Il 5 settembre del 1946 nasceva a Zanzibar Freddie Mercury
Nella penultima parte di ieri, interamente dedicata all’albume 1989, non abbiamo detto tutto quello che si poteva dire. certo, mancano le canzoni, le altre nove tracce componenti il 33 giri ‘The Miracle’, ma intendiamoci: non si è detto tutto in relazione allo sviluppo stesso del disco, non si è detto tutto in merito ad alcuni particolari che determinarono l’ultimo grande successo dei Queen degli anni ’80 e non solo.
Eravamo rimasti che la band non se la passava per nulla bene. Brian May soffriva di problemi coniugali e Freddie Mercury stava per scoprire un’amara verità su sé stesso. In poche parole, quel decennio non sarebbe finito bene e quello successivo iniziò in maniera ben peggiore. Per la prima volta, durante la registrazione di quello che sarebbe stato il nuovo disco, stabilirono un patto per le nuove canzoni.
Indipendentemente da chi fosse realmente l’autore del testo o anche della composizione musicale, a venir accreditata ufficialmente sarebbe stata la band intera. In precedenza, invece, sia per quanto riguarda il testo e sia per quanto riguarda la composizione musicale ad essere accreditato era direttamente il singolo autore. Un patto che porterà molto bene, un patto che renderà ancor più forte l’unione dei quattro, soprattutto in virtù dei momenti difficili che Queen medesimi avevano vissuto. Un patto che ricordava, molto alla lontana, quello altrettanto leggendario di un’altra band: Lennon-McCartney, Beatles.
Nonostante l’aria che tirava, il disco si apriva con un brano dal titolo inequivocabile ‘Party’. Seppur come ricordato precedentemente ogni canzone pubblicata veniva accreditata col nome della band, a lavorare sulla canzone furono lo stesso Freddie Mercury, l’inseparabile Brian May e John Decon. Il brano venne fuori, chissà quanto volontariamente, durante una jam-session, in cui Freddie provava dei versi al microfono dopo che si fosse allontanato dal pianoforte; secondo quanto raccontano le cronache dell’epoca.
Con la seconda traccia l’hard rock non molla la presa, inondando di sonorità potenti e mantenendo il livello di adrenalina tipica delle canzoni di Freddie Mercury. In fondo, è questa la sensazione che instilla ‘Kashoggi’s ship’. Un brano dove la chitarra di Brian May la fa ancor più da padrona e dove il rock stesso surclassa, come presenza, il pop, che scompare per far posto ad un sound ancor più massiccio della canzone precedente.
Ascoltando attentamente, Kashoggi’s ship rappresenta una sorta di continuazione della precedente canzone, difatti riprende da dove ‘Party’ si era fermata improvvisamente ed è stata scritta interamente dallo stesso Mercury ed incentrata sul famoso miliardario e la sua barca. Continuando l’analisi ed il ricordo delle singole tracce e, dunque, seguendo l’ordine del long play, scopriamo che la terza canzone è quella che attribuisce titolo al disco: The Miracle.
Un pezzo musicale che si riconosce subito, fin dalle prime note e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la canzone più complessa che lo stesso Mercury sia mai riuscito a scrivere e a comporre. Il tema è quello della pace nel mondo e, allo stesso, tempo un singolo di genere prettamente rock pop, con delle sonorità che richiama le produzioni anni ’70 della stessa band. Ma su ‘The Miracle’ c’è un dettaglio che sveleremo fra non molto.
Prima, però, dovremmo precisare un ulteriore particolare: che la quarta traccia è rappresentata dalla canzone di cui abbiamo parlato ieri, nel penultimo appuntamento, ‘I Want It all’. In questo caso appare inutile ripetere quanto detto sull’iconica canzone che abbiamo ricordato ieri e proseguiamo con la tracklist di questo disco.
Come abbiamo sottolineato in precedenza, nonostante l’atmosfera fosse già abbastanza funerea, le idee ai componenti dei Queen non mancavano: tant’è che la prossima canzone che vi faremo ascoltare, oltre ad essere celebre per il video girato su un treno in movimento, è la conseguenza della fusione di due brani completamente diversi tra loro: When You loves Breaks Up e Breakthru. Quest’ultimo titolo fu quello definitivo.
Estratto come secondo singolo del disco, il 19 giugno del 1989, ‘Breakthru’ si apre con alcune armonie lente vocali per poi passare, all’improvviso, sound di puro rock, suddiviso tra la musica hard e il pop. La successiva canzone sembra allontanare la band dalla classica produzione musicale ascoltata fino adesso. Più vicino al ritmo latino e al blues. Così si presenta, alle nostre orecchie, ‘Rain must Fall’. Un pezzo davvero atipico per i Queen.
Passiamo, a questo punto, a ‘Scandal’ scritta da Brian May quando lo stesso, in anni precedenti, ebbe problemi con la stampa. Un brano molto vicino al cuore dello stesso autore nonostante il periodo che stava vivendo.
Con ‘My baby does me’ l’intenzione dello stesso Freddie Mercury e John Deacon fu quello di rendere l’album più orecchiabile e, dunque, meno pesante per quanto riguarda il sound scelto per il 33 giri. Ne venne fuori una canzone dal ritmo veramente molto soft. Anche in questo caso una incisione inusuale per Mercury e Company.
E arriviamo a quella che dovrebbe essere l’ultima traccia del disco ma che, in questa occasione, diventa la penultima prima di analizzare un’altra canzone in particolare. Was It all worth it, ‘ne è valsa la pena?’ nella nostra traduzione. Un brao che avrebbe dovuto rappresentare il commiato di Freddie verso il pubblico mondiale. Difatti i medici avevano previsto, erroneamente, che lo stesso cantante non sarebbe mai e poi mai riuscito a terminare il successivo disco, ‘Innuendo’. Ma sappiamo poi com’è andata.
E chiudiamo con quella che avrebbe dovuto essere la canzone che avrebbe attribuito il titolo al disco: Invisible Man, l’uomo invisibile. Il riferimento era lo stesso Freddie che era totalmente scomparso per alcuni anni proprio a causa della malattia che lo portò alla morte. Questo brano è l’unico in cui vengono menzionati tutti i componenti della band.
A distanza di trentacinque anni, per ‘The Miracle’, e quaranta, per ‘The Works’, definire quale sia il miglior lavoro della band apparirebbe ridicolo e retorico. Ciò che conta, in questo caso, era ricordare in modo del tutto originale lo stesso Freddie Mercury, chiudendo questo reportage proprio nel giorno del suo 78° compleanno e ci verrebbe da pensare: chissà che giudizi darebbe sui cantanti di oggi?