Il tema del viaggio in treno diventa in larga parte della pittura tra ‘8 e prima metà del ‘900 la manifestazione esemplare della solitudine umana nel nuovo modello di società di massa e la pittura sa cogliere con viva tempestività l’occasione di indagarne gli aspetti più intriganti e significativi.
Come se fosse l’allineamento dei fedeli nei banchi della chiesa, così si presenta trattato – in molte redazioni figurative dalla metà dell’800, fino almeno alla prima metà del ‘900 – il tema dei viaggiatori in treno. E gli artisti provvedono a narrare le storie di questi personaggi di cui si possono osservare i volti straniati, le mani che non sanno cosa toccare, i corpi affaticati dagli scossoni di un viaggio che certamente, con i mezzi di allora, non può essere stato in alcun modo comodo ed agevole.
Ad aprire questa nostra piccola rassegna chiameremo senz’altro la personalità di Honoré Daumier, che a metà ‘800, produce delle immagini particolarmente pregnanti del viaggio in treno, del viaggio, in ispecie, in un vagone di terza classe, restituendo uno spaccato sociale vivamente significativo. Daumier inaugura con l’impegno della sua personalità d’artista, una stagione dell’arte che si rivolge a fare della creatività pittorica uno strumento di autentica denuncia sociale, mettendo in evidenza le condizioni di una innovazione tecnologica, che non vale, però, ad accorciare le distanze sociali.
A fine secolo, quasi a fornire un contributo di netta profilatura descrittiva e di catturante propositività, giunge un’opera di un artista calabrese, Gaele Covelli, nativo di Crotone (1872-1932), che procede a descrivere questo stesso tema di un viaggio in treno, in un vagone ferroviario tutt’altro che confortevole, introducendo, però, all’interno del tema narrativo del disagio sociale, anche quello di un rapido idillio che nasce tra due giovani viaggiatori, mentre la restante parte di loro rimane chiusa ed avvolta nel silenzio accasciato della fatica del viaggio.
L’opera meritò all’allora giovane e poco più che esordiente artista un certo successo, soprattutto perché sembrava introdurre un guizzo di vivacità espressiva, anche se l’apparente contrasto tra l’entusiasmo coinvolto ed intenso di un ragazzo e di una ragazza che si baciano vale a lasciar emergere con ancora maggiore stridore la contraddizione della fatica (che non è solo quella del viaggio, ma anche una fatica di dolente umanità) che promana dalle figure che siedono loro a fianco e che quasi non sembrano accorgersi della carica di passione che coinvolge i due giovani.
Si afferma – ed era stato già introdotto da Daumier questo dato – una sorta di sentimento di indifferenza che si stabilisce, tra loro, tra i viaggiatori; una sorta di metafora della condizione di straniato isolamento che distingue l’atomizzazione sociale, in cui la vicinanza fisica non basta a creare ponti di solidarietà o di afflato partecipativo e coinvolgente. Daumier aveva colto nel segno ed aveva inaugurato, con visione decisamente anticipativa sui tempi, il significato tagliente della denuncia sociale ed aveva saputo conferire, non a caso, alla sua pittura, una profilatura espressionistica che troverà, in seguito, più acuta e puntuale caratterizzazione anche in punto esplicitamente stilistico.
Altri artisti avrebbero saputo dare testimonianza di questa condizione di isolamento appartato che è tipico del viaggiatore: ne offre straordinario esempio, negli USA, Edward Hopper – un maestro, d’altronde, della ‘solitudine’ – di cui consideriamo un dipinto, ‘Donna che legge in treno’, del 1938, un’opera cui fa riscontro, a contrariis, un’immagine pubblicitaria, utilizzata nel formato d’una cartolina, d’un treno molto particolare, un treno quasi avveniristico, un ‘Chessie’, in servizio in Ohio, dove permane la presentazione dei passeggeri allineati, ancora una volta come in chiesa, ma ripresi, questa volta di spalle e colti come in una sorta di felicità estatica ed atemporale di un viaggio vissuto nell’atmosfera irreale d’un vagone panoramico.
Affiancheremo ad Hopper la personalità di Eduard Ole, artista lituano, che in un dipinto del 1929 (‘Viaggiatori’) descriveva con acuta capacità d’analisi il tema dell’atomismo sociale di cui il viaggio in treno si fa icona particolarmente incisiva.
Ed osserviamo, inoltre, come anche Marcel Gromaire, in un suo dipinto del 1923, ambientato nel vagone, questa volta d’un treno metropolitano, provveda non soltanto a mantenere praticamente inalterato lo schema della frontalità dei viaggiatori disposti – come cercavamo d’additare precedentemente quasi in allineamento nei banchi d’una chiesa – ma provveda, altresì, a sottolineare con l’impiego di una acuta verve espressionistica il tratto di corrusca atmosfera di solitudine e di esclusione che sembra respirarsi tra quei viaggiatori assolutamente chiusi ciascuno in se stesso, profondamente estranei l’un l’altro nella alienata solitudine delle proprie individualità.
Ma ancora di un altro artista avvertiamo il bisogno di sottolineare l’impegno creativo che si rivolge a dare un contributo prezioso a questo tema figurativo che andiamo esaminando nella sua redazione molto specifica e particolare della rappresentazione frontale ed allineata dei viaggiatori nei mezzi di trasporto ferroviario.
Additiamo, in particolare, la personalità di Alberto Chiancone, che non soltanto procede ad adoperare questo schema figurativo che aveva inaugurato, tutto sommato, Daumier, ma l’arricchisce moltiplicandone la resa figurativa, andando a rappresentare i compartimenti della funicolare centrale del Vomero, a Napoli, che, con la struttura inclinata e scalare del vagone, consentono di avere un affaccio non soltanto su un’unica linea frontale di posti a sedere, ma su una sorta di platea più ampia che è quella che si dispiega, a scalea, lungo il piano inclinato del convoglio.
Dopo una pregevole redazione del 1928-29, Chiancone andrà a sviluppare ulteriormente questo stesso tema della ‘Funicolare’, traendone varie ed intriganti versioni, in cui si conferma lo spessore espressionistico della trattazione figurativa e, non meno, in punto contenutistico, quella descrizione di mestizia esclusiva di solitudini individuali che ben si fanno metafora di un vivere che ormai ha assunto altre peculiarità di indirizzo in una società che va elaborando nuove linee di rapporto sociale e di scambi umani.
Le vicende storiche, allora, in Italia, negli anni tra le due guerre mondiali, erano molto tormentate e complesse; e l’arte ne stigmatizza le manifestazioni, indicando le criticità di un sistema che nel pieno, ormai della prima metà del ventesimo secolo sperimentava anche altre e più massicce forme di esclusione, che nascevano all’interno stesso di quel modello sociale che pure alcuni volenterosi, in prospettiva, alcuni decenni prima, avevano inteso preconizzare in termini di entusiastico ottimismo: ad esempio, i Futuristi.