Abbiamo provveduto a coniare alcuni anni fa – nel contesto di una nostra ricostruzione storiografica della pittura napoletana nel corso dei secoli, dall’età paleocristiana fino alle soglie del 2000 – una locuzione particolare, quella di ‘Scuola di Orta’ entro il cui perimetro abbiamo inteso raccogliere alcuni artisti, come il Finoglia, il De Popoli, il Marullo, il Garzillo, tutti allievi di Massimo Stanzione, indiscusso protagonista della stagione centrale del secolo del ‘600 napoletano.
Di fatto, accomuna tali artisti la provenienza di nascita ed il legame molto solido con il territorio atellano, quello che, in particolare, veniva definito ‘Casale di Orta’, avendo noi cura di additare che non solo questa condivisione di origine ma anche il consolidato rapporto di lavoro gioverà nel tempo a rendere sempre più solido il loro rapporto.
Massimo Stanzione è il protagonista di un révirement della pittura caravaggesca, e tale intervento creativo del Nostro consiste nel fare in modo che la luce potesse non solo, come in Caravaggio, ‘rivelare’, le cose, ma anche avvolgerle e renderle confidenziali e presenti.
Si comprende bene, quindi, che la pittura dello Stanzione si rivela più morbida e flessuosa, certamente meno propensa a spingersi verso soluzioni di arrischiati sbattimenti d’ombra, scegliendo di raccogliere in modulate flautazioni tonali il contrasto quasi espressionistico della dialettica luce-ombra di Caravaggio.
Così facendo, Stanzione fornisce un importantissimo indirizzo esemplaristico ai suoi allievi e ciò che noi abbiamo definito come ‘Scuola di Orta’, su cui già Luigi Lanzi alla fine del ‘700 aveva inteso richiamare come ambito produttivo, si affermerà – ampliandosi ulteriormente, anche con il contributo di altri artisti, sul piano della offerta produttiva – come ‘basso continuo’ di quel Seicentismo napoletano che diventa presto una modalità consolidata ed affermata del modo di fare pittura nella capitale partenopea.
Di qui, da questa sintesi produttiva di Massimo Stanzione e della sua ‘scuola’, in recupero, peraltro, del contributo che aveva saputo già fornire Fabrizio Santafede, un altro importantissimo artista napoletano, che troviamo, comunque ‘a monte’ di questi eventi pittorici (a monte dello stesso Caravaggio) muove tutta la stagione creativa della seconda metà del ‘600, quella che s’inaugura dopo gli eventi della peste del 1656, al cui interno fiorirà la personalità prorompente di Luca Giordano che apre al Barocco, mentre un altro artista, Mattia Preti, si volge a mostrare come, anche all’interno di questa nuova temperie ‘barocca’, possa esserci posto per una cultura figurativa che sappia far perno sulla indagine naturalistica per fornire un contributo di profitto alla pratica figurativa.
Ed, ovviamente, non potrà non riconoscersi come meritevole d’attenzione, nell’opera del Preti, una sorta di eredità preterintenzionale, se si vuole, della lezione stanzionesca.
Qualcuno, intanto, in un angolo, scaldava i muscoli: Francesco Solimena, che guardava certamente alle novità della temperie barocca, ma non trascurando di farsi forte della lezione di moderatismo naturalistico che a Francesco Solimena stesso giungeva attraverso l’insegnamento del padre, Angelo, e a questi, attraverso l’eredità di Francesco Guarino col quale ci colleghiamo nuovamente allo Stanzione.
Questa ‘Scuola di Orta’, insomma, ebbe una eco molto più importante e significativa di quanto non possa a prima vista apparire, e costituì un importante tassello della lunga trama della pittura napoletana del ‘600, aprendosi, peraltro ad un processo di diffusione dei suoi modi che trovarono sviluppo ed adesione anche nelle altre regioni del Viceregno meridionale.