In occasione del sessantesimo anniversario dell’assassinio del leader nero, un interessante reportage sulla sua figura

Nel film biografico interamente dedicato alla figura di Malcom X, il regista afroamericano, Spike Lee, non usa mezze misure a comporre il suo mito sulla figura del leader nero. Qualcuno potrebbe dire: una visione a senso unico. Qualcun altro invece: si tratta solamente delle mere licenze protetiche. Di qualsiasi cosa si tratti, sta di fatto che quell’opera cinematografica colpisce comunque nel segno e che, soprattutto all’epoca, considerando il clima che si respirava negli Usa durante quei primi anni del decennio 1990.

Non passa inosservato, nonostante non riuscì ad ottenere nessuna statuetta d’oro; accontentandosi, si fa per dire, della nomination come miglior attore protagonista a Denzel Washington e per i migliori costumi a Ruth E. Carter. La candidatura come miglior attore la ottenne anche per i golden globe. Un successo travolgente, quasi, che non permise sia al cast che allo stesso regista di ottenere il bottino pieno.

Torniamo, però, su quelle che potrebbero venir considerate delle mere licenze poetiche; in modo particolare su come lo stesso Malcom X, nella realtà, andò incontro a quello che oggi, comunemente, viene definito uno ‘sliding door’. Nel senso se venne veramente avvicinato da un estraneo oppure furono lo stessi i famigliari ad indicargli la via? Forse, Spike Lee scelse lo stratagemma della persona estranea per esaltare ancora di più la sua figura? Non ci resta che dire, con il condizionale, si.

Al di là di ciò, nel racconto della sua vita, di Malcom X intendiamo, eravamo rimasti nel periodo che intercorre tra il 1946 ed il 1948. Il primo anno si fa riferimento all’anno del suo arresto, con il secondo l’anno della sua conversione e mutamento di vita, precisando inoltre, che l’ex Malcom Little stava scontando una pena di dieci anni per i reati indicati nella seconda parte. Ma perché nell’indicare il suo nome di battesimo abbiamo usato la parola ‘ex’. Anche in questo caso andiamo con ordine.

Se Martin Luther King rimase affascinato dal modo di lottare del Mahatma Gandhi per liberare l’India dall’occupazione inglese, Malcom X rimase affascinato dalla parola del leader della Noi, della Nation Of Islam. Il suo, come detto, sarebbe stato un approccio diretto sulla questione razziale, anche troppo. Durante la sua conversione durante gli anni della prigione Malcom iniziò a divorare ogni tipo di libro che gli capitasse a tiro. In maniera più precisa, ogni testo che rafforzasse l’idea che portava avanti il leader della ‘Noi’. In questo, bisogna dire, fu il suo vero limite e più avanti vi spiegheremo il perché.

Studiando e approfondendo quello che sarà, comunque, anche la sua visione della vita e dei rapporti tra bianchi e neri, Malcom, in quel periodo, riuscì persino a trascrivere un intero dizionario da solo. oltre a ciò: acquistò un’arte oratoria, per certi versi e anche per paradosso per quello che gli era stato detto anni prima a scuola, pari a quella di un avvocato. Incominciò a dialogare con Mohammed attraverso il rapporto epistolare e quattro anni più tardi all’inizio della sua conversione, uscì di prigione per buona condotta il 7 agosto del 1952.

L’anno successivo la Cia iniziò a seguirlo e a spiarlo, questo perché non solo stava ottenendo successo nell’operazione di proselitismo, facendo aprire anche diverse moschee in determinate città d’America, ma anche per un altro motivo chiamato: sicurezza nazionale.

Infatti, solamente due anni prima alla sua scarcerazione, Malcom incominciò a firmare le sue lettere non più come Malcom Little, ovvero suo nome di battesimo, ma proprio come Malcom X. E adesso vi spieghiamo il vero motivo: partendo dal presupposto che questa lettera in matematica rappresenta un’incognita, lui la usò per chiarire che ‘Little’ non era di fatto il suo vero nome.

Nel senso che storicamente, durante l’epoca dello schiavismo, prima che il Presidente Abraham Lincoln l’abolì nel 1865, la prassi era che qualsiasi persona resa in schiavitù acquisisse il cognome del suo padrone. Disconoscendo ‘Little’ come tratto identificativo della propria persona voleva chiarire o, comunque, affermare che era completamente all’oscuro delle sue vere origini.

In questo modo, in una delle tante lettere che inviava ad Elijah Mohammed la inviò addirittura all’allora Presidente degli Stati Uniti Harry Truman, il quale non solo dichiarò di essere contrario alla guerra di Corea, ma anche di essere simpatizzante dell’Unione Sovietica. Una mossa poco saggia. Non solo, nelle lettere incominciò anche a formarsi con un nome molto strano, particolare.

Anzi, per essere ancor più precisi, con un cognome con il quale stava ad indicare un’antica discendenza proveniente da un altrettanto antica nazione asiatica nera. Tutto ciò la Cia, dopo che lo aveva persino seguito a Chicago, dove si trasferì proprio dal capo della Noi, lo bollò con una personalità asociale con tendenze paranoiche. In poche parole, con una schizofrenia paranoide prepsicotica.

Da quel momento in poi la sua vita sarà sotto la lente d’ingrandimento del governo americano e dalla metà degli anni ’50 in poi diventerà un punto di riferimento per tutti gli estremisti che non accettavano, per molti versi, il dialogo portato avanti dallo stesso Martin Luther King. Il modo di intendere la lotta in favore della propria comunità, come abbiamo già sottolineato, Malcom X non ammetteva determinati tipi di alleati.

Tenendo presente una delle tante scene del biopic di Spike Lee, Malcom respinse, in modo categorico, l’aiuto di una giovane studente bianca che si era appassionata alla causa; confermando che per lui i bianchi erano, sostanzialmente, nemici da abbattere e distruggere ad ogni costo, perché li considerava come dei persecutori ed assassini.

Una visione, la sua, limitata, nonostante partisse da una base sostanzialmente logica in parte, soprattutto dopo tutto quello che aveva vissuto. Da un lato, forse, non è proprio da biasimare, ma dall’altro lato la sua visione era fin troppo ristretta per poter diventare o scalzare, come leader, il suo omologo di Atlanta. I suoi detrattori, i suoi acerrimi nemici, per un paradosso, non erano da ricercare nel mondo bianco tanto osteggiato da lui. No, il destino con lui fu alquanto beffardo e tragico alla stessa stregua di suo padre, seppur in modo totalmente differente ed inaspettato ma con lo stesso finale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *