Ci siamo sempre chiesti in che modo raccontare gli Stati Uniti d’America in tutti questi anni? Soprattutto, durante i primi periodi del giornale quando era solo un blog, proprio sul finire della prima era Trump. Adesso che in questi giorni ci avvicineremo alla seconda parte del suo mandato, nonostante qualcuno pensi che non sia a tutti gli effetti una prosecuzione del primo, il nostro quesito rimane ancora in pole position, ma senza una risposta ben precisa.
In fondo, da quando abbiamo inaugurato la rubrica interamente dedicata agli Stati Uniti d’America, ‘Usa’, questo problema ce lo siamo sempre posti fin dal principio. Perché, nella loro essenza, e in qualsiasi quadriennio presidenziale o epoca scivolata nel tempo, è complicato raccontare per filo e per segno, seguendo una sorta di filo logico, gli stessi Stati Uniti d’America.
Non sono un partito politico, non sono un movimento statico, sono un Paese dinamico con una propria storia, con un proprio percorso evolutivo, giusto o sbagliato che sia; alcuni affermano che la loro successione di vicende è troppo esigua in ambito temporale da potergli attribuire una certa grandezza morale o quantomeno riconoscergli una certa ‘antichità’. Sono, appunto e nel bene e nel male, la più antica democrazia dell’occidente. Proprio in merito a ciò, per effetto anche di una data in particolare, andiamo ad analizzare, solo ed esclusivamente, in ambito storico l’evoluzione dell’insediamento del Commander in Chief che ebbe la sua definitiva collocazione nell’anno 1789. Vi dice qualche altra cosa questa data?
Certo che sì: l’anno della Rivoluzione Francese. Pacificamente quell’evento storico diede il via alla nascita degli stati così come li conosciamo e, soprattutto, sorretti da ordinamenti giuridici che conosciamo e nel quale viviamo, attraverso sia i pregi che i difetti, sia chiaro. Eppure, se i francesi misero a ferro a fuoco la propria nazione, esattamente la capitale, per farsi rispettare dai loro stessi sovrani furono, ovviamente mossi, dalla naturale ricerca di libertà.
Quella stessa ricerca naturale della libertà che spinse le famose tredici colonie sotto al dominio inglese a liberarsi dall’oppressione della corona britannica. Con ciò cosa stiamo cercando di dire? Che furono gli americani, molto probabilmente anche in maniera involontaria, ad instillare coraggio ai francesi, per poi diventare una propria nazione indipendente a partire dal 4 luglio del 1776. Una data ormai sia famosa che storica, celebrata non solo entro in confini, ma raccontata, dagli stessi, anche attraverso opere letterarie, canzoni e film.
Non dilunghiamoci molto, però; perché in fondo non si tratta solo di questo. L’excursus storico che dobbiamo affrontare parte da un consolidamento in ambito costituzionale, seppur con delle norme, chiamiamole così, integrative degli stessi principi di quella che è conosciuta come ‘La Dichiarazione di Indipendenza’ degli Stati Uniti d’America.
Dunque, dicevamo, tutto è iniziato, a mutare ufficialmente, grazie all’entrata in vigore del ventesimo emendamento. A questo punto ci sarebbe da ricordare un ulteriore giorno, un ulteriore mese e, appunto, l’anno: il 23 gennaio del 1933.
Il fine era semplice: quello di ridurre ulteriormente i tempi della transizione presidenziale. In precedenza, sia il Presidente che il Vice – Presidente degli Stati Uniti terminavano il loro mandato alle ore 12 del 4 marzo. Il 4 marzo, per certi versi, valeva come scadenza anche per coloro che erano stati eletti al Congresso, il cosiddetto parlamento americano.
Ma entriamo ancora di più nel merito del testo del ventesimo emendamento americano, prima di racconta la sua storia, come è stato sviluppato prima di diventare uno dei vari capisaldi della Carta costituzionale americana. Costituito da ben 4 sezioni, le prime due sono quelle che abbiamo menzionato in via indiretta e sulle quali ci soffermeremo.
I mandati del Presidente e del Vicepresidente scadranno a mezzogiorno del 20 gennaio e quelli dei Senatori e dei Rappresentanti a mezzogiorno del 3 gennaio degli anni in cui sarebbero scaduti se il presente articolo non fosse stato ratificato. Il Congresso si riunirà almeno una volta all’anno e tale riunione inizierà a mezzogiorno del terzo giorno di gennaio, a meno che la legge non stabilisca un giorno diverso.
Tale cambiamento, anche abbastanza significativo ed epocale, era nato soprattutto dall’esigenza di stabilire, una vota per tutte, delle date che fungevano, a loro volta, da scadenza per il termine del mandato precedente. Ciò stava a significare che la legislazione precedente, nel senso che la Costituzione medesima, prevedeva, per non dire, sanciva la durata dei mandati di coloro che erano stati eletti al Congresso, ma non appunto sia il giorno di inizio e di fine.
Nonostante tutto, il periodo indicato, seppur non ufficialmente era novembre o dicembre per poter scegliere e comunque eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. tale processo di modifica del periodo di transizione, conosciuta anche come ‘periodo dell’anatra zoppa’ aveva preso il via nel 1788, per stabilire proprio la data del 4 marzo con data per l’inizio dei lavori di ristrutturazione da parte del governo in carica.
Eppure, nel trattare questo argomento, nell’andare ad analizzare, solo ed esclusivamente dal punto meramente storico non bisogna soffermarsi solo su questo aspetto. Il giorno inaugurale, che sia il primo o il secondo mandato del Presidente degli Stati Uniti, nel corso della storia è stato sempre contraddistinto dai grandi discorsi, per non dire anche proclami.
Parole, frasi, espressioni che ancora oggi, a distanza di molti decenni sono entrate nella memoria collettiva. È naturale che, nell’andare a scoprire questa lunghissima carrellata di massime, ci troviamo di fronte, non potrebbe essere altrimenti anche una carrellata di nomi che hanno impresso, nella memoria di tutti, con il loro tono di voce, l’istituzionale e l’epico, concetti e idee consegnati alla storia, quella con la ‘S’ maiuscola. Allora è naturale ricordare due nomi su tutti: John Fitzgerald Kennedy e Ronald Reagan.
Il primo, Presidente Democratico, entrò nella leggenda con: Non chiedete cosa lo stato pupo fare per voi, chiedetevi voi cosa potete fare per lo Stato? era il 20Gennaio del 1961. Venti anni più tardi ci riuscì il Ronald Reagan con un altrettanto convincente: In tempo di crisi il governo non è la soluzione, il governo è il problema. Senza dimenticare anche Barack Obama, con la sua: se qualcuno ancora non possa credere che l’America è il Paese delle opportunità e dove tutto può succedere questa sera si sbaglia di grosso. Ma di questo ve ne parleremo domani per incominciare ad analizzare questa nuova fase della storia americana.