Considerazioni su un movimento che nacque nel contesto di un gruppo che si riconobbe in una rivista
‘De Stijl’, raccoglie, infatti, l’esigenza unificatrice, di marca ‘teoso- fica’, delle verità di base, ma va oltre, scavalcando la stessa prospetti- va di una decisa virata in direzione di una ‘riduzione’ logico-matematica delle cose, che distingue il pensiero di Schoenmakers, nella prospettiva di muovere alla ricerca ‘analitica’ della ‘ragione’ propria delle cose, una ragione astratto-geometrica, che ‘De Stijl’ valuta serenamente descrivibile in un progetto sistematico che si definisce, come cultura visuale, entro la perimetrazione creativa dell’ortogonalità planare e del ricorso ai colori primari.
La netta coscienza di dover muovere alla ricerca della ‘ragione’ del- le cose, se si vuole, alla determinazione, in termini artistici, di una sorta di ‘arché’ presocratica, appare già chiaro orientamento di pensiero nel- le parole che Mondrian utilizza in una lettera del 1915 indirizzata a van Doesburg: “Mi propongo sempre di limitarmi ad esprimere l’universale, vale a dire l’eterno (ciò che più è vicino allo spirito), e lo faccio nelle più semplici tra le forme esteriori, così da giungere ad esprimere il significato intimo, dissimulato il meno possibile”3.
È evidente: Mondrian pensa ed agisce ancora entro una logica ‘spi- ritualista’ – e ciò ne limita la prospettiva – ma ha già chiaro nella sua elaborazione concettuale la necessità del salto che occorre compiere e del bisogno di dare una consistenza logica al significato stesso di ‘universale’, per dedurne una profilatura epistemologica da valere come chiave inter- pretativa della realtà epifenomenica. In modo semplice si può anche dire che all’interno della dimensione ‘teosofica’ si viene gradualmente svol- gendo un processo di trasformazione del concetto di ‘spirito’ in quello di ‘pensiero’, al di là del fatto che, nell’uso spicciolo dei termini, continui ad essere adoperata la parola ‘spirito’.
Se, ora, allarghiamo lo sguardo, rivolgendoci agli ultimi ansiti della creatività ottocentesca, potremo osservare che, al di là della temperie ‘spi- ritualistico-simbolistica’, s’era comunque affacciata l’idea di una necessi- tà indilazionabile di chiamare in causa una prospettiva innovativa cui far ricorso per comprendere il mondo.
E non è azzardato dire che alcune sperimentazioni creative, proprio nel torno d’anni degli ultimi decenni dell’Ottocento, si interrogano sulla opportunità di chiamare in causa proprio la geometria per avere un più sicuro riferimento logico e strumentale nella definizione di una processua- lità produttiva artistica di nuovo conio capace di rendersi interprete delle mutate condizioni socio-culturali introdotte dalla rivoluzione scientifico- tecnologico-industriale e dalla sua incoercibile affermazione storica4.
Tale ‘idea’ era, in sostanza, ‘nell’aria’ e l’avevano ben compresa molti artisti – di maggiore o minor successo, poco importa – che già dal periodo degli anni ‘80 dell’‘800, avevano preso ad additare la via innovativa del ricorso ad una costruzione dell’immagine da effettuarsi in termini ‘geo- metrici’. L’esempio più significativo e clamoroso è indiscutibilmente Cézanne, ma il processo è certamente più ampio in Europa ed anche in Italia; e me- riterebbe di esserne approfondita la ricerca specifica.
Considereremo, in proposito, a mo’ d’esempio, a Napoli, all’esordio degli anni ’80 dell’‘800, la figura di Giuseppe Pinto, che già nel 1881 pro- duce degli acquerelli in cui l’immagine figurativa è prodotta da una linea seghettata che definisce i confini perimetrali delle figure, introducendo, in tal modo, nelle dinamiche ‘oggettuali’ l’istanza della semplificazione ‘geometrica’.
Osserveremo, poi, che, nel giro di pochi anni, ed entro il 1890, questo stesso artista provvede a produrre una immagine totalmente presieduta da una normazione geometrica, assolutamente aniconica e caratterizzata da un’iterazione modulare, proiettata verso una conquista di tridimensio- nalità volumetrica secondo un assunto compositivo meramente astratto- geometrico.
In questo stesso torno d’anni fa la comparsa un interessante romanzo, dal titolo di Flatlandia pubblicato nel 1884 da Edwin A. Abbott, che il- lustra un universo geome- trico caratterizzato da una strutturazione planare ed abitato da cittadini dotati di solo due dimensioni.
Premonizioni, evidente- mente, impegno creativo svolto entro una prospetti- va di libertà di ricerca indi- viduale: ma il dato storico che si registra è quello di una sensibilità ‘astratto- geometrica’ che progressi- vamente si afferma.
A dare una svolta si- stematica al processo di centralizzazione del ruolo della Geometria sarebbero stati i Cubisti; essi avreb- bero fatto il primo passo, però, verso una ‘scomposi- zione’ – non ancora verso una ‘analisi’ – dell’imma-gine dell’oggetto nei suoi componenti geometrici.
Mondrian, giova ribadire, aveva conosciuto da vicino i Cubisti, durante il suo soggiorno a Parigi, ma, a differenza loro, comprende che la ‘scom- posizione’ del dato epifenomenico nelle sue componenti poliedriche, pur essendo di giovamento a fornire una immagine del reale fenomenico se- condo una ‘descrizione geometrica’, non può valere, però, a spiegare del reale fenomenico stesso le ragioni profonde che lo ispirano e lo determina- no, dal momento che il Cubismo, fermo alla ‘scomposizione’ dell’oggetto, non procede alla ‘analisi’ del suo dato.
Mondrian avverte l’esigenza, quindi, di dover maturare una sua istan- za analitica e trova intesa e specchiamento nella concezione di van Doe- sburg, il quale, di più, da canto suo, giudica le posizioni cubiste ancora appartenenti al passato, avvertendo egli, infatti, la complessità compositi- va e cromatica della pittura cubista come un estremo tributo alle logi- che ‘barocche’, incapace essa, nella sua ridondanza formale, di realizza- re quella rastremazione formale che viene giudicata da van Doesburg irrinunciabile per poter dar corpo ad un effettivo rinnovamento del mondo delle arti in una prospettiva di discostamento radicale da ogni forma di individualismo soggettivi- stico e di proposta, di contro, di una visione di carattere – forse non an- cora coscientemente ‘comunitaria’.
All’interno di tale visione avreb- bero dovuto trovare cittadinanza, nel nome di un linguaggio comune e condiviso, le ragioni di una filo- sofia di vita realmente innovativa e, non meno, quelle di tutte le bran- che della creatività: dalla architet- tura, alla scultura, alla pittura, per giungere fino alle cosiddette ‘arti applicate’, alla letteratura, alla danza, al teatro, al cinema ecc.
Van Doesburg è cosciente di dover affrontare uno sforzo titanico e l’i- dea-base che pone alle radici del suo progetto è quella di mettere in atto, innanzitutto, un processo di semplificazione, o, se si preferisce, di essen- zializzazione dei linguaggi creativi. Di qui, la geometria e, soprattutto, la geometria piana. Lo stesso approdo effettuale cui era giunto, muovendosi per altre acque, Mondrian.