Un discorso umile, semplice e quelle coincidenze con John Kennedy
Il giorno tanto atteso è arrivato: Joseph Robinette Biden ha giurato come quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Lo ha fatto davanti Capitol Hill vuoto e dopo una giornata in cui non è avvenuta la tradizionale accoglienza da parte del Presidente uscente. Senza la presenza della folla oceanica e festante, che ha sempre contraddistinto il giorno del giuramento della più alta carica della nazione a stelle e strisce. In sostituzione delle persone, su quell’immenso prato verde, una lunghissima fila di bandierine rappresentati l’America, rappresentati l’unione che egli stesso, durante questo appassionante ed umile discorso, ha invocato.
Un discorso che assomiglia, nella sua essenza, ad un accorato appello a tutti i cittadini americani. A tutti coloro che lo hanno votato e a tutti coloro che hanno preferito votare il suo avversario. Già, il suo sfidante, nonché Presidente in carica fino a qualche minuto prima, non lo ha mai nominato e mai attaccato. Forse qualche indiretto riferimento alla lotta contro la diffusione di notizie false.
‘Sarò il Presidente di tutti gli americani’ ha detto e ciò che ha pronunciato è molto di più di una promessa. Un giuramento, appunto, con l’intenzione di ricostruire l’America. Di farla ripartire, quasi, dalle fondamenta. ‘Chiedo a tutti gli americani di aiutarmi nell’unire il Paese. Metterò tutta la mia anima per riunire la nazione, gli Usa hanno molto da fare in questo inverno di pericolo, molto da riparare e da risanare’, ha continuato.
Molti punti del suo discorso sono stati importanti, rilevanti da non esser tralasciati; da non venir dimenticati. Come, per esempio, quello in cui ha detto: ‘Lo so parlare di unità può sembrare una folle fantasia in questi giorni. So che le forze che ci dividono sono profonde e reali. E so anche che non sono una novità. Ma l’unità è l’unica strada per andare avanti’ o ancora ‘il virus ha fatto più vittime di quanti americani sono morti nella Seconda Guerra Mondiale, possiamo battere il virus’, aggiungendo anche ‘Vinceremo sul suprematismo bianco e sui terroristi interni’.
In ogni sua parola nulla è lasciato al caso. Ogni singolo tema, ogni singola problematica non viene per nulla tralasciata. Vengono citati ad uno ad uno le questioni spinose che hanno esasperato l’anima dell’intera nazione, sia direttamente che indirettamente. Ha affermato di difendere la Costituzione degli Stati Uniti. Non lo ha detto solo come retorica politica all’interno del discorso inaugurale. Era un’altra stoccata al suo predecessore, non presente insieme agli altri ex-presidenti.
Erano presenti: Bill Clinton, George Bush e Barack Obama. Non presente Jimmy Carter perché impossibilitato di recarsi al giuramento di Biden. Ma a Capitol Hill si è rivista l’America tradizionale, l’America che torna a sperare nel proprio credo seppur non menzionato direttamente: il sogno americano.
Biden ha promesso che tutti coloro che soffrono per l’assicurazione sanitaria o per altre questioni economiche non verranno lasciati soli. Che ‘Questa è la giornata dell’America, della democrazia, della storia, della speranza, la democrazia ha prevalso’. Parole semplici, quasi come un padre di famiglia. Un amico, un nonno e qualcuno di cui ci si può fidare e far tornare fiducia verso le istituzioni.
Ma soprattutto, Joe Biden, ha toccato un punto, forse, ancor più fondamentale di tutti sfiorati dal primo discorso presidenziale. Un nervo scoperto da molti anni e che ha portato lo scontro politico sempre verso l’esasperazione. Ovvero di quello di abbassare i toni dello scontro. Di abbassare la ‘temperatura’, così come l’ha definita, ponendo l’accento della grande sfida da affrontare. Quella appunto dell’unione.
‘Insieme possiamo scrivere una storia americana di speranza e di unità’ ha detto, aggiungendo: ‘E’ il tempo del coraggio’. Ha precisato che il Paese è stato messo a ‘dura prova’ dalla pandemia e ‘dall’attacco alla democrazia e alla verità’, dalle ‘ineguaglianze e dal razzismo sistemico’, dalla ‘crisi del clima’, ammonendo che un giorno ‘Saremo giudicati per come affronteremo queste sfide’.
In tutto questo Joe Biden fa anche un riferimento su sé stesso: ‘Abbiamo visto in tutta la nazione, in ogni città, in tutte le parti del Paese, e in tutto il mondo, una grande espressione di gioia, di speranza, di rinnovata fede nel domani. Sono onorato dalla fiducia che avete riposto in me’.
Ecco su di lui. Sa benissimo che quello che l’attende da adesso in poi sarà una missione difficile, ma non impossibile. Il termine sfida, d’altronde, è stato usato, forse, di proposito. Quasi a rimarcare la consapevolezza della gravosità del compito che deve affrontare. Perché se da un lato è il tempo del coraggio, dall’altro è anche il tempo di non deludere un popolo messo veramente a dura prova da un inizio di millennio molto complicato. Gli eventi da Joe Biden sono stati ricordati, a partire dall’11 settembre del 2001 in poi.
Una sfida, dunque, per il secondo Presidente cattolico della storia degli Stati Uniti dopo John Fitzgerald Kennedy. Non è un caso che anche per lui, la parola sfida, è il fulcro del suo mandato come lo fu per il Presidente che giurava giusto sessanta anni fa. ‘Coincidenza’, penserete. E a proposito di ciò ce ne sono altre da considerare: hanno la stessa nazionalità di origine, irlandese; Kennedy è stato eletto nel 1960, Biden sessanta anni dopo; Kennedy morì a 46 anni, Biden è il 46° Presidente degli Stati Uniti. Ovviamente non vuol dir nulla, ma sono dettagli che sono emersi da quando Joe Biden è stato eletto e che nessuno, almeno fino a questo momento, non ha rimarcato o forse ha tralasciato senza volerlo.
La sua presidenza, come quella di John Kennedy, è uno sguardo verso il futuro, ripartendo un po’ da un passato in cui si deve incominciare a fare pure pace. La sua squadra di governo rappresenta le singole etnie presenti sul territorio. Non bisogna dimenticare che, con lui, ha giurato anche Kamala Harris. La prima Vice-Presidente donna e afroamericana della storia di questa nazione e, chissà, tra quattro anni anche il prossimo Presidente degli Stati Uniti.
Hanno presenziato alla cerimonia d’insediamento Lady Gaga, che ha intonato l’inno, e Jennifer Lopez che, durante la sua esibizione di ‘This land is made for you and me’, lancia un messaggio in lingua spagnola. Due chiari messaggi: una cantante italo-americana e una cantante latino-americana. Ovvero un modo per dire che l’America torna finalmente ad essere aperto al mondo, cosa che lo stesso Joe Biden ha anche precisato durante il suo discorso. Ora c’è solo da attendere e capire cosa succederà. Perché la sentenza spetta sempre ai posteri.
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