Living in America, la canzone diventata quasi subito un inno
Dagli anni ’60 agli anni ’80 il passo è davvero breve alle volte. È vero, sono due decenni che rappresentano una distanza temporale abissale tra loro ed è calcolata in venti anni ma possono bastare quando si parla di James Brown e non perché dopo il 1966, il Padrino del Soul, non ha pubblicato più nulla, anzi al contrario. Ha continuato a scrivere, incidere e pubblicare musica comunque di qualità. Ha continuato in questo periodo di tempo in cui il passaggio, semmai si potrebbe dire così, tra il soul e il rhythm and blues, anche in questo caso il passo e breve, ed anche in questo caso può bastare. Perché in fondo entrambi i generi musicali fanno parte della cultura nera dell’America, di quell’anima nera molte volte calpestate per i motivi più abbietti.
Come può bastare il fatto, senza essere troppo un caso o una mera coincidenza involontaria che anche la terza ed ultima canzone selezionata per questo particolare speciale sia stata inserita nella soundtrack di un film. E che film, direbbe qualcuno. Di quelle pellicole iconiche che hanno fatto epoca. Semmai che hanno fatto gli anni ’80, che hanno forgiato quel decennio particolare. Era il quarto capitolo di un franchise iniziato sul grande schermo nove anni prima, nel 1976 e James Brown era la guest star, come si diceva un tempo, che impersonava un cantante. Anzi, che impersonava sé stesso.
Alcune inquadrature di quella scena che girò e che lo rendono l’assoluto protagonista, riuscendo ad oscurare anche l’indimenticato Carl Weathers che gli balla in torno, venne tratto un videoclip altamente adrenalinico, in fatto di immagini e di musica. Tali da farti venire voglia di andare a vivere in America. Il film, invece, era il quarto capitolo della saga di Rocky, forse quello più amato e forse quello che è rimasto di più nel cuore delle persone. La canzone che venne selezionata per far parte della colonna sonora del film, interpretato e diretto da Sylvester Stallone, era Living in America.
In questo terzo ed ultimo appuntamento con James Brown non ci soffermeremo a raccontare la scena in cui il singolo è stata inserita, sarebbe pleonastico per certi versi; semmai, come giusto che sia, ci soffermeremo sul significato e sul processo di nascita e di origine del brano stesso.
Prima, però, ci sarebbe un particolare e non di poco conto. Un dettaglio che deve essere tenuto presente, soprattutto quando si parla di James Brown. Lo stesso cantante non veniva da un periodo felice o quantomeno non riusciva a produrre successi musicali in serie, come quelli con i quali si era fatto notare negli anni ’60 tanto per intenderci.
Per essere ancor più precisi, James Brown commise l’errore di fare due passi più lunghi delle sue gambe; anche se uno dei due gli andò bene, rischiando un clamoroso autogol. Era il 1972 e sull’onda del successo del film di Francis Ford Coppola, Il Padrino, si autoproclamò, per l’appunto, ‘Il Padrino del Soul’. Ripetiamo gli andò bene e non tanto perché, intorno a lui, ci sarebbe stato qualche altro diretto concorrente musicale che lo poteva insidiare, no: perché tutti quanti accettarono tale autocelebrazione.
L’altro passo, che forse nessuno si aspettava o almeno per il personaggio per il quale rilasciò il suo endorsement, fu di natura prettamente politica. Da che mondo e mondo gli artisti, sia in via in diretta che diretta, hanno sempre manifestato le loro simpatie per quel partito o per quella personalità politica. Manifestare forse, all’epoca, simpatie per Richard Nixon non fu proprio una grandissima idea, pensando poi come l’allora Presidente degli Stati Uniti terminò il suo secondo mandato alla Casa Bianca.
Tale esposizione per Nixon, secondo le cronache dell’epoca, gli crearono non pochi grattacapi nelle classifiche americane. Infatti, per tutti gli anni ’70 non riuscì mai a piazzare i suoi singoli, di ottima fattura, ai piani alti delle singole classifiche di ogni genere musicale.
‘Living In America’ rappresentò, da un lato, il ritorno al successo, ma dall’altro fu l’ultimo della sua irripetibile e strepitosa carriera. La canzone venne pubblicata, esattamente, nel dicembre del 1985, periodo in cui uscì la quarta puntata di Rocky al cinema.
Se comunque non ci soffermiamo sulla scena in particolare, anche se sopra l’abbiamo condivisa da youtube, sarebbe comunque saggio, anche se il film lo conoscete tutti, che ‘Rocky IV’ è quello più patriottico di tutta la saga. Come ben sapete, il pugile di Philadelphia ritornerà sul ring, dopo aver appeso i guantoni al chiodo, per vendicare la morte del suo più caro amico contro l’avversario più temibile di sempre: il pugile sovietico Ivan Drago.
Questa, per filo e per segno, è la trama costruita con una serie di scene ed inquadrature che ancora oggi lo rendono un piccolo capolavoro del genere, senza mai e poi mai, togliere lo scettro di migliori episodi al primo, al secondo e al sesto capitolo della saga.
Dunque, se la trama avesse richiesto uno scontro epico sarebbe stato naturale che, nella composizione della soundtrack, ci doveva essere un brano che avrebbe dovuto rappresentare una netta linea di demarcazione, quindi di distinzione, tra la Russia comunista e Il Sogno americano e in che modo lo stesso popolo statunitense viveva e poteva vivere entro i confini della propria nazione.
L’intenzione dei due autori, Dan Hartman e Charlie Midnight, molto probabilmente era quella di creare una sorta di inno, non ufficiale, con il quale il pubblico, non solo americano, si potesse riconoscere. Un inno, fin dalle prime note, accattivante e adrenalinico. Tale da rendere ancor più frizzante l’immagine della nazione nei confronti dei sovietici. Una guerra culturale, insomma, perché, anche se molti non lo potevano sapere, non si era nel peno della Guerra Fredda, semmai verso la fine. Mancavano solamente quattro anni esatti.
Ma al di là di ciò siamo consapevoli che non abbiamo tutto quello che si poteva dire su ‘Il Padrino del Soul’. non bastano tre canzoni, come non bastano, molto probabilmente, neanche uno speciale di tre parti, ma qualcosa di molto di più. eppure, non cercare, anche se in piccolo di celebrare settanta anni di carriera, equivaleva di sicuro ad un delitto commesso nei confronti di una vera icona del mondo musicale.