Ci si riconosce abitualmente nel concetto di ‘progresso’, ma resta ancora da chiarire tutta la consistenza logica di questa parola, che si rivela, di fatto, assai debole, se proviamo ad interrogarci sulla natura del ‘tempo’, senza il quale, il concetto di progresso non avrebbe alcun senso. Qui diventa decisivo il rapporto con l’estetica ed entra in gioco, ovviamente, anche l’arte.
Prima di parlare di ‘estetica’, occorre suggerire qualche riflessione sul concetto di ‘etica’, dal momento che l’etica può consentire un accesso alle ragioni profonde dell’agire dell’uomo e può quindi contribuire a far capire quanto importante diventi per il soggetto umano avere consapevolezza di sé e di sé nel mondo, andando a stabilire rapporti sociali a presidio e governo dei quali occorre mettere in campo un ‘sistema’ di conoscenze e di norme regolative. Qui, allora, la teoria della conoscenza – e l’estetica tale è, poi meglio osserveremo con quali peculiarità – giunge necessariamente a fare la sua parte in un contesto che è quello spazio-temporale della precarietà della condizione umana.
La definizione di ‘ethos’ è una delle più difficili da rendere: può aiutare l’antropologia e ciò può valere a ricondurre la natura umana a quella animale, identificando l”ethos’, in tal modo, nell’insieme del patrimonio di carattere strutturale che ispira e indirizza i comportamenti di specie.
L”ethos’ umano è molto complesso e difficile da definire; e ciò che chiamiamo etica dovrebbe essere una sorta di teorizzazione di massima di un ideale di profilo comportamentale. Gli Ebrei ne hanno sintetizzato il portato nelle disposizioni delle tavole mosaiche, il Cristianesimo nella legge dell’amore predicato da Gesù. Aristotele ne aveva tentato un imbrigliamento razionale nei due fondamentali trattati della Eudemia e della Nicomachea.
In tutti i casi, l’etica si rivelava, però, prigioniera del tempo ed introduceva il principio di un bene che potesse in qualche modo raggiungersi: ciò che, in fondo è l’idea di ‘progresso’.
L’arte provvede a smontare i presupposti di tale assunto, dimostrando tangibilmente quanto effimera ed illusoria possa essere l’idea di progresso.
Basterà mettere a confronto, ad esempio, le immagini che ci giungono dalla più remota antichità paleolitica per osservare quanto possa pensarsi infondata ed illogica l’idea che l’arte abbia seguito un processo di progresso nel tempo. Da Altamira o da Lascaux o da Papasidero fino alla Cappella Sistina michelangiolesca, alla pala delle Opere di Misericordia di Caravaggio, e fino alla Guernica picassiana, l’arte non ha ‘progredito’ neppure di un millimetro, per il semplice motivo che non c’era, di volta in volta, di che progredire.
Perché ciò è potuto avvenire, mentre, invece, in molti altri campi dell’esperienza umana è possibile verificare che un ‘progresso’ c’è stato? Ad esempio, nel mondo delle scienze e delle applicazioni tecnologiche?
La risposta a tale interrogativo la si può trovare analizzando la natura del tempo ed il suo rapporto con lo spazio, osservando che il tempo di cui noi cogliamo il corso è il tempo ‘storico’, quello, cioè della transitorietà e della precarietà, un tempo orientato secondo successività irreversibile, il tempo che va vissuto secondo la misura dell”ethos’ e che si rende riconoscibile nella condizione di precarietà che è quella che disegna il profilo della storia con l’instabilità dei suoi assetti.
Altra cosa, invece, a differenza del tempo della storia, è il tempo dell’indefettibilità e dell’eternità, un tempo senza misure, non lineare, un tempo in cui è impossibile definire il prima e il dopo, un tempo che può essere compreso solo dalle ragioni dell’arte, un tempo in cui non ha senso parlare di progresso, giacché non potrà mai esserci un ‘dopo’ in cui è stato perfezionato ciò che era ‘prima’.
Non a caso, nel mondo dell’arte non c’è progresso. Non c’è alcun progresso, infatti, dalle figurazioni paleolitiche fino alla concezione ‘artmatica’, che utilizza i più ‘avanzati’ strumenti della cibernetica, senza spostarsi in avanti di un millimetro nella prospettiva di un preteso ‘progresso’ nella via della pratica creativa.
Questo ‘tempo’ così particolare, questo tempo della immobilità, contrasta vivamente con le posizioni filosofiche che fanno leva sulla concezione dialettica; e, non a caso, da Platone ad Hegel, si assiste ad una prospettazione della vita e della storia in chiave ‘progressista’, con una concezione dell’arte sempre decisamente limitativa, che va dalla considerazione di essa come ‘imitazione dell’ imitazione’ secondo Platone, fino alla sua valutazione ‘pre-logica’ e di ‘auroralità dello spirito’ secondo la visione hegeliana, e, poi, secondo quella ancor più sciaguratamente crociana.
A rafforzare tali argomentazioni, basterà guardare l’arte con capacità di immersione nel suo dato obiettivo – che è certamente quello della sua natura di cultura materiale – e si osserva, allora, come l’intervento e l’azione del ‘tempo storico’ poco possano sul suo ‘tempo immobile’ così che l’opera d’arte, anche mutilata, trasformata, brutalizzata e ancor peggio, conserva sempre intatta la sua carica comunicativa, che meglio faremo a definire partecipativa.
Alla luce di ciò può spiegarsi perché nella pratica dell’arte non c’è progresso: perché l’arte nasce perfetta; e la parola ‘perfetta’, nella accezione antica, significa ‘totalmente compiuta’.
Nell’arte, insomma, non avviene che il tempo si fermi, ma che si dimostri, piuttosto, che il tempo è fermo e che la percezione del suo scorrere è, appunto, un’illusione, ciò cui possiamo avere accesso attraverso l’estetica che, non a caso, occorrerà riscoprire – ma basterà riconsiderare già solo Kant – come una percezione precaria e temporalmente instabile, proprio perché fondata sull’intreccio spazio-temporale, che, di fatto, si rende possibile solo per effetto di ciò che viene riconosciuta come l’indefettibilità della ‘freccia del tempo’, che distingue la provvisorietà effimera della condizione umana.
L’estetica è la percezione, quindi, della datità delle cose ed è, nel mondo dell’arte, la porta di accesso dal tempo ‘storico’ al tempo dell’’immobilità’, quel tempo, cioè, di cui è possibile acquisire una profilatura sferica e non rettilinea.
L’estetica, pur essendo una ‘porta’, non permette, evidentemente, però, l’accesso a questa dimensione che potremmo definire anche dell’eternità, ma solo un affaccio su di essa, fornendo la ragione di come l’arte possa, pertanto – pur rimanendo ancorata alla indefettibilità spazio-temporale della sua consistenza ‘materica’ – rivelarsi, per un aspetto, premonitiva e ‘profetica’, e, per altro aspetto, obiettivamente insensibile al condizionamento spazio-temporale in ordine ai suoi contenuti che testimoniano di quella ineffabile condizione di immobilità che non consente di poter verificare alcun avvenuto progresso, sul piano della genialità creativa, nel lungo percorso dei secoli che separa, come abbiamo già detto, Guernica da Altamira.