Quella di Giuseppe Stella è una vicenda artistica molto complessa e la sua personalità si rivela particolarmente intrigante giacché la sua figura svolge un ruolo molto particolare nel contesto artistico della prima metà del ‘900, quello di ‘ponte’ tra due mondi, l’Europa e gli Stati Uniti d’America.
Giuseppe Stella è un artista, di origine lucana, che sviluppa il pieno della propria attività creativa nella prima metà del ‘900, proponendosi, da protagonista, come figura che accomuna nella sua persona, fondendo bene le due cose, sia un’anima tutta mediterranea e, comunque, europea, sia una conoscenza abbastanza profonda della realtà americana e dei processi di innovazione che si sviluppano nel nuovo continente con l’aprirsi del secolo del ‘900, facendo sì che le arti assumano un ruolo del tutto inedito nelle dinamiche storiche e sociali.
Giuseppe – ma c’è chi, non senza qualche ragione, preferisce dire Joseph – Stella era partito dall’Italia Meridionale, dove era nato, a Muro Lucano, nel 1877 e dove aveva trascorso gli anni giovanili venendo a studiare, poi, a Napoli, di dove, si sarebbe allontanato per seguire le orme del fratello Antonio già trapiantato di là dell’Oceano.
Giuseppe Stella quando scopre di avere una sua propria vocazione artistica si preoccupa di acquisire una formazione accurata ed attenta, imparando le tecniche del mestiere e provvedendo a curare di maturare una sua propria capacità di costruzione della composizione rapportandosi al dato fenomenico con acuta capacità di saper rendere non semplicemente una immagine banalmente mimetica delle cose, quanto, piuttosto, una intensa raffigurazione del loro dato.
Gli era stato di grande aiuto, in questo processo formativo, che è non soltanto d’apprendimento delle tecniche figurative, ma anche di indirizzo contenutistico, la personalità di Robert Henri, artista americano legato all’ambiente della Ashcan School, un contesto artistico che, sulla costa orientale, tra Filadelfia e New York, va lanciando un messaggio di rinnovamento creativo, tentando di ribaltare il dettato postimpressionistico in premio di un riorientamento creativo che faccia perno della consistenza del ‘vero’ non soltanto come referenza oggettuale, ma anche come dettato di una condizione sociale, che viene identificata nel modo di vivere delle classi più svantaggiate.
Stella potrebbe essere, insomma, un artista rivolto a produrre una intensa testimonianza figurativa della realtà delle cose, legato com’è all’ambiente di Ashcan e considerando la sua figura in rapporto anche a quella di George Bellows e del suo indirizzo definibile di ‘Realismo Sociale’, ma presto avverte dentro di sé l’urgenza di superare la barriera, il confine della figurazione, come asciutta riproduzione del dato, per rivolgersi a fornire una rappresentazione, diversamente modellata di tutto quanto lo circonda.
Ciò lo porta ad accostarsi alle nuove esperienze creative che vede crescere intorno a lui e in un suo viaggio a Parigi e poi anche in Italia – in una sorta di ritorno alle origini, di più, alle radici stesse della sua terra ed ai suoi ancoraggi per certi aspetti primordiali e lontani e, proprio perciò, profondamente veri ed umani – riceve la rivelazione, si potrebbe quasi dire, della necessità per lui di cambiar rotta ed indirizzo di ricerca.
Stella capisce bene che la cultura della sua terra d’origine ha certamente una sua consistenza ed un valore antropologico molto intenso e fecondo, ma sa anche che questa fecondità deve produrre dei frutti spendibili nella realtà contemporanea, nel presente in cui si vive. Sembra voler guardarsi intorno, il Nostro, e scopre il Futurismo e gli si fa disvelamento creativo – a nostro giudizio – soprattutto quella linea di indirizzo sulla quale medita Boccioni, una linea che ha saputo imprimere una svolta decisiva alla ricerca artistica più accorta e matura nel momento in cui ha mostrato come la sensibilità divisionista potesse essere meritevole di un più maturo affondo, che le consentisse di compiere il salto, nel rapporto col reale fenomenico, da una logica di referenzialità ‘oggettuale’ ad una prospettiva di relazione ‘oggettiva’.
C’è, indiscutibilmente, quindi, ad agire su Giuseppe Stella, il richiamo attrattivo delle logiche futuriste, ma, forse, potrebbe essere più giusto ed appropriato riconsiderare di più limitata portata la capacità che può avere avuto d’incidere su di lui l’esaltazione futurista della velocità o la sovresposizione del mito superomistico.
Piuttosto, continuiamo a dire, un Boccioni fortemente riflessivo – un Boccioni, vorremmo tentare di suggerire, più avanti del Futurismo stesso – può essere stato chi gli ha fatto risuonare all’orecchio il campanello dell’istanza del cambiamento e, non meno, può avere esercitato un’influenza su Stella lo stesso Marcel Duchamp, con cui il Nostro si troverà, fianco a fianco, nell’appuntamento fatidico del 1913 all’Armory Show.
Le ricerche sul tema della luce, ma anche il tentativo che Stella mette in campo di restituire un’immagine piena e travolgente di New York costituiscono l’articolato insieme di fattori determinanti alla cui stregua viene a disporsi la produzione del Nostro che verrà srotolandosi dagli anni ‘20 fino agli anni della sua scomparsa che avviene nel 1946.
Arturo Lancellotti che scrive di Stella nel corso degli anni ’30 è già in grado, a quella data, di offrire una testimonianza informata ed abbastanza completa della vicenda creativa dell’artista. Né manca, questo critico, di additare una sua personale preferenza – come dire – per le risultanze di ordine più tradizionalista della pratica creativa del Nostro, risultanze che si propongono articolate, in particolare, “secondo gustose forme decorative … decorazioni floreali, e ritratti”, la linea, insomma, che precede la svolta cosiddetta ‘futurista’ di Stella. E queste cose Lancellotti dichiara candidamente di preferire … ai quadri futuristi”, giacché questa produzione di netta impronta realistica mostra di essere “condotta con una tecnica che più [si] ravvicina alla grande arte del passato”.
Di fatto, questa nota, al di là della condivisibilità del giudizio valutativo, ci consegna un importante attestato della intensa capacità che l’artista è in grado di dispiegare sul piano tecnico. Basterà già solo osservarne L’Autoritratto di profilo per rendersi conto di quanto profondamente incisivo egli sapesse rendere il suo segno, guadagnandogli una impressa corrusca di forte pregnanza di taglio espressionistico al cui interno non s’annidano, però, le asprezze lancinanti di un Grosz, ad esempio, quanto, piuttosto, il frutto impietoso di un’analisi sociale che può osservare la stessa America che andavano descrivendo Ben Shan come Grant Wood, e, non meno Benton e perfino lo stesso Hopper.
Giuseppe Stella sceglie di non soffermarsi in modo imprimentemente insistito sulla raffigurazione delle cose ed il suo Ponte di Brooklyn è piuttosto una fantasmagoria luminosa ed un intreccio di linee che si fanno raggi di luce e proiezioni laminari e ciò produce l’effetto di lasciar scivolare man mano l’immagine che l’artista viene creando in una zona fluida e snervante ove la datità delle cose, pur senza sfuggire all’appello della sua presenza significativa nel contesto narrativo dell’opera, si presenta, però, come in tralice, sfuggente ed inafferrabile al di là della suggestione psicologica che è in grado di destare.
Difficilissimo, insomma, si rivela il compito di etichettare questo artista, che, a ben vedere, non fu, però, nemmeno un eclettico: è stato osservato che può meritare una iscrizione nel novero ‘precisionista’, anche se la sensibilità creativa di Stella trova difficoltà, a nostro giudizio, ad equipararsi alle dinamiche figurative che vanno, ad esempio, nel segno quasi di una prolessi ‘iperrealista’, da Sheeler alla O’Keeffe.
Piuttosto, come abbiamo già messo in evidenza, è la ‘Scuola di Ashcan’ – pensiamo, tra gli altri, in questo contesto, anche ad un artista come George Luks – ciò che potrebbe costituire, almeno in alcune scansioni formali che distinguono e perimetrano tale contesto, il punto di riferimento cui ragionevolmente rapportare l’esperienza figurativa di Stella, indirizzandone la consistenza morale.