Altro appuntamento eccezionale di martedì con ‘Arti Figurative’

Dalla ‘soluzione’ empirica della sezione aurea nell’‘entasis’ greco- antica, procedendo attraverso le letture della sequenza di Fibonacci qua e là osservabili dal Medioevo in poi, avendo conto delle congiunture del- la perspectiva rinascimentale e degli studi ottici che consentono le trasvolate anamorfiche fra Manierismo e Rococo, giungiamo alla proposta straordinaria del Monumento alla Terza Internazionale, opera di suprema ed assoluta bellezza di Tatlin in cui si sintetizzano le ragioni contenutistiche della spinta committente di Lenin con le prospettive di una ricerca creativa che accompagnava e, per molti aspetti anticipava, il dibattito che andava ponendosi in agenda all’interno di ‘De Stijl’, fornendo ad esso una soluzione – produttivamente esemplare e pregevole – di come l’istanza organizzativa della misura della ortogonalità (ritor- niamo, quindi, a Mondrian) dovesse trovare opportunità conciliativa con l’esigenza ‘obliquitario-diagonalista’ vandoesburghiana, avendo conto, pe- raltro ‘anche’ dell’innegabilità del rap- porto curvo-rettilineo.

Tatlin, insomma, col suo Monumento, sembrava aver messo il punto fermo sulla questione del rapporto tra arte e logica matematica; ed il Monumento (1919), pertanto, segna, con la forza che è propria della capacità anticipatrice dell’arte, un punto di vantaggio anche rispetto alla datazione stessa delle riflessioni heideggeriane, che,

nate sullo spunto della paideia husserliana, se ne discostano produttiva- mente nelle pagine di Sein und Zeit, composto, però, ‘solo’ nel 1927. E proprio in virtù di tanto, è possibile sostenere che il Monumento inaugura, di fatto, la nuova stagione di un’istanza ‘cronotopica’, quella, in partico- lare, che Einstein descrive nei suoi termini prettamente scientifici e che l’arte è chiamata ad interpretare col suo linguaggio del tutto peculiare.

Ciò che rimane, comunque, ancora insoluto – ma non solo nel Monu- mento di Tatlin, ma anche all’interno stesso di Sein un Zeit e della ricerca scientifica in generale – è l’ingabbiatura conoscitiva del ‘tempo’ nei ter- mini di una determinazione ‘esteticamente’ – e, quindi, semeioticamen- te – perimetrabile. E ciò al netto del fatto che le dinamiche einsteiniane avessero potuto fornire una convincente dimostrazione dell’assetto crono- topico ed al netto. altresì, della aperture problematiche che l’innovazione einsteiniana può suggerire di un intendimento del tempo ‘anche’ tendente al livello zero del suo annichilimento, cioè, come dovrebbe avvenire, in via presuntiva, all’interno di un ‘buco nero’, al di là dell’‘orizzonte degli eventi’.

Tutto ciò lascerebbe pensare ad una inderogabilità di ricorso ad una concezione del tempo – e ad una sua rappresentazione eidetica – ancora in termini di ‘immagine mobile dell’eternità’, cosa che potrebbe valere ancora tuttoggi ad accreditare sia una prospettiva di fissità temporale (l’e- ternità) che quella della mobilità (il tempo percepito nel suo trascorrere unidirezionale). Epperò si affaccia, intanto, l’istanza di una prospettiva del tempo da considerare non solo in termini di non irrevocabilità della ‘freccia’, ma addirittura di una sua dimensione ‘sferica’.

Per secoli, la creatività artistica ha dato corpo ad una concezione sog- gettivistica del tempo, con una prospettiva allineata sostanzialmente con quella con la quale, nel Timeo, Platone sceglie di dare una spiegazione della percezione transeunte del tempo facendo leva sul dato che il soggetto umano può avere del tempo stesso solo una doxa individuale.

Si interroga sul tema del tempo anche Aristotele, che tiene conto anch’egli della centralità del fattore soggettivo, ma per dichiarare che il tempo non è altro che la ‘misura’ del movimento, legando, in tal modo il tempo alla processualità del divenire secondo la possibilità di percezione dello scorrimento che può averne il soggetto umano, capace di fornire un ordinamento numerico alla quantificazione del tempo, ben comprendendo, ad esempio, la scansione dell’attimo e la sua natura dirimente di impercettibile definizione dell’istante fuggente.

La visione einsteiniana, invece, vale a riformulare radicalmente il problema nel momento stesso in cui azzera la contrapposizione temporo-spaziale e riconduce la dimensione del tempo alla necessità relazionale con lo spazio, introducendo, così, una ‘quarta’ dimensione e provvedendo, altresì a spiegare che esiste una precisa relazione spazio-temporo-gravitazionale per effetto della quale non può essere immaginabile una concezione diri- mente, nel momento stesso in cui si può andare a verificare, ad esempio, che con l’aumentare della gravità o della distanza spaziale, il tempo finisce col subire un processo di verificabile contrazione.

Ma, ciò non vale a porre la questione esclusivamente teorica di immaginazione di una azzerabilità del tempo, ad esempio, in quella zona dell’ ‘orizzonte degli eventi’, ove sembrerebbe dispiegarsi una opportunità di verifica della concezione olistica parmenidea?

E, di seguito – ed è altra domanda – se tutto ciò non è destituito di fon- damento, può non essere invocabile, come abbiamo suggerito di potersi fare, nell’introibo di queste nostre riflessioni sulle dinamiche temporo- spaziali, la sostituzione di E con T e di m con s nella celebre equazione einsteiniana. proponendo la prospettiva di una possibilità di intendere lo spazio come null’altro che una determinazione temporale in un suggeri- mento di fondamentale reductio ad unum, spendibile, con i necessari e dovuti interventi esplicativi, anche in funzione di una riduzione alla unità del complesso delle ‘quattro forze fondamentali’?

Le difficoltà impellenti di una proiezione attuativa di queste determinazioni di pensiero sulla fattualità empirica della costruzione dell’oggetto artistico sembrano dover limitare la fabulazione creativa dell’artista a rimanere confinata esclusivamente all’interno della perimetrazione spaziale. La dirimente astrattiva – dalle formulazioni di De Stijl (nella doppia chiave mondrianiana e vandoesburghiana), fino a quella irrazionalista di Torres Garcia e non meno a quella ‘costruttivista’ di Tatlin – sembrerebbe rimanere, tutto sommato, alla soglia del problema ‘tempo’, di cui perimetra con chiarezza l’istanza tematica (soprattutto con Tatlin), senza riuscire a fornire una proposta più intensamente e convincentemente risolutiva.

In tutto ciò va riconosciuto, ad esempio, a Mondrian di aver saputo individuare una importante via da perseguire che egli addita nella semplificazione degli strumenti di intervento, che fissa nella utilizzazione della disposizione ortogonale, nella planarità e nell’uso, infine, dei colori primari e dei ‘non-colore’ del bianco e del nero. È certamente questa la via giusta da percorrere, ma Mondrian non la persegue fino in fondo.

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