L’album, uscito nel 2002, venne completamente ispirato dalla tragedia dell’11 settembre 2001

Alle volte sembra che la musica incontri la storia o viceversa? Raramente alcuni dischi sono stati ispirati da fatti cruenti o drammatici. Si può pensare ad una canzone; un singolo, dunque, rimasto nella memoria collettiva nel tempo che, a sua volta, ha avuto il merito di immortalare un’annata particolare, un’epoca o comunque di non far disperdere la memoria su quel determinato evento, ma un disco? No, ancora oggi potrebbe essere impensabile; appunto, usiamo il condizionale: potrebbe, perché di fatto l’autore ha potuto realizzarlo un anno dopo la tragedia che ha caratterizzato l’inizio di questo millennio: l’11 settembre del 2001.

In fondo, la scelta sembra anche giusta e non per un fatto di mera retorica americana o patriottica che sia, no. C’era bisogno di dare uno scossone ad una nazione che aveva subito per la prima volta e dai tempi di Pearl Harbor un’aggressione nel proprio territorio. C’era bisogno, dunque, di dare una svolta e reagire, c’era bisogno della riscossa, ‘The Rising’ per l’appunto, il capolavoro pubblicato il 30 luglio del 2002 da Bruce Springsteen.

Un disco, numero dodici, per il Boss della musica internazionale attraverso il quale affrontava il dolore, la sofferenza e le speranze infrante, molto probabilmente, del sogno americano. Un disco che verrà analizzato oggi mediante le istituzionali rubriche de ‘La canzone del lunedì’ e di Retrospettiva in musica. Sempre nella forma, ormai sempre più tradizionale e attuale, della suddivisioni in parti di un singolo articolo e quindi dello speciale.

Ma andiamo con ordine, per potervi abituare alla novità un po’ alla volta. Solo per oggi e in via del tutto eccezionale, non svilupperemo l’analisi partendo dalla canzone scelta inizialmente da noi ma seguiremo l’ordine della tracklist fino ad arrivare al brano che apre, di fatto, questo nuovo corso e che si vedrà sdoppiato da lunedì prossimo.

Il titolo di quello che era il dodicesimo disco del boss della musica mondiale è, come detto, inequivocabile. La tragedia dell’11 settembre 2001 aveva segnato, molto probabilmente e in maniera irrimediabile, una nazione intera, per non dire il mondo. L’ultima fatica musicale di Bruce risaliva all’anno 1996, dunque cinque anni prima dell’attentato che ha mutato la storia e sei anni prima del suo ritorno.

In quella sua dodicesima raccolta di canzoni inedite non c’era solamente la voglia di tornare a cantare o di lanciare messaggi; ma quella di rialzare una nazione intera dopo quanto accaduto a New York e al Pentagono. Brani i quali riflettevano la situazione di ventidue anni fa, brani che rappresentavano lo stato d’animo degli americani in quei giorni in cui quello che si era visto solamente nei film era diventato realtà.

Il disco è composto dal genere rock ed heartland rock, quest’ultimo ovviamente è un sottogenere, e venne registrato, dopo diciotto lunghi anni, con E-Street Band. Un ritorno al passato, dunque, per Bruce Springsteen. Un ritorno rappresentato da canzoni come: Lonesome day; Into the fire; Waitin’on a sunny day; Nothing man; Countin’ on a miracle; Empty sky; Worlds apart; Let’s Be Friends; Further on; The fuse; Mary’s Place; You’re missing; la stessa The Rising che analizzeremo per ultimo; Paradise e My city of ruins. Più che un disco, un compact disc non suddiviso nella classica organizzazione musicale precedente in lato A e lato B. Un album con testi di canzoni molto, molto profonde e significative.

E quindi partiamo con questa sorta di celebrazione e analisi di questo disco che ottenne più di un notevole successo. Partiamo con l’aggressiva ‘Lonesome day’ il cui insieme al titolo, tradotto in italiano ‘Giorno solitario’, racconta la storia di un uomo o comunque di una persona che rinasce dopo un periodo buio, dopo una pesantissima batosta; proprio come quella dell’11 settembre 2001. Proprio in questo giorno, come si evince dal testo, la persona rinasce per riprendere il cammino intrapreso prima della battuta d’arresto.

Come detto gli attentati alle torri gemelle e al Pentagono sono molto presenti in questo lavoro di Bruce Springsteen. Un esempio lampante è rappresentato anche e soprattutto dalla seconda traccia, Into the fire, letteralmente tradotto ‘Nel fuoco’ o nelle fiamme. Un singolo interamente dedicato ai veri eroi di New York: tutti quegli uomini in divisa che salirono sulle Torri Gemelle con la fioca speranza di trarre qualcuno in salvo, per non dire anche sé stessi.

Di altro tenore e soprattutto di un’altra atmosfera è la terza traccia, quella ‘Waitin’on sunny day’ nel quale, lo stesso Boss della musica internazionale cerca dare una speranza agli americani o quanto meno un momento di leggerezza difficile, ancora, da poter tornare a vivere dopo il tremendo lutto che ha colpito l’intera nazione.

Per l’esattezza questa terza canzone dell’album venne scritta ed incisa due o tre anni prima la tragedia. Allo stesso Springsteen, molto probabilmente, non lo aveva convinto molto per una eventuale precedente pubblicazione. Per ‘The Rising’ gli è bastato rileggere il testo, soprattutto nel punto in cui dice: ‘Piove, ma non c’è una nuvola nel cielo. Deve essere stata una lacrima dai tuoi occhi’. Ecco perché poi venne inserita terza traccia.

La quarta canzone è intitolata Nothing Man, una delle ballate più struggenti dello stesso Springsteen durante la sua lunga carriera. Una melodia accompagnata da un testo in cui si racconta di un uomo o comunque di una persona sopravvissuta a quanto successo in cui avverte una forte sensazione di vuoto. Vorrebbe il bacio da parte della donna che ama, ma sa che non gli può bastare: il vuoto che avverte dentro è troppo forte.

La quinta traccia è rappresentata da ‘Countain on a miracle’. Non si può dire, a dispetto dal titolo, che questo singolo sia quello più struggente. È uno dei tanti, la cui essenza delle parole ruota intorno al concetto di credere in qualcosa nonostante la speranza è andata persa a causa di una tragedia; a causa di un pesante lutto difficile da elaborare. Eppure, nonostante tutto si vuole credere che un miracolo, in un modo o nell’altro, possa arrivare non tanto per sistemare quello che non può essere sistemato, quanto per dare, oltremodo, un ulteriore segnale di speranza, proprio quella perduta.

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