Continua il nostro viaggio nei ricordi tra scene e aneddoti della vita di Bud Spencer
La quarta parte di questo lungo reportage interamente dedicato alla figura di Bud Spencer e alla celebrazione dei suoi 95 anni riparte dal concetto espresso ieri, ovvero quella della ‘Grandissima professionalità’ di tutti quelli che presero parte ai suoi film e questa cosa la sottolineiamo anche noi. Una professionalità che all’epoca non venne, però, fin da subito notata.
Neanche quando la commedia composta da schiaffi e cazzottoni incontrò la nuda e cruda realtà della città di Napoli. Il tutto venne miscelato, sapientemente, nella sceneggiatura di Lucio De Caro per il primo e storico capitolo del franchise, tutto italiano, di ‘Piedone’. In quell’occasione, a partire dal 1973 e fino al 1980, il Commissario di Pubblica Sicurezza Rizzo, questo il nome dell’iconico personaggio, venne interpretato da Bud Spencer, per ben quattro volte al cinema. Personaggio che, quasi sicuramente, ritornerà entro la fine di quest’anno ma non più con la struttura di un semplice lungometraggio, ma bensì con l’appuntamento seriale e su questo, lo stesso Giuseppe Pedersoli ci dice:
“Senza dimenticare Piedone che fece da solo e che fu un grandissimo successo, non in coppia con Terence Hill, dove sentiva la sua napoletanità, la Napoli della sua infanzia e quindi anche Piedone è rimasto nel suo cuore. Si, è un nuovo progetto, non è un remake, non è un’imitazione. È un bellissimo progetto dove Salvatore Esposito interpreterà un poliziotto a Napoli che aveva ammirato il modo e le modalità investigative del Piedone originale”.
Potremmo dire che dopo queste parole che per Bud Spencer, quella che sta per uscire anche se in maniera indiretta in questo caso, è la numero cinque. Considerando ‘Big Man’, verso la fine degli anni ’80; Detective Extralarge’, agli inizi degli anni ’90, in cui fece coppia con Philip Michael Thomas, il Ricardo Tubbs di ‘Miami Vice’ e Michael Winslow, uno dei protagonisti della saga comica di ‘Scuola di Polizia’, per la quale vennero girate due stagioni; quella girata in Costarica, ‘Noi siamo angeli’, sempre con Michael Thomas, e poi l’ultima, prima del suo definitivo ritiro, dal titolo ‘I delitti del cuoco’, girata in Campania, esattamente nell’isola di Ischia in cui ritrovò uno dei attori napoletani più dimenticati di sempre: Enzo Cannavale, con cui fece coppia nella tetralogia di Piedone.
Lo ammettiamo: è sembrato strano porre proprio questo tipo di domanda. Anche perché, fino adesso, di Bud Spencer è emerso un quadro di una persona umile, privata e che, in fondo, conoscevamo un po’ tutti proprio per i motivi che lo stesso Pedersoli ci ha specificato nelle risposte precedenti. Eppure, la curiosità di sapere o quantomeno di conoscere quale fosse, tra tutti quelli fatti, il suo film preferito o che amava di più, era troppo forte.
“Intanto era contento di quasi tutti i film che aveva fatto. Sicuramente ‘Lo chiamavano Trinità’ e ‘Lo continuavano a chiamare Trinità’ ha rappresentato un cambio straordinario della sua vita e della sua carriera e di quella di Terence. Lui era molto affezionato a ‘Più forte ragazzi’, sempre diretto da Giuseppe Colizzi, girato in Colombia perché sentiva quello di più con il senso dell’avventura, anche di tante cose che aveva fatto in gioventù, perché era stato in Sudamerica, perché aveva lavorato nella giungla. E poi da lì nacque una straordinaria passione per il volo che lo ha accompagnato e fino alla fine dei suoi giorni papà ha volato; ha sempre pensato che il volo fosse la sua più grande espressione di libertà insieme alla musica”.
Se l’elemento musicale lo abbiamo già analizzato nell’appuntamento precedente è anche naturale, forse sempre spinti da quella curiosità quasi inutile e che nasconde quelle domande in cui, molto probabilmente, le risposte sono quasi sempre scontate; sono quasi sempre le più logiche. Risposte fondante, soprattutto, da un sentire comune su quello che emergeva in quello che abbiamo visto, in quello che può essere benissimo definito il suo cinema.
“Ma apparentemente i film che ha fatto Bud Spencer sono semplici e anche superficiali, invece poi si riscoprono molti valori. Molti valori a cui lui teneva molto e i casi dei due film sullo sport lui ha anche partecipato in qualche modo un po’ alla scrittura, a plasmare il suo personaggio, si divertiva prima di tutto a lavorare sullo sport per la carriera che aveva avuto quindi gli piaceva anche poter trasmettere qualche cosa di questi valori importanti in cui lui credeva fermamente; quindi, si è creato dei personaggi vicini a cui lui era nella realtà”.
Ecco, per qualcuno i suoi film potevano essere non tanto semplice quanto superficiali. Non siamo d’accordo su questa linea. La semplicità era talmente evidente che al giorno d’oggi in qualsiasi momento, quando vengono riproposti sui canali televisivi o inseriti nelle varie piattaforme streaming, continuano ad essere sempre visti e rivisti; senza che la gente si possa stancare o che li possa trovare addirittura stantii. Invece non è così.
Come non è così in merito alla falsa convinzione che i suoi film potrebbero essere considerati superficiali. È un giudizio un po’ troppo frettoloso per certi aspetti. Un aspetto, che per essere sinceri, non può essere analizzato in questa quarta parte, ma semmai nella prossima, in cui ci saranno, oltre alle altre dichiarazioni di Giuseppe Pedersoli, anche una nostra riflessione approfondita.
Ritorniamo, dunque, di nuovo al punto di partenza. Ritorniamo al punto in cui, lo stesso Carlo Pedersoli, ha sempre precisato di aver fatto tutto, attraverso quello slogan ironico come ha ricordato suo figlio. Proprio in merito a questo particolare si potrebbe aggiungere, senza alcun problema, che è stato, ha vissuto e ha lavorato in tanti posti del mondo diversi e non solo da un punto di vista geografico, ma anche di cultura e soprattutto, di lingua.
“E papà aveva imparato a parlare lo spagnolo, il portoghese in Brasile, se la cava abbastanza in francese, da un certo momento in poi ha iniziato anche a recitare in inglese e poi diceva che parlava in napoletano e in italiano; quindi, se la cavava in sei sette lingue. Un pochettino di tedesco perché aveva avuto un’istruttrice in tedesco da bambino in tedesco quindi se la cavava abbastanza bene in varie lingue”.