rai, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini diede una grande lezione di democrazia e di rispetto dell’altrui pensiero, affermando quanto segue: “Vede, io son fedele al precetto di Voltaire ed è questo: dico ai miei avversari << io combatto la tua fede, che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sino al prezzo della mia vita, perché tu possa sempre esprimere liberamente il tuo pensiero”.
“Ecco qual è la mia posizione. Cioè io non sono credente ma rispetto la fede dei credenti. Io ad esempio sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri. Me la discuto, posso discutere, anzi discuto con loro, polemizzo con loro, ma loro sono padroni di esprimere il loro pensiero, cioè io son democratico in questo senso, veramente”.
Le parole di Pertini sono ancora attuali, alla luce dell’intenso dibattito scatenato dalla guerra di aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina e della mobilitazione culturale che ne è seguita.
Ed invero, anche il mondo culturale, che del resto sempre accade in caso di guerra, si è ritrovato improvvisamente richiamato dal vortice del conflitto e dalla necessaria (per alcuni) esigenza di schierarsi con l’uno e contro l’altro.
Proprio come i riservisti di un esercito, strappati alla tranquillità delle loro case e gettati nel calderone della guerra, anche gli intellettuali sono stati chiamati alla guerra, alla mobilitazione culturale.
Quasi quasi come se il dibattito culturale di una nazione democratica debba necessariamente intendersi come una lotta fra indiani e cowboys (ovviamente nel senso delle pellicole pro-uomo bianco degli anni 40 e 50),
I primi esempi di questa mobilitazione culturale (in chiave esclusivamente antirussa) si sono avvertiti già all’inizio del mese di marzo, quando l’Università Bicocca ha deciso di sospendere il corso di Paolo Nori su Fedor Dostoevskij decisione fortunatamente ritirata dopo la levata di scudi in favore di Nori.
Come ha spiegato Nori a diverse testate giornalistiche, la decisione dell’Università era evidentemente legata alla necessità di evitare polemiche interne, visto il difficile quadro internazionale.
Questo episodio di “tentata” censura è ancor più grave se si pensa che intento dell’Università era quello di sospendere un corso di lezioni su Dostoevskij, un uomo condannato come dissidente politico prima alla pena di morte e poi alla deportazione in Siberia.
Per comprendere la portata delle accuse a Dostievskij è sufficiente richiamare uno stralcio della relazione finale redatta dai Commissari di Inchiesta Nabokov, Dolgorukov, Rostovtsev, Dubel’t e Gagarin: “non è facile la definizione giuridica di un reato che non è stato commesso”.
Contemporaneamente al caso Nori, la battaglia culturale si è scatenata attorno alla Scala di Milano, quando il Sindaco di Milano e Presidente del Teatro della Scala, ha inviato una lettera al maestro d’orchestra Valery Gergiev (amico di Putin) di prendere le distanze dalla guerra.
Alla lettera Gergiev non ha mai dato risposta.
Al caso di Gergiev si è aggiunto quello della soprano Anna Netrebko che, attesa alla Scala il 9 marzo per una rappresentazione dell’«Adriana Lecouvreur» di Francesco Cilea, ha preferito dare forfait.
Va tuttavia detto che la Netrebko, forse per evitare polemiche, ha condannato pubblicamente la guerra in corso mediante i suoi profili social.
A gettare acqua sul fuoco è poi intervenuto, Dominique Meyer sovrintendente del Teatro alla Scala, il quale ha dichiarato alla stampa “di essere contrario a una black list sugli artisti russi”.
Mayer ha poi proseguito che “Noi non faremo mai discriminazioni né sui titoli né sugli artisti. Sono stato il primo a chiedere a un artista importante come il Maestro Gergiev di distanziarsi dalla guerra, ma c’è differenza tra qualcuno che ha una posizione politica e dei doveri, e artisti che fanno il loro lavoro”.
Infine: “Non sono un giudice e non voglio decidere cos’è giusto o sbagliato. Noi siamo contro la guerra, contro questi massacri, crediamo al dialogo, al rispetto dei popoli, ma perché voler cancellare artisti solo perché russi? Soffrono, hanno problemi, hanno i loro parenti a casa. La realtà è più complicata, ci sono artisti russi legati a colleghi ucraini”.
Risparmiato dal fuoco delle critiche non è stato nemmeno il Professor Alessandro Orsini, associato nel Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss, dove insegna Sociologia generale e Sociology of Terrorism, nonché Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS e del quotidiano Sicurezza Internazionale.
Giovedì 10 marzo, Orsini era ospite del programma televisivo “Piazza Pulita” di Corrado Formigli, e prima del suo intervento, ha pronunciato le seguenti parole << Parlo a titolo personale. Non rappresento nessuno, condanno l’invasione della Russia, sto dalla parte degli ucraini. Penso che quando un professore universitario prima di parlare deve fare tutte queste premesse vuol dire che non c’è un bel clima>>.
Le parole di Orsini sono state pronunciate a seguito della reprimenda ricevuta pubblicamente dalla sua Università (e che si pubblica assieme al presente articolo).
Orsini, infatti, era stato ospite di Formigli già nella serata del 3 marzo, in cui si era contraddistinto per alcuni ragionamenti controcorrente e non sforniti di argomenti, dove aveva criticato aspramente la Nato e l’Unione Europea.
In quella puntata Orsini si era anche reso protagonista di un dibattito acceso con la penna del Corriere della Sera Federico Fubini.
Tuttavia, le dichiarazioni di Orsini non sono sfuggite alla Luiss, la quale ha emesso un comunicato con cui invitava Orsini ad “attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti ed all’evidenza storica, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’Intero Ateneo”.
Ciò ha costretto Orsini a questa sua professione di personalità delle proprie opinioni, prima di poter esprimere nuovamente il suo pensiero e di confrontarsi con nuovo vigore con gli ospiti presenti in studio: Paolo Miele, Nathalie Tocci e Mario Calabresi.
Ad onor del vero, tuttavia, bisogna aggiungere che nella puntata del 3 marzo, il Prof. Orsini non manifestò in alcun modo che quanto lui stesse dicendo fosse espressione del pensiero dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS o anche dell’intero Ateneo.
In ogni caso, condivisibili o non condivisibili, le opinioni di Orsini sono pur sempre espressione di libero pensiero e come tali devono essere accettate e finanche contrastate esclusivamente con l’utilizzo delle parole e degli argomenti.
La via da seguire non è certo quella dei comunicati o dei richiami all’ordine, obbligando un accademico a precisare il carattere strettamente personale di quello che dice.
Mala tempora currunt avrebbero detto i latini.