Possiamo giudicare la Section d’Or come uno dei primi tentativi di ibridazione tra sensibilità artistiche di varia ispirazione volte ad indagare sul reale fenomenico in termini che si differenziano dalla riproduzione pedissequamente realistica del dato.
Nel corso degli anni che precedono lo scoppio della prima guerra mondiale, unitamente col fervore creativo che animava il periodo che segnava gli ultimi ansiti di una cultura di effervescenza propositiva, sottilmente animata ancora da irriducibili istanze simbolistiche, si sviluppa una ricerca artistica che trae partito da premesse che potremmo anche definire tardoimpressioniste, come quella di Cezanne, che, in fondo, si era interrogato se non potesse essere possibile procedere ad ampliare l’esperienza avviata da Monet, integrandola ed arricchendola con un intervento di scomposizione dell’immagine nei suoi costituenti volumetrici primari e di base.
Cezanne, anticipatore della temperie cubista, produsse, in ispecie, delle prove figurative, molto significative e rese con insistita sperimentazione, della montagna di Sainte Victoire, che testimoniano della sua volontà di indagare sulla possibilità che si sarebbe offerta di esaminare uno stesso soggetto studiandone le molteplici opportunità di una sua lettura ‘volumetrica’ che sarebbe potuta emergere dalla sua scomposizione in parti.
Monet aveva fatto qualcosa di analogo, procedendo, come Cezanne, ad insistere sulla ripetizione seriale di un unico soggetto, ma con una differenza radicale: anche Monet, infatti, ripeterà la sua raffigurazione della Cattedrale di Rouen in numerosissime ‘repliche’, come fa Cézanne per Sainte Victoire, ma tra i due la dirimente è decisiva, giacché, mentre in Monet la scelta è quella di considerare lo stesso soggetto in varie ore della giornata, in Cézanne la scelta è di osservare la ‘stessa’ montagna ma non in ore diverse, bensì secondo contestualizzazioni ambientali diverse.
Nel primo caso la ‘differenza’ è temporale, nel secondo nettamente ‘spaziale’.
Questa differenza temporo-spaziale costituisce, a nostro sommesso giudizio, la dissomiglianza radicale che definisce ‘anche’ un’altra dirimente: quella tra Astrattismo e Cubismo, dal momento che, mentre il primo, l’Astrattismo, provvede ad intervenire ‘analiticamente’ sulle cose, il Cubismo interviene su di esse, invece, ‘scompositivamente’.
L’analisi implica, evidentemente, la considerazione di un gradiente temporale, dal momento che lo strumento analitico dell’ordinamento matematico nella serie numerica definisce necessariamente una disposizione distributiva, che, proprio in ragione della successività, stabilisce un prima e un dopo: due, dopo di uno; e ‘prima’ e ‘dopo’ implicano la considerazione del tempo.
Di contro, l’intervento scompositivo non implica una successione temporale, ma la semplice considerazione della aggregazione o della disaggregazione delle parti di un oggetto che occupano una certa porzione spaziale corrispondente a null’altro che all’insieme delle parti stesse.
Quando alcuni artisti decidono nel 1912 di riunirsi a riflettere sulle ragioni che impedivano alla loro ricerca di essere apprezzata nel contesto delle istituzioni espositive ‘ufficiali’ ed immaginano di dover procedere ‘a fare qualcosa’, non possono che convergere nella considerazione che sarebbe stato di fondamentale rilievo approfondire le ragioni della propria originalità rendendo più significativa e più forte sul piano propriamente teoretico la propria proposta, arricchendola sul piano della consapevolezza e di una credibilità che vorremmo tentare di definire ‘scientifiche’.
Nasce la cosiddetta ‘Section d’or’ , quando istanze astrattive ed interventi di proposta cubista sono già in atto da qualche anno ed appare significativo poterne trovare una sorta di sintesi, che si presenta di fertile opportunità se a valorizzare il portato di tale progetto può essere un argomento esteticamente, oltre che scientificamente, molto convincente: la sezione aurea, quel rapporto speciale, cioè, che, ‘ab antiquo’ , consente, in una prospettiva astrattiva, alla creatività artistica di conseguire la misura dell’ordine e dell’armonia.
Tutto ciò ci convince ad accreditare in punto di valutazione critica piuttosto l’ispirazione meditativa e ‘scientifica’ della Section d’or, che non quella di natura apparentemente mistica e sfuggente di concezione ‘orfica’.
Non è da trascurare il dato che storicamente possiamo apprezzare della incidenza del contributo offerto, in tale prospettiva, da artisti di varia provenienza ed estrazione e ci piace ricondurre a questo contesto, tra gli altri, quello di Frantisek Kupka, che si propone come personalità indipendente e di snodo, effettivamente capace di apportare un proprio contributo originale per una risposta efficacemente credibile nell’istanza della sintesi cubo-astrattista.
Di fatto, ci piacerebbe sostenere un suggerimento critico di particolare indirizzo che si volga ad evidenziare come l’ottenimento di questa prospettiva di sintesi si renda possibile nell’opera di Kupka proprio nel momento in cui essa si propone, proiettivamente, come un aspetto specifico di una processualità più ampia: quella, in particolare, che avrebbe consentito, più tardi, di coniugare l’istanza eidetica di matrice astrattiva con le sensibilità materiche e di consistenza gestuale.
In tale direzione avrebbero operato, ma più avanti nel tempo, i cosiddetti ‘Jeunes Peintres de la tradition française’, ed anche altri artisti, peraltro, come Nicolas De Stael, che avrebbero dato corpo, infatti, ad una produzione di opere capaci di stringere in sintesi producente ansiti geometrici e vibratilità materiche.
Alla stregua di tali considerazioni, assumono un proprio significato particolarmente intrigante le opere di alcuni artisti che possono essere ricondotte alla messa a punto di una disposizione alla sintesi analitico-scompositiva (ben evidenziata anche teoreticamente da Metzinger) e di cui un lavoro come quello di Marcel Duchamp del ‘Nu descendant un escalier’ costituisce certamente una esemplificazione magistrale di come potesse essere possibile immaginare un intervento creativo che, sia pur animato da un intento apparentemente di ordine scompositivo, lasciava trasparire in tralice anche un’istanza più intima e coinvolgente di ragioni analitiche. Ed esse sono emergenti come suggerimento – o, se si preferisce, come richiamo – ad una considerazione del ‘fattore-tempo’ come ulteriore gradiente alla cui stregua modellare un progetto non più semplicemente ‘scompositivo’, ma anche ‘analitico’ del dettato fenomenico.
Né può sfuggire, evidentemente, che tale abbrivio – letto alla luce della determinazione di forte presa di coscienza che costituisce la determinazione contenutistica della ‘Section d’ or’ – si presenta come snodo logico di forte accreditamento del ruolo che è chiamato a svolgere il ‘fattore-tempo’, sia nella prospettiva di sintesi analitico-scompositiva della ‘Section d’ or’ appunto, sia in quella di ordine ‘concettuale’ che andava animando, di suo, in particolare Duchamp.
Non sarà inopportuno ricordare, in proposito, che, proprio tra il ’12 e il’ 14, si svolge nel 1913 l’Armory Show a New York, che segna la data ufficiale di nascita della temperie appunto ‘concettuale’, al cui interno le istanze della ‘Section d’ or’ offrono un contributo leggibile anche in termini epistemologici e, comunque, di prospettiva significativamente estensiva della sola mera misura scompositiva nella quale il Cubismo aveva immaginato che si potesse ridurre il rapporto fattuale con gli oggetti, dopo aver messo in soffitta l’idea ottocentesca di stampo positivistico che la misura ‘naturalistica’ potesse garantire un soddisfacente risultato di oggettività figurativa.
Abbiamo detto di Duchamp e dell’istanza ‘concettuale’, ma di non minor rilievo andrà giudicato il contributo fornito da Sonia e Robert Delaunay, che hanno il merito di introdurre con altra metodologia d’intervento, rispetto a Duchamp, il tema della necessità di considerare il fattore-tempo come un aspetto di fondamentale rilievo delle dinamiche astrattive.
Certamente la loro ricerca non trovò immediata corrispondenza nelle prammatiche più rigorosamente geometrizzanti della coscienza astrattista, ad esempio, di ‘de Stijl’, ma avrebbe trovato corrispondenza – se non per consapevolezza diretta e di ordine esemplaristico, ma almeno per una sorta di risonanza armonica, appena un po’ più tardi, – nell’opera di Joaquin Torres Garcia, che, proponendo di concentrare la riflessione sulla consistenza problematica del rapporto cerchio-quadrato, avrebbe introdotto un ulteriore e decisivo contributo per l’assunzione dell’ ‘irrazionale matematico’ all’interno della sensibilità astrattiva.
Van Doesburg avrebbe poi tratto, infine, con autorevole consapevolezza, le ‘conclusioni’ da tutto ciò.
E non è, forse, per una mera casualità che egli contribuisce in modo diretto a prevedere una copertina per una mostra della Section d’Or, che verrà resa nel 1920, quando, in fondo, egli sta già maturando la proposta innovativa dell’apertura al ‘Concretismo’.