Un elogio di uso comune per esprimere rispetto, ammirazione e apprezzamento
In passato i cappelli erano utilizzati come parte integrante dell’abbigliamento. Il suo utilizzo serviva per distinguersi socialmente. La teoria più condivisa è che le cose cambiarono con l’introduzione e la diffusione dell’automobile coperta. La capotta era infatti troppo bassa per poter indossare il cappello all’interno, cosa che lo rendeva molto scomodo e anche inutile, visto che si era già protetti dagli elementi atmosferici e dalla sporcizia.
L’abbandono del cappello andò di pari passo con la diffusione dell’automobile, che fu molto lento: negli anni Venti meno del 1% degli americani possedeva un’auto; nel 1940 la possedeva una persona su quattro, nel 1970 la percentuale era salita al 55 %. Questa graduale popolarità fu accompagnata dalla graduale scomparsa del cappello.
Un’altra ragione, più culturale che pratica, fu il rifiuto di chi aveva combattuto durante la Seconda guerra mondiale di indossare i cappelli anche in abiti civili, dopo averli portati per anni insieme all’uniforme militare. Una ricerca del 1947 della Hat Research Foundation (la Fondazione di ricerca sui cappelli) scoprì che il 19 per cento degli uomini non li indossava proprio «perché dovevo farlo sotto l’esercito».
L’anno precedente la Fondazione aveva cercato di frenare la crisi delle vendite con una campagna pubblicitaria intitolata “Ci vuole un cappello per fare un po’ di magia”, ma non funzionò. Fu allora che i produttori capirono che probabilmente la moda di borsalini, fedore, cilindri e pagliette non sarebbe tornata. La crisi non fu senza conseguenze e, racconta ‘Esquire’, che in alcune città produttrici di cappelli chi osava mostrarsi a capo scoperto veniva insultato a vista dagli operai delle fabbriche.
Curiosità storiche
Per i faraoni i copricapi avevano un significato mistico. In Italia si portava il cappello del colore e con il simbolo della famiglia; il berretto frigio della Rivoluzione francese rappresentava una scelta politica in opposizione alla parrucca dei nobili e ancora oggi si riconosce il rango delle dignità ecclesiastiche dal copricapo.
Nella religione cattolica c’è lo zucchetto o pileolo, una caotta il cui colore definisce il ruolo di chi la indossa: bianco per il papa, rosso per i cardinali, nero per gli abati. La berretta o tricorno, di forma cubica con alette su tre lati e fiocco in alto, è segno distintivo dei seminaristi.
La mitra di forma più tondeggiante è portata anche dai cattolici ortodossi greci e russi. I buddisti hanno il Kasa che cela l’identità del monaco in viaggio. I rabbini ebrei portano la koppah, gli ortodossi un cappello in feltro a falda larga e gli ultraortodossi lo shtrymel di pelliccia.
Il cappello nel XX secolo diventa un accessorio, quello femminile varia nella forma, nei colori e nei materiali, quello maschile mantiene una linea prevalentemente classica. Durante la ‘Belle Epoque’, oltre agli abiti sfarzosi anche i cappelli delle signore erano enormi e venivano addobbati con piume, coccarde o uccelli. Intorno al 1908 si trasformano in ruote da carro gigantesche, decorate con piume di struzzo e a volte adornate con fiori e nastri.
Paul Poiret a inizio Novecento propose un nuovo look: turbanti di ogni forma e colore, con decorazioni orientali; il turbante dava un tocco di stravaganza ed era piuttosto economico.
Negli anni’ 20 del secolo scorso i cappelli sono sostituiti da piccoli Toque che a malapena coprivano i capelli corti alla maschietta. Le creazioni sobrie della stilista Coco Chanel realizzò modesti copricapi senza fronzoli.
Negli anni’30 Elsa Schiapparelli crea modelli più dispendiosi e durante la guerra le donne utilizzarono mezzi di fortuna per coprirsi il capo.
Dopo la seconda guerra mondiale il New Look condusse il mondo della moda ad una grande svolta. Christian Dior guadagnò i suoi primi soldi grazie alla realizzazione di cappelli, una piccola toque decorata unicamente da una piuma e portata su un lato della testa (in Italia si diceva “sulle ventitre”).
Nel 1957 Dior presentò il cappello decorato con mughetti veri.
Anche Givenchy creò i suoi modelli di copricapi con forme geometriche essenziali, che si adattavano alle linee sobrie del momento. Una sua famosa sostenitrice la diva Audrey Hebpurn disse: “nei primissimi piani, fanno sempre sembrare il viso un quadro, incorniciato meravigliosamente”.
Jacqueline Kennedy fece diventare popolare la pillox, un cappellino rigido,che veniva sistemato sulla pettinatura cotonata. Con le boutiques negli anni’60 nasce un nuovo tipo di negozio,dove ognuno in piena libertà acquistava il suo abbigliamento, incluso l’eventuale cappello (non era più d’obbligo).
Negli anni ‘70 torna di moda la bombetta o lo stetson, i cappelli dell’americano mondano o dell’inglese elegante. Nello stesso periodo Farah Dibah moglie dello sci di Persia lanciò la moda del foulard per lasciare più liberi i capelli sani e curati.
Tuttavia, riguardo all’abbigliamento formale, sono state mantenuti alcuni cappelli il cilindro (indossati nei matrimoni con frac e il cut).
La lobbia ha una forma praticamente rotonda e, per via del feltro molto rigido e della tesa che al bordo viene piegata leggermente in su, viene considerata molto formale.
La sua variante più morbida è il Borsalino (made in Italy), questo nobile cappello un po’ floscio stava benissimo con dei cappotti informali come il trench.
Il berretto con visiera , che agli inizi del XX secolo veniva prevalentemente portato dagli operai, trovò il suo pendant nella calotta in tweed, che veniva portata per andare a caccia, a pesca o a cavallo. Abbinato a un abbigliamento sportivo, veniva portato anche in città.
Il berretto da baseball, proveniente dagli USA conquistò il posto del “berretto universale” verso la metà degli anni’80.
Il cappello, oggi, ha lasciato il suo posto ai cappellini e ai berretti. Al di là del materiale e della forma ogni copricapo rappresenta il dettaglio di un outfit impeccabile.
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