Ultimo appuntamento di questo particolare speciale dedicato alla svolta epocale di 35 anni fa
Sul finire della seconda parte di ieri vi avevamo promesso che oggi saremmo ritornati, dopo la breve e parentesi musicale con la quale abbiamo chiuso il secondo partizione di questo speciale, a raccontare, analizzare e ricordare, seppur sommariamente dei motivi principali che hanno determinato il fallimento del progetto europeo, almeno fino a questo momento della storia. Prima di iniziare, però, è bene, fin da subito chiarire un punto fondamentale di questo speciale: non ha e non presenta alcuno scopo politico, il giornale rimarrà sempre al di fuori da ogni diatriba o polemica che hanno contraddistinto gli ultimi anni e anche da quelle che verranno in futuro.
È un punto, il nostro, che teniamo sempre a sottolineare fino alla noia, per ricordare la natura mero approfondimento del quotidiano online, senza prendere posizioni su determinati argomenti o, quantomeno, senza mai e poi mai schierarsi con questo o quell’altro partito politico.
Ci teniamo, ancora di più, a ribadire questa nostra posizione anche per un altro motivo che, quasi sicuramente, durante il primo quadriennio che andremo a festeggiare fra qualche settimana, avrete di sicuro notato: di Unione Europea non ne abbiamo mai e poi mai parlato. Neanche saltuariamente. Questo editoriale, simil speciale, ci offre la possibilità, anche grazie alla nuova rubrica ‘Occhio sul mondo’ di poter analizzare alcune dinamiche.
Dinamiche diventate effettive, per non dire sbloccate, proprio quel giorno citato più volte durante questi tre appuntamenti dedicati all’evento. Se da un lato nessuno si attendeva un crollo così repentino ed improvviso, seppure provocato da un’implosione del sistema, dall’altro non tutte le nazioni volevano una Germania unificata perché incuteva un po’ di timore. D’altronde lo stesso Presidente degli Stati Uniti dell’epoca, George H. Bush, nonché successore di Ronald Reagan alla Casa Bianca si espresse positivamente ma prendendosi un pochino di tempo. Era chiaro, fin dal principio, che era un gioco di alleanze nello scacchiere mondiale, una volta che l’Unione Sovietica non fosse più un problema o che non potesse più materializzarsi come tale, ponendo gli stessi Usa come l’unica superpotenza mondiale rimasta a decidere le sorti del pianeta.
A distanza di trentacinque o trentaquattro anni la situazione è completamente mutata. Gli stessi americani hanno perso molti primati, nel tempo, per poi cercare di recuperarne qualcuno o di mantenere quello che possiede da quando scavalcò i cugini inglese, ovvero nel…
Dopo l’11 settembre del 2001 e la crisi finanziaria di sette anni più tardi gli Stati Uniti d’America hanno messo a dura prova la loro capacità di resistere a colpi durissimi. Perdendo colpi, gli stessi americani, si sono ritrovati, comunque soli nel mondo a dover decidere molte crisi internazionali qualche volta causandole anche e non avendo, di fianco, un partner rappresentato dalla stessa Unione Europea, unita solo ed esclusivamente dalla moneta e nulla di più.
Quella convergenza di interessi, l’unione di intenti nelle decisioni sui temi di politica interna ed esterna, almeno da quando lo stesso euro è entrato in vigore, sostituendo le singole monete nazionali, non si è mai vista. alla radice l’idea stessa era quella di non permettere che il continente europeo si facesse schiacciare dai colossi americani e cinesi, come sta succedendo fino adesso. Nella sostanza la stessa Unione, così come l’avevano pensata i padri fondatori, non ha mai trovato una mera realizzazione; contraddistinta solo dall’euro e con paesi, come Germania e Francia in testa, che hanno pensato solo ed esclusivamente ai propri interessi o quantomeno hanno fatto convergere i medesimi con quelli dei singoli trattati, adeguandosi, ovviamente.
Il punto, però, sarebbe un altro e, forse, anche più delicato, dovuto comunque non solo all’euforia dettata dalla caduta del Muro di Berlino ma sostanzialmente anche da una paura ben precisa e logica. Con la caduta del comunismo, come ultimo ostacolo alla libertà nel vecchio continente, c’era la paura, ripetiamo anche abbastanza logica, che certe realtà, per non dire, certi incubi si potessero materializzare nuovamente, come il nazismo ed il fascismo. Questi ultimi potrebbero essere considerati come due facce della stessa medaglia.
Con l’intenzione di non perdere troppo tempo nel caso in cui quelle tre ideologie avrebbero fatto ritorno tra gli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, la procedura d’ingresso di ogni singolo stato venne accelerata, partendo da quello che doveva essere l’ultimo tassello, quindi la moneta, non garantendo la piena unione fra i popoli.
Soprattutto, la concezione stessa di unione e, a sua volta, di globalizzazione, di un mondo connesso e senza alcun confine, era partito proprio dagli Stati Uniti d’America durante le due presidenze di Bill Clinton, nelle quali vennero firmate le leggi che applicarono i famosi redditi subprime che fecero fallire il sistema bancario mondiale.
In più, altro dettaglio da non sottovalutare, la radicalizzazione su alcuni temi, fondamentali e centrali, che avrebbero garantito il principio di libertà in questa unica e grande visione del mondo. Come detto siamo riassumendo per sommi capi e forse non siamo neanche tanto chiari nell’esposizione sui fatti ed eventi, che si susseguirono in ambito storico, e che hanno portato ai risultati delle elezioni di questa sia in Europa, due anni fa in Italia, quest’anno in Francia e una settimana fa proprio negli Stati Uniti.
Per molti la vittoria delle destre è vista come una sciagura, un possibile ritorno ad un’epoca molto lontana nel tempo. Per altri, invece, viene vista come la risposta democratica, effettuato tramite l’esercizio di voto, da parte delle singole popolazioni chiamate a votare in segno di protesta contro politiche che hanno tradito le attese di molti. Risultati elettorali che, senza troppi giri di parole, hanno dichiaratamente sancito il fallimento, anche epocale, di alcune scelte, ovviamente giuste e logiche, ma troppo radicalizzate e troppo ideologizzate.
Scelte che non hanno tenuto conto dei reali effetti su tutto il territorio europeo, per non dire anche negli stessi Stati Uniti. da una settimana, dunque, si sta sottolineando la fine dell’era dei Clinton e degli Obama che sono stati i due presidenti che hanno dato maggior impulso a tali politiche, determinando anche la fine di coloro che le hanno seguite o quantomeno, si spera, di una revisione su alcuni modi di proporre cambiamenti significativi e, perché no, sempre epocali.