Proviamo a ragionare di un pittore della ‘Scuola’ stanzionesca, che vive nella Napoli del ‘600, alla ricerca di un suo spazio di autonomia, ‘punito’ da una narrazione storiografica decisamente ingenerosa
La personalità di artista di Giuseppe Marullo, cui abbiamo avuto il privilegio di dirigere un interesse pionieristico di studio, è decisamente significativa e la Storia dell’Arte comincia, finalmente, a dedicargli l’attenzione che merita e a considerarne lo spessore creativo, dopo che l’artista ha subito una sorta di ‘damnatio memoriae’, complice, forse, lo stesso giudizio, un tantino impietoso, che gli aveva riservato il grande storico settecentesco dell’Arte napoletana, Bernardo De Dominici.
De Dominici, in particolare, provvede a stigmatizzare l’opera del Marullo più per evidente pregiudizio ‘politico’ che non per effettiva considerazione negativa delle sue capacità creative. Anzi, a dire il vero, è lo stesso De Dominici che definisce una notazione di lode del Marullo quando gli riconosce che molte sue opere erano ritenute addirittura di mano dello Stanzione, il ‘capobottega’ al quale Marullo appunto era legato, stretto da un rapporto che si era potuto stabilire tra loro, probabilmente, in virtù del fatto che entrambi gli artisti, maestro ed allievo, erano nativi del ‘Casale di Orta’, che va riconosciuto nella odierna cittadina di Orta di Atella.
La pittura di Giuseppe Marullo è particolarmente intensa ed effettivamente si assimila al portato stanzionesco, distanziandosene soprattutto nella fase più avanzata della sua vita – certamente da dopo gli anni della peste (1656) in poi – quando, peraltro, avviene che la conoscenza del De Dominici delle cose marulliane si affievolisce notevolmente, tanto da indurre lo storico a ritenere la morte dell’artista anticipata di non meno di una quindicina d’anni rispetto alla data reale che, invece, è notevolmente più tarda.
Abbiamo avuto modo di occuparci di questo artista in tempi molto lontani – e ci permettiamo di sottolineare che possiamo ritenerci un riconosciuto apripista degli studi marulliani – avendo noi proposto del Marullo una prima ricostruzione critico-storiografica resa con compiuta argomentazione all’esordio degli anni ’80 del secolo scorso. Eravamo convinti che l’artista meritasse una considerazione molto più generosamente rivalutativa delle sue qualità, rispetto, ad esempio, all’additamento diminutivo che ne aveva fornito, tra gli altri, Raffaello Causa (nostro, comunque, venerato maestro) nel suo contributo di ricostruzione storico-critica del contesto artistico partenopeo nel volume dedicato al ‘600 nella monumentale Storia di Napoli edita negli anni ’60.
In realtà, nello svolgimento della nostra ricerca storico-artistica, noi eravamo stati favoriti dal rinvenimento in collezione privata di un dipinto inedito firmato e datato del Marullo, un ‘Incontro di Rachele e Giacobbe’, che consentiva, appunto, di mettere in crisi il dettato testimoniale dedominiciano, aprendo la via ad un nuovo capitolo di ricerca sulla personalità di questo artista.
I nostri sforzi di studio furono, allora, premiati da successo ed, infatti, potemmo pubblicare, nel 1983, un contributo storico-critico molto articolato che restituiva al maestro ortese il suo giusto e dovuto riconoscimento di uno spessore qualitativo che meritava di dover essere giudicato certamente notevole.
Le brevi note che qui rendiamo a proposito della personalità del Marullo, di cui, successivamente, anche altri storici hanno poi preso ad interessarsi – ed anche il mercato, occorre aggiungere – non esauriscono minimamente la disamina dell’artista, ma valgono a lasciare intendere quanta strada ci sia ancora da battere, nelle pieghe della storia, per poter restituire pienezza di riconoscimento a molti nostri artisti del passato, che ancora subiscono l’ingiuria della dimenticanza e della sottovalutazione.
Un brevissimo inquadramento storico-critico della personalità dell’artista consente di collocarne la figura non soltanto nell’alveo delle dinamiche del ‘moderatismo’ stanzionesco, ma di vagliarne anche una sensibilità – come dire, latente – di ansiti sotterraneamente ‘naturalistici’ da intendere, evidentemente, non di stretta e rigorosa dipendenza caravaggesca, ma certamente espressivi di una sensibilità spiccata verso quelle ragioni creative che avrebbero ispirato la pratica di una pittura napoletana certamente più corrusca ed addensata, di netta marca ‘segnica’, variamente delibata secondo le cadenze di un ‘Maestro degli Annunci’, non meno che di Francesco Fracanzano o del Vaccaro più ‘espressionisticamente’ risentito.
Nella sua pittura non sono assenti, peraltro, anche le più acute ed accorte modulazioni ‘pittoricistiche’ di un Pacecco De Rosa e la pittura del Marullo ben si giustifica come parallela alla esperienza creativa che dové animare i modi della stessa Annella De Rosa, la celebre ‘Annella di Massimo’, nota, purtroppo, più per le vicende burrascose della sua vita matrimoniale che non per le qualità artistiche che ne facevano l’allieva prediletta di Massimo Stanzione, nel contesto della cui bottega è documentato che ella operò in sintonia col Marullo stesso in imprese creative di comune e condiviso impegno produttivo.
Un’ultima notazione – apparentemente non strettamente legata alla distinzione della personalità di artista del Marullo, ma certamente alla sua profilatura umana – merita l’additamento storico della ritenuta appartenenza del nostro artista alla cosiddetta ‘Compagnia della Morte’, che fu un organismo, composto anche da alcuni pittori, come il Falcone e lo Spadaro, che seppero opporsi fieramente e con grande dignità alla politica oppressiva della gestione vicereale, rivendicando una profilatura più intensa e determinata dei diritti della ‘natione’ napoletana, anche in contemporanea con le vicende rivoluzionarie di Masaniello del ’47.
Proprio riferibile a tale contesto, un’altra nostra fortunata ‘scoperta’ di inedito ci ha consentito di presentare un dipinto marulliano, di altra collezione privata, che presenta una testa recisa adagiata in una sorta di bacile, coronata della palma del martirio e della corona regale. Abbiamo inteso additare tale dipinto come un’effigie postuma di Masaniello anche per effetto della rilevazione sulla rima della ferita del collo del ‘martire’ Masaniello d’una mosca che, impudente, sugge il sangue senza alcun rispetto del morto.
Un Marullo politicamente ‘rivoluzionario’ e non allineato nelle pieghe del moderatismo che distingueva, invece, la personalità del De Dominici, può essere la motivazione convincente della ‘deminutio’ che lo storico settecentesco riserva al pittore? Non lo sapremo mai con certezza, ma è certamente giusto, a nostro giudizio, aver potuto fornire un intervento chiarificatore che è valso a rimettere in discussione questa personalità di artista, restituendogli prestigio e considerazione valutativa.
(Le foto che corredano questo nostro contributo sono in parte di nostra esecuzione, in parte dedotte, molti anni fa, dall’Archivio Fotografico, allora, di Capodimonte)