Prosegue il nostro viaggio tra ciò che sta accadendo con la nomination di Kamala Harris e ciò che accadde nel 1968.
La convention di Chicago, come ricordato ieri, ha una duplice valenza storica. Quella di quest’anno, per esempio, è già intrisa, di un altro significato e contenuto istituzionale e di responsabilità, nel senso che l’attuale Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, lo scorso fine luglio ha deciso di effettuare un passo di lato rinunciando, così, di fatto alla possibilità di concorrere per il secondo mandato. Stessa mossa che attuò Johnson in quella caldissima primavera del 1968, spianando di fatto la strada allo stesso Bobby Kennedy.
Nel 2024, a tentare il colpaccio, ci sta provando Kamala Harris la quale, rispetto al Senatore assassinato all’Hotel Ambassador di Los Angeles, trova la strada spianata anche per effetto di un’altra situazione rispetto a quella di cinquantasei anni or sono. Bobby Kennedy, dal canto suo, da quel 16 marzo del 1968 si scontrò con diversi candidati all’interno dello stesso Partito. Invece la Harris ha la strada spianata nel senso che nessuno dei pretendenti alla nomination presidenziale si è sognato di sfidarla. Paura? No, semplici ordini di scuderia e perché, comunque, il tempo a disposizione era veramente poco; quindi, si è presa una decisione di mera opportunità.
Eppure, per questo motivo a qualcuno non gli è andata proprio giù e quel qualcuno è il Tycoon il quale, da quando Biden si sta ritirando come un generale che sta per andare in pensione, sta continuando ad affermare che si tratta di un ‘colpo di stato’ che la procedura è incostituzionale, attaccando, oltretutto, anche la stessa Kamala Harris in merito al colore della pelle e non solo.
D’altronde nemmeno lei si è tanto sottratta contrattaccando facendo riferimento a tutti i criminali e predatori che aveva incontrato durante il suo ufficio di Procuratore Distrettuale di New York. Tant’è che qualcuno a Hollywood, come l’attore Tim Robbins, ha invitato la candidata a non perdere tempo a scadere nel linguaggio accusatorio nei confronti del suo avversario, ma semmai di ragguagliare gli americani della sua idea di Stati Uniti d’America.
Nonostante tutto, questa notte Kamala Harris ha incassato, ufficialmente, il placet di un Joe Biden che ha chiuso la sua esperienza nella politica con un discorso di commiato, anche se gli rimangono ancora pochi mesi alla Casa Bianca. Ha dichiarato alla platea di esser stato onorato di essere il Presidente della Nazione, ma soprattutto: onorato di esser stato il Vostro Presidente. Ho dato il meglio di me.
Questo è, più o meno, il riassunto della situazione che si è verificata in queste lunghe settimane, compreso quello che è anche accaduto nella notte alla prima giornata di convention. Quella che si sta svolgendo attualmente, per la ventiseiesima volta nella storia della città dello Stato dell’Illinois, a partire dal lontano 1860, è la Convention che chiude, di fatto, le primarie del Partito Democratico. È inutile andare a porre il classico quesito di chi vincerà a novembre. Per adesso, noi di FreeTopix Magazine, pensiamo solamente a farvi avvicinare all’appuntamento, concentrandosi solo dal punto di vista delle curiosità e dal punto di vista storico delle varie presidenziali americane, come abbiamo sempre precisato fin dall’inizio.
Senza, però, tralasciare e per dovere di cronaca, notizie relative di proteste, almeno a quanto è stato riportato fino adesso, di proteste pacifiche in favore della Palestina e contro Israele. Ecco, il vero secondo motivo di questo parallelismo: la paura di pesanti scontri, tra i manifestanti e la polizia, alla stessa stregua di quando avvennero negli ultimi giorni di agosto del penultimo anno del decennio 1960.
Dunque, giunti a questo punto, in quella convention del 1968 cosa successe in verità? Per iniziare vi elenchiamo dei nomi: Abbie Hoffman, Jerry Rubin, David Dellinger, Tom Hayden, Rennie Davis, John Froines e Lee Weiner. Queste sette persone sono conosciute come i Chicago Seven, i sette di Chicago, tanto per intenderci.
Furono accusati, dal Governo Federale degli Stati Uniti d’America per i reati di associazione a delinquere, istigazione alla sommossa e per altri relativi agli sconti tra polizia e manifestanti avvenuti, precisamente, tra il 28 ed il 28 agosto del 1968 il cui processo si svolse tra il 1960 ed il 1970. Per un po’ di tempo, in base ad una convinzione errata, si pensava che negli scontri fosse addirittura coinvolto l’allora capo della Pantere Nere Bobby Seale. Anche per questo il gruppo è anche conosciuto come i ‘Chicago Eight’. Ma come sempre ci capita in queste occasioni, usiamo il nostro mantra: andiamo con ordine.
Se la patata bollente di oggi è, di fatto, il conflitto in Medioriente, senza mai dimenticare l’aggressione di Putin all’Ucraina, in quel lontano 1968 la rogna era rappresentata dal Viet-Nam. Una guerra iniziata dai Kennedy, caduti nel tranello dei falchi dello stesso Partito Democratico della Casa Bianca rappresentati, quindi, anche dai cosiddetti Consiglieri Militari.
Un conflitto che risultò indigesto fin da subito e che gli stessi fratelli cercarono in tutti i modi di sfilarsi. Stranamente, prima John Kennedy e poi lo stesso Bob Kennedy furono assassinati dopo aver dichiarato l’intenzione di voler ritirare il contingente militare inviato nel paese asiatico. A pagarne il prezzo più alto fu anche lo stesso Martin Luther King, il quale, prima di morire al Lorraine Motel di Memphis aveva annunciato una grande manifestazione contro il conflitto che si stava svolgendo nel continente asiatico.
Storicamente, però, gli Stati Uniti d’America entrarono in Viet-Nam per aiutare i francesi che avevano già iniziato a combattere contro i vietcong; particolare, questo, che non sempre viene sottolineato. Un dettaglio che intrappolò la stessa America in un imbuto da cui per uscirsene ci volle veramente molto tempo. Dunque, l’intenzione dei sette era quella di far terminare la guerra che stava massacrando non solo donne e bambini innocenti, ma anche generazioni di americani che venivano inviati a combattere al fronte.
Tornando ai sette di Chicago, la vicenda è stata poi ricostruita, con una giusta dose di ironia, dallo sceneggiatore e regista Aaron Sorkin, nell’omonimo film del 2020, ed interpretata da attori come: Sacha Baron Coen, Joseph Gordon-Levitt, Yahya Abdul-Mateen II, John Carroll Lynch, Frank Langella e Micheal Keaton. Un cast stellare per una storia che fece molto discutere all’epoca.