Il parallelismo tra la Convention del 1968 e questa del 2024 non sembra essere esatto nella sua totalità
Ieri abbiamo concluso la terza parte di questo reportage, interamente dedicato alla Convention di Chicago, con quel parallelismo un po’ forzato, tra gli eventi che si svolsero nel 1968 e gli eventi che si stanno svolgendo in queste ore. Prima di ritorna nella nostra epoca, proseguiamo il racconto di quel processo che venne istituito nei confronti di quei sette manifestanti, il cui unico scopo era quello di cercare di fermare la guerra in Viet-Nam, seppur con modi poco ortodossi.
Certo, farà notare qualcuno: non sempre le proteste fatte in un certo modo vengono ascoltate, non sempre vengono considerate; allora, per certi versi, è meglio forzare per poi rischiare di trovarsi nei guai con la legge e, infatti, fu proprio quello che accadde ai sette di Chicago.
Il processo, iniziato ufficialmente, il 20 marzo del 1969 si chiuse nel febbraio dell’anno successivo, nel 1970. In quegli undici mesi, in quell’aula di tribunale, accadde di tutto; comprese le invettive che lo stesso Bobby Seale lanciò contro il giudice di turno, Julius Hoffman. Alla fine, il fondatore delle Pantere Nere venne sì, condannato, ma per oltraggio alla corte.
Infatti, si stabilì che il suo coinvolgimento nei fatti avvenuti durante la sera del 28 agosto del 1968 non tale da considerarlo come complice o come facente parte del gruppo dei sette. La sua permanenza Chicago, lo stesso Seale quella sera stessa, durò solamente poche ore. Era arrivato nella città dell’Illinois con la mera intenzione di fare un discorso e nulla di più; almeno per quello che poi è emerso in tutti questi anni.
E i sette? Cosa realmente accadde? Vennero condannati oppure si salvarono per il rotto della cuffia, evitando così delle condanne? Se nella prima parte avevamo elencato una serie di accuse, quella ufficiale, attraverso cui venne fondata quella espressa dal Gran Jurì era istigazione alla sommossa e di associazione a delinquere, ovvero inteso come cospirazione; avendo, come mero punto di riferimento, la legge federale conosciuta come la Civil Right Act sempre dell’anno 1968.
Durante lo svolgimento sia delle indagini e sia del processo medesimo, anche nella figura del Procuratore Generale Ramsey Clark, si carpì che gli sconti vennero provocati dalla polizia della città di Chicago. Il 18 febbraio del 1970, infatti, tutti e sette gli imputati vennero prosciolti dall’accusa di cospirazione, anche e cinque di loro vennero, però, ritenuti colpevoli di aver attraverso il confine dello Stato dell’Illinois con lo scopo di incitare la rivolta, venendo condannati a cinque anni di carcere e in più multati per cinque mila dollari.
Due anni più tardi, la Corte di Appello degli Stati Uniti d’America ribaltò le condanne, con la motivazione con cui si dichiarava che lo stesso giudice Hoffman non avesse tenuto presente sia i pregiudizi culturali e razziali di alcuni giurati nei confronti degli imputati.
Questi, più o meno, come andarono i fatti; forse anche un po’ romanzati nel film di Sorkin, ma, lo ammettiamo, il parallelismo con questa convention e quella di fine anni ’60 non sussiste nella sua totalità. Di certo c’è un elemento in comune: la rinuncia dello stesso Presidente in carica per il secondo mandato e per motivi diversi, dettate, soprattutto, da esigenze sorte da epoche totalmente differenti l’una dall’altra.
Si, perché di fatto si parla di due ‘Americhe’ diverse. Anche se in questo qualcuno potrebbe trovare, ugualmente, ulteriori similitudini in un altro dettaglio, in un altro punto e non tanto di poco conto: ovvero che in entrambi in periodo storici gli Stati Uniti d’America erano divisi. Lo erano negli ’60 e lo sono in questa epoca. Nel decennio 1960, l’oggetto del contendere era la maledetta guerra nel Viet-Nam come abbiamo più volte sottolineato in diversi speciali pubblicati in questo giornale.
Lo sono in questa epoca e non tanto perché è apparso Donald Trump e ha diviso in due una Nazione che, sia nel bene che nel male, è sempre stata unita e non solo per immagine, ma anche per convinzione nonostante le grandi contraddizioni americane che l’hanno sempre contraddistinta sia nel bene che nel male nel corso della loro storia. Il punto è un altro e non tanto semplice esplicare anche in questa sede, in questo reportage.
La crisi degli Stati Uniti d’America inizia con l’11 settembre del 2001. Il crollo del World Trade Center ha avuto un impatto non indifferente psicologico sul popolo americano che, piano piano, lo ha fatto entrare in vortice di paure in cui tutte le paronoie sono, alla fine, esplose.
Qualcuno potrebbe anche sottolineare che questo nostro pensiero sia un po’ troppo semplicistico, ma da più parti si sente quasi l’esigenza di ricostruire lo spirito di una nazione che da tempo, ripetiamo sia nel bene che nel male, non riesce ad essere quella di un tempo.
Ci ha provato lo stesso Barack Obama, ci ha provato Joe Biden, ci riuscirà Kamala Harris, se dovesse vincere le elezioni? Di Trump, in fondo, lo abbiamo visto all’opera tra il 2016 ed il 2020. Sempre in queste ore si torna, seppur timidamente, a parlare di sogno americano; anche se non è stato pronunciato direttamente, la sensazione è che, tra lo stesso Obama e il veterano Bill Clinton, per non parlare anche dello stesso Joe Biden, ci sia l’intenzione di ripartire da zero e, soprattutto, c’è la voglia di ricostruire, da un lato, e di costruire un’America nuova e forte, dall’altro lato.
Come abbiamo sempre specificato, fin dalla prima parte di questo reportage, non entriamo in merito di quello che si è detto durante la Convention, in termini prettamente politici. Non entriamo in merito anche ad altre polemiche o a determinati tipi di frecciate che alcuni protagonisti si stanno lanciando per rendere, per così dire, la contesa politica ancor più appassionate.
Eppure, una sorta di eccezione la dobbiamo pur fare. Non tanto per entrare nelle grazie di questo o quel partito, di questo o di quel politico in modo particolare. semmai per il classico dovere di cronaca che contraddistingue il lavoro stesso di giornalista dal quale non possiamo esimerci senza, e lo ripeteremo, fino alla noia, senza mai prendere le parti dell’uno e dell’altro, partendo dal presupposto che questa notte parlerà la stessa Kamala Harris.