Un western atipico ideato e prodotto da Sergio Leone
Il mito del west, tra finzione e realtà. Tra territori sconfinati e personaggi mitici; personaggi che hanno involontariamente, d’altronde, costruito una leggenda che a distanza di qualche secolo, ormai, ci affascina ancora. Sono lontani i tempi in cui lo stesso genere cinematografico faceva divertire e sognare, seppur a ritroso nel tempo, milioni di spettatori in tutto il mondo, ottenendo, persino, lauti incassi al botteghino. Galoppate fino al tramonto, duelli, resa dei conti, rissa nei saloon e leggende, già proprio queste ultime tengono banco in un dei film più particolari del cinema western.
Era il 21 dicembre del 1973, quando nei cinema italiani, e non solo, usciva un’opera cinematografica a metà strada tra l’ironico e il riflessivo; proponendo una coppia di attori che, nella loro essenza, rappresentavano l’antitesi dell’uno e dell’altro come modello di cowboy, ma non nel senso di chi fosse il buono o il cattivo. No, non bisogna basarsi su questa che potrebbe essere una logica e naturale distinzione.
L’elemento portante è un altro. Anzi, per certi versi sarebbero due e non di poco conto. Due pistoleri, molto diversi l’uno dall’altro come è stato sottolineato in maniera indiretta, i quali si muovono in una trama, a forti tinte malinconiche, in cui uno vorrebbe dare la mano all’altro per farlo entrare nella storia.
Si, avete letto non bene, ma benissimo. Un pistolero giovane, spensierato, folle, che prende il tutto quasi come un gioco, furbo come una volpe e veloce come una lepre. L’altro, invece, rappresenta la vecchia guardia; quella che funge da retaggio di un mondo che sta per scomparire, anche per effetto dell’arrivo delle stesse ferrovie che, di fatto, nella realtà, posero fine sia all’epoca che all’epopea di quello che viene ancora oggi definito far west.
Alla fine, il pistolero più esperto, di nome Jack Beauregard, riuscirà ad entrare nella storia, essendo di fatto, una leggenda vivente? La risposta è sì, soprattutto, se il pistolero più giovane, meno esperto ma più spensierato e scanzonato che lo aiuta, ha il volto di Terence Hill. E il cowboy più esperto invece? Ha il volto del leggendario, e non può essere altrimenti, dell’attore Hollywoodiano Henry Fonda.
Ah già, avete ragione: ci stavamo dimenticando il nome del personaggio interpretato dall’altrettanto mitico Terence Hill: Nessuno. No, non ci siamo sbagliati a scrivere: è proprio questo. Un nome particolare, appunto, per un titolo altrettanto particolare per il film di cui oggi si ricordano e si celebrano i cinquanta anni dall’uscita: Il mio nome è nessuno.
Ufficialmente il film venne diretto dal regista Tonino Valerii accreditato, in quegli anni, come possibile erede di un mostro sacro del cinema: Sergio Leone. Eppure, questa opera cinematografica venne ideata dallo stesso regista dell’immenso capolavoro ‘C’era una volta il west’ e, secondo quanto poi confermato dallo stesso diretto interessato, diretto in maniera indiretta.
Difatti, alcune sequenze, che sveleremo più tardi, sono state riprese dallo stesso Leone e durante lo sviluppo del film, inteso come visione, il cambio di mano si nota in maniera abbastanza vistosa. Ovviamente, la presenza di Leone ha garantito anche quella del Maestro Ennio Morricone, il quale anche in quell’occasione firmò un’altra indimenticabile colonna sonora.
Ma per evitare di andare subito oltre, è meglio andare con ordine. Raccontando, pian piano, come, tale opera cinematografica di genere western sia stata ideata e, poi, successivamente realizzata. L’inizio della storia del cosiddetto dietro le quinte vuole che lo stesso Maestro Sergio Leone si stesse prendendo non una lunga, ma una lunghissima pausa dalla regia.
Motivo? Dopo il capolavoro di ‘C’era una volta il west’ e l’altrettanto superlativo ‘Giù la testa’, il regista romano si trovò alle prese con un’idea che lo avrebbe bloccato per oltre dieci anni. Un soggetto, in particolare, che si trasformerà in ‘C’era una volta l’America’, ma di questo ne parleremo un’altra volta.
Nel libro intervista, pubblicato nel 2018 dalla casa editrice ‘Il saggiatore’, Sergio Leone racconta, per sommi capi, le fasi di sviluppo del film. Affermando che il regista Tonino Valerii fu, in qualche occasione, un suo ottimo assistente e voleva, per alcuni versi, lanciarlo, ritenendolo un bravo e corretto professionista; forse senza nessuna punta di genialità nella sua comunque lunga carriera. E Forse è per questo che all’epoca si pensò che la nuova leva abruzzese, nato nel 1934 ma scomparso a Roma nel 2016, potesse essere l’erede di colui che fece rinascere, in tutto e per tutto, il genere western.
Il testo da cui abbiamo preso le dichiarazioni è intitolato, in via del tutto evocativa: ‘C’era una volta il cinema’. L’autore di questo libro intervista era anch’egli un regista; nonché attore e, addirittura, uno storico della settima arte di origine francese e quindi anche scrittore, Noel Simsolo, il quale strinse molto amicizia con lo stesso Sergio Leone. Un’amicizia durata per ben quindici lunghi anni.
Nonostante l’idea sia del regista che ha insegnato gli americani come si realizza un film western, la sceneggiatura non è stata sviluppata da colui che lanciò, definitivamente, Clint Eastwood. Il nome accreditato è quello di Ernesto Gastaldi. Un regista, certo, ma soprattutto un autore di notevole spessore e non solo di sceneggiature di film western, ma anche dei cosiddetti ‘poliziotteschi’ e, addirittura, anche di romanzi di fantascienza.
Dunque, di potrebbe sostenere, affermare e senza alcuna ombra di dubbio che la visione mantenuta da Gastaldi non è quella del regista ufficiale, ovvero da Tonino Valerii, ma del produttore: Sergio Leone, appunto. Nel libro appena indicato, il diretto interessato spiega il vero motivo per cui si trovò a dirigere alcune sequenze entrate nella storia del cinema.
“Si, è così. ho girato l’inizio, la battaglia e il duello finale. Sono stato obbligato perché Henry Fonda aveva uno ‘stop-date’. Ovvero, a partire da una certa data, doveva lasciare il set per uno spettacolo teatrale o un altro film. Per non far saltare il piano di lavoro, ho diretto la seconda troupe”.
Parole che sollevano lo stesso Tonino Valerii da ogni diceria, anche cattiva, sul suo conto. In fondo, se ‘Il Mio nome è Nessuno’ è di fatto più di un buon film è anche e soprattutto merito suo.