Da Madi all’involuzione ‘cinetica’ ed alla prospettiva ‘cinestetica’

Carmelo Arden Quin nel fondare, nel 1946, ‘Madi’, un movimento la cui stessa sigla sembra apparire di controversa decrittazione (MAterialismo DIalettico; MAteria DImensione; Movimiento Abstraccion Dimen- sion Invencion; Madrid-Madrid No pasaran), ha in mente l’obiettivo di rompere gli schemi chiusi delle simmetrie, ma, soprattutto, ha in mente una visione ampia e complessiva della storia e del ruolo che vi può svolgere l’arte.

Il riferimento alla dialettica materialistica ci sembra indiscutibilmente convincente come interpretazione di ‘Madi’ che costituisce, infine, comunque, una locuzione in qualche modo auto-significante più o meno alla stregua, ad esempio, di quanto è possibile dire del termine di ‘Dada’.

Può essere utile additare, inoltre, che il riferimento al Materialismo dialettico giunge senz’altro in soccorso, sul piano metodologico, fornendo ad Arden Quin gli strumenti d’analisi necessari per conferire al suo pensiero l’abbrivio sistematico necessario per la formulazione di un progetto organizzativo di lungo respiro, quale, appunto, si rivelerà, nel tempo, ‘Madi’.

Arden Quin ha ben chiara, tra tante, almeno una cosa fondamentale: innanzitutto la necessità di rompere con il simbolismo, per muovere ad una promozione degli aspetti segnici nel processo creativo.

Solo ciò, la rottura col simbolismo, può dare certezza di un rilievo contenutistico ed egli giunge, pertanto, a queste sintetiche conclusioni: “Ni expresión (primitivismo); ni representación (realismo); ni simbolismo (decadencia). Invencion. De cualquier cosa; de cualquier acción; forma; mito; por mero juego; por mero sentido de creación: eternidad. Funcion”.

Sulla scorta di queste puntuali perimetrazioni logiche ‘Madi’ si rivelerà un progetto di lungo respiro, proponendosi, dal 1946, fino ad oggi, come una processualità creativa strettamente legata alle logiche ardenquiniane capaci di legare a sé numerosi artisti sparsi in vari paesi del mondo: “l’opera è, non esprime, l’opera è, non rappresenta, l’opera è, non significa”.

Quanto ed in qual misura il pensiero di Arden Quin ha agito di stimolo e quanto di limite nella produzione artistica dei suoi seguaci, lungo i decenni del secondo ‘900 e nei primi del 2000?

Questo è un interrogativo di notevole rilievo, giacché la risposta da dare ad esso, dovendo far ricorso ad una profilatura critica più ampia, consente di attrezzare una misura valutativa che va ad allargarsi, dallo specifico dell’esperienza ‘Madi’, su un orizzonte incredibilmente più esteso, quello, in particolare che distingue tutta l’evoluzione della ricerca astrattista dal secondo dopoguerra in poi, abbracciando non soltanto le dinamiche proprie di un geometrismo ‘puro’ e le determinazioni ‘cinetiche’, ‘optical’ ecc., ma anche le delibazioni ‘astratto-informali’21.

Gioverà osservare, d’abbrivio, che ‘Madi’ è, nella prospettazione che ne offre Arden Quin, un orientamento di ordine metodologico, piuttosto che stilistico: suggerisce esso, infatti, un modo d’essere artisti e di fare ricerca artistica, piuttosto che fornire un additamento prescrittivo, come può lasciar malintendere, invece, ad esempio, il ricorrente utilizzo della troncatura angolare praticata molto spesso, nelle loro opere, da parte degli artisti che, nel ricondursi all’esemplarismo di Arden Quin, praticano tale troncatura come cifra di riconoscibilità identitaria e non come reale ed efficace esigenza compositiva.

‘Madi’ è, nel proprio della sua costituzione fondativa, soprattutto, un movimento aperto (Arden Quin definirà come ‘premanifesto’ l’esplicita- zione teoretica del suo pensiero) ed il rifiuto di Arden Quin di prevedere un ‘manifesto’ ingessante per il movimento certifica la volontà del fondatore di dar vita ad una modalità elastica piuttosto che ad una prescrizione obbligante.

L’interrogativo che può porsi legittimamente è, quindi, quello di chiedersi se, lungo settant’anni ed oltre di storia, ‘Madi’ sia rimasto fedele ai principi di orientamento generale di Arden Quin o se abbia inteso l’insegnamento del fondatore come un indefettibile precetto lasciando slittare, in tal modo, la doxa nel dogma, innescando, in tal modo un processo di pregevolissimo estetismo manieristico.

La profilatura storico-critica che si dispiega, considerando individualmente l’opera dei singoli artisti, è d’interesse, giacché consente di far con- vergere l’indagine valutativa dalla complessità articolata della consistenza dell’insieme del movimento sulle singole personalità che lo compongono, additando, per effetto di ciò, i raggiungimenti soggettivi come espressione, di volta in volta e di caso in caso, di ansiti di ricerca innovativa o di delibazione, sempre raffinata e preziosa, di ‘variazioni sul tema’.

Non sono mancate, d’altronde, stimolanti manifestazioni di ricerca, da parte di quanti hanno praticato i territori ‘madisti’ nel corso del tempo, osservando con interesse quanto avveniva nella galassia astrattista nel suo complesso.

Si potrà considerare, ad esempio il rilievo ‘seduttivo’ che ha esercitato l’introduzione della pratica ‘cinetica’, specialmente nel corso degli anni Sessanta, contro la quale ci si sarebbe potuto attendere una reazione ferma e determinata da parte di ‘Madi’, in ossequio al suo sostrato ancestrale di matrice ‘concretista’, indirizzato dal fondatore Arden Quin lungo i gra- dienti dell’‘invencion’ e della ‘funcion’.

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