Una breve serie di appuntamenti per celebrare i sessanta anni della marcia più famosa della storie dei diritti civili negli Stati Uniti d’America.

Dal ‘Bloody Sunday’ passiamo al ‘Turnaround Tuesday’, anche sessanta anni dopo l’anniversario della seconda marcia cade di domenica; mentre per la prima è avvenuto di venerdì. In questo terzo appuntamento, rispetto ai primi due, bisogna andare ancor più in fondo alla questione. Si, perché fino adesso abbiamo saltato diversi passaggi, diversi dettagli relativi non solo a quel 7 marzo, ma soprattutto relativi a tutte e tre le marce. Dunque, fino adesso cosa ancora non si è detto in questa serie particolare e speciale di articoli?

Molte cose, come per esempio, fin dal primo appuntamento siamo partiti con menzionare Rosa Parks ma non altre due persone. Difatti, a promuovere tale iniziativa, anche a differenza di come si vede nel bellissimo film diretto da Ava DuVernay, non fu direttamente il Reverendo e Premio Nobel per la pace Martin Luther King ad organizzarle, ma semmai due attivisti.

I loro nomi erano Amelia Boynton Robinson e suo marito, i quali formavano la cosiddetta Dallas County Voters League. Eppure, non bisogna pensare che esisteva solo quel tipo di associazione, infatti si formarono diversi movimenti in favore del diritto di voto a Selma, nello Stato dell’Alabama. Esattamente, però, la Dallas County Voters League quando venne fondata?

Le cronache dell’epoca portano fanno riferimento all’anno, forse, più tragico per gli Stati Uniti d’America, dopo il 1968. Ovvero, il 1963. Come ormai tutti quanti sappiamo in quei terribili dodici mesi persero la vita, in ordine cronologico e almeno per quei casi più eclatanti: l’attivista dei Diritti Civili, Medgar Evers, la sera dell’11 giugno in cui il Presidente John Fitzgerald Kennedy tenne un discoro, alla nazione, proprio in merito al problema razziale.

Nel settembre dello stesso anno, il Ku Klux Klan si macchiò di uno dei crimini più efferati contro la comunità afroamericana, facendo saltare in aria con quattro bambine dentro. Mentre il 22 novembre di quel 1963 è ormai tristemente famoso per l’assassinio, a Dallas, del Presidente John Kennedy. Un anno, dunque, duro, difficile ma che, allo stesso tempo, regalò anche uno significativo squarcio di speranza proprio grazie allo stesso Martin Luther King con il suo discorso, I Have Dream’, che gli valse il premio Nobel per la pace, come ricordato negli appuntamenti precedenti, nel dicembre del 1964.

Si potrebbe dire che neanche quel 1965 fu da meno; nel senso che iniziò nel modo più positivo possibile. Come ricordato in un altro speciale di qualche settimana fa, anche il leader dei musulmani afroamericani, Malcom X, venne barbaramente assassinato ad Harlem, New York, il 21 Febbraio di quello stesso anno. Dunque, la situazione non era delle più rosee, considerando, anche il fatto, e soprattutto che lo stesso Malcom, dopo la tragica rottura con la Nation of Islam si era avvicinato molto al pensiero di unione tra bianchi e neri.

Quindi, cosa accadde, dopo quel maledetto 7 marzo del 1965 e che poteva addirittura terminare in maniera ancor più tragica di come in verità finì? Martin Luther King, dopo esser stato messo in panchina per due ordini di motivi: problemi con Coretta, sua moglie, e per quanto riguarda anche delle presunte minacce alla sua sicurezza che, purtroppo, tre anni più tardi si materializzarono tutte nel maledetto giorno del 4 aprile del 1968.

Anche in questo caso, prima di andare avanti e di proseguire nel racconto, soffermiamoci ancora su qualche antefatto non ancora specificato o ricordato a dovere, soprattutto quando, nella prima parte, avevamo riassunto, per sommi capi, l’esito della seconda marcia di sessanta anni fa e di quella che si tenne dopo qualche giorno.

Non eravamo riusciti, ancora, a trovare la quadra giusta per raccontare, tutto l’evento, in maniera ordinata e senza saltare alcun passaggio. In realtà, ogni singolo dettaglio lo stiamo recuperando proprio in questa terza parte. Allora, dunque, il 9 marzo di sessanta anni fa cosa accadde? Ci fu, come ci riportano le cronache dell’epoca, una seconda marcia.

Questa volta, alla testa del corteo, c’era Martin Luther King. E rispetto alla domenica precedente non c’erano più solo seicento manifestanti ma, addirittura, 2500. Le immagini di due giorni prima avevano fatto, inevitabilmente, il giro del mondo, mettendo in forte imbarazzo la presidenza Johnson. Infatti, tutto era partito, per certi versi, proprio a causa della ritrosia di Lyndon Johnson di occuparsi, come priorità assoluta, della questione del voto agli afroamericani. In effetti, tale diritto era comunque garantito dalla stessa costituzione, ma solamente in ambito formale e non in ambito sostanziale.

Il motivo lo abbiamo spiegato sempre in precedenza e ciò, però, che serviva era un’ulteriore legge federale che garantisse, in tutto e per tutto, non solo l’ulteriore riconoscimento dell’esercizio di tale diritto, ma anche e soprattutto la sua fondamentale applicazione.

Durante i molti colloqui che lo stesso Martin Luther King ebbe con il Presidente Johnson, la volontà ruotava sempre, da parte di colui che occupava l’ufficio ovale, di combattere la fame nel mondo. Un modo elegante per non occuparsi subito della questione e per prendere tempo, forse, per non inimicarsi chi, dal Profondo Sud degli Stati Uniti, lo appoggiava nella presidenza.

Lo stesso Johnson, forse, non pensava che la protesta giungesse oltre il limite consentito proprio con la seconda marcia che, partita sempre da Selma e giunta Montgomery, non sarebbe terminata nel giorno di 60 anni fa. Cosa accadde? Che le forze dell’ordine, dopo la pessima figura del ‘Bloody Sunday’ aprirono il varco all’ingresso del ponte Edmund Pettus Bridge ma questa volta i manifestanti, diciamo così, non approfittarono per passare, perché nei fatti, alla base, c’erano altri due motivi.

Il primo che entrambe le marce del 7 e 9 marzo non erano state consentite; secondo non era stata ancora garantita la creazione di una legge federale che permettesse, una volta, per tutte di riconoscere, garantire ed applicare l’esercizio di voto in favore degli afroamericani. Alla fine, cosa accadde? Il premio Nobel per la pace fece marcia indietro, quando intuì che avrebbero fatto passare i manifestanti senza ottenere nulla in cambio, dunque solo per mera formalità.

Quindi, la storia non è ancora finita. Furono giorni molto particolari nel marzo di sessanta anni fa e ve li faremo scoprire al prossimo appuntamento.

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