La breve storia di colei che innescò la vera protesta contro la segregazione razziale negli Stati Uniti d’America

Riguardo a quella sera, però, non abbiamo mai e poi mai, durante l’appuntamento di ieri, ricordato che di che giorno, mese ed anno si trattava. Anche se appare scontato è sempre bene, oltre che ricordare, chiarire ciò che veramente rappresenta un prima ed un dopo. Si, perché dopo a quella sera del 1° dicembre del 1955 nulla fu come prima negli Stati Uniti d’America e chissà se, durante quegli attimi dell’arresto la stessa Rosa Parks venne presa da un attacco di pentimento. Non lo sapremo mai.

Eppure, quel gesto, quel fatto, quell’evento rappresentò la goccia che fece traboccare il vaso. Eppure, qualcuno le pagò la cauzione. Alcuni dicono che fu addirittura un avvocato bianco, altri affermano che venne organizzata una colletta da parte della stessa comunità nera. A raccogliere il denaro necessario, sempre secondo la leggenda, fu un pastore protestante che colse l’occasione per iniziare a guidare una battaglia in favore dei diritti civili. Anche questo particolare vi dice altrettanto qualcosa, vero? Quel giovane uomo di chiesa si chiamava Martin Luther King.

È vero, abbiamo usato il termine leggenda. Quando è così, significa che qualche fatto o meglio qualche dettaglio non rappresenti propriamente la realtà. In merito proprio al fatto che Rosa Parks si vide pagare la cauzione potrebbe essere andata così: una volta arrestata, la voce, su quanto è successo, a quanto pare girò in fretta; tenendo presente che non c’erano i social come oggi, ma il passaparola.

La voce, dunque, giunse a Martin Luther King che organizzò la colletta in favore di Rosa Parks, una volta raccolti i soldi si affidarono ad un avvocato bianco per farla uscire.

In precedenza, abbiamo detto che sapeva di essere arrestata. Ciò che forse non si attendeva fu la reazione della gente, non solo intesa come comunità nera, ma anche del resto della nazione che non rimase più impassibile. Il fatto di essere sorpresa era dovuto dal fatto che, in passato, molte altre persone afroamericane tentarono una reazione senza mai e poi mai provocare l’onda emotiva per il suo stesso arresto.

Prima di lei, in ordine cronologico, diciamo, ci provò un’altra attivista per il movimento dei diritti civili di nome Claudette Colvin. Era nove mesi prima, il 2 marzo del 1955. Lo stesso anno, quindi e, purtroppo, pochi mesi prima dalla tragica morte dell’undicenne Emmett Till, il cui corpo venne ritrovato nel fiume Tallahasse dopo due bianchi lo pestarono a sangue dopo che il ragazzino, l’unica colpa, aveva fischiettato ad una donna bianca.

Rispetto a Rosa Parks, Claudette, che lo scorso 5 settembre ha compiuto i suoi 85 anni, venne solamente arrestata e nulla di più. non avvenne tutto quello che poi accadde. I 381 giorni di boicottaggio degli autobus ci furono con l’ammanettamento della Parks e, nella sua essenza, rappresentò un chiaro segnale che qualcosa era realmente cambiato. Che il livello di sopportazione da parte della comunità afroamericana era ormai giunto oltre il livello di soglia già da un bel po’.

La protesta terminò quando la corte suprema, il 13 novembre del 1956, diede ragione alla comunità nera cancellando, per sempre, la segregazione razziale nei luoghi pubblici negli Stati del sud. Abrogando per sempre quell’ignominioso ‘Separati ma eguali’, gli Stati Uniti d’America iniziarono quel lentissimo processo, che dura ancora oggi, che porterebbe alla eliminazione del pregiudizio razziale o quantomeno di contenerlo il più possibile.

Il suo gesto ribelle, non violento, fermo e determinato rappresentò il via a quella rivoluzione dopo secoli di soprusi. Il boicottaggio contro la società degli autobus venne fatto in modalità pacifica. Soprattutto quel gesto significava la rivendicazione dei propri diritti. Nessun accenno di violenza, nemmeno una parola fuori posto. Solo una disobbedienza civile già applicata dal Mahatma Gandhi per liberare l’India dalla presenza dell’impero britannico sul territorio.

Un gesto che ancora oggi deve essere ricordato, tenuto presente e non strumentalizzato; celebrato sempre come monito, come fulgido esempio di come, contro le ingiustizie, si può e bisogna reagire. Subito dopo i fatti, subito dopo quel rifiuto, si disse che Rosa Parks non si volle alzare da quel sedile perché era stanca. Qualche anno più tardi a chiarire fu proprio lei in persona. Affermò che si, era stanca, ma non per il lavoro; era stanca di subire, come ricordato ieri. Ma dopo quell’evento la vita dell’attivista afroamericana come proseguì?

Ovviamente fu ritenuta una vera e propria eroina, nonostante non fosse una vera e propria leader. Dopo quel gesto e per tutti gli anni Sessanta non riuscì a trovare lavoro, per poi trasferirsi a Detroit, esattamente a partire dal 1965. Da quello stesso anno e fino al 1988 lavorò come segretaria per il deputato al Congresso John Conyers.

Verso al fine degli anni ’70, invece, ed esattamente nel 1979 fu una delle protagoniste della raccolta di figurine, collezionabili, conosciute come ‘Supersisters’, con lo scopo di proporre modelli femminile di successo sia in campo politico, sportivo, sociale e culturale. Nel 1987, invece, in memoria di suo marito fondò il Rosa and Raymond Parks Institute for self Development. In tutto questo però la stessa Rosa Parks venne malvista da certi ambienti bianchi, minacciata continuamente di morte. Nel 1999, l’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton le conferì la Medaglia d’oro del Congresso.

Rosa Parks morì il 24 ottobre del 2005 per cause naturali. Semmai avesse avuto la fortuna di vivere altri tre anni avrebbe potuto vedere il primo afroamericano entrare alla Casa Bianca da Presidente, ovvero Barack Obama. Ma sappiamo che se quel giorno finalmente era arrivato nella storia di questo paese, fu proprio grazie a quel rifiuto fatto con delicatezza, classe e gentilezza. Perché non sempre per rivendicare i diritti c’è bisogno della violenza. Ma questo lo abbiamo tutti dimenticato, ancora oggi.

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