Primo appuntamento speciale con la rubrica in celebriamo uno dei più grandi capolavori di James Ellroy
Di questo romanzo, in tempi non sospetti, ne avevamo già parlato e in più di una volta. La prima fu nel 2021, la seconda due anni più tardi quando cadde il sessantesimo anniversario non tanto di uno degli eventi che ha caratterizzato il Novecento; semmai l’evento che ha travolto la storia stessa di quel secolo ancora oggi tanto chiacchierato ed analizzato. Un evento, che all’origine potrebbe sembrare come un mero fatto di cronaca, se non fosse che la vittima era l’uomo più potente del mondo; l’uomo che, come non mai, riuscii ad instillare nella gente un’innata speranza.
Quella stessa speranza che venne meno, alle ore 12.30 ore locali di Dallas, nello Stato del Texas, nella Dealey Plaza quando tre colpi di fucile, sempre stando alla versione ufficiale, posero fine alla presidenza del giovane Commander in Chief John Fitzgerald Kennedy. Era il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America e, come si è sempre detto da allora, la nazione non sarebbe stata più la stessa.
Frase fatta, ovviamente. Frase ripetuta anche più volte da quel tragico 22 novembre del 1963; frase espressa anche dopo l’11 settembre del 2001 e forse, effettivamente, dopo il crollo delle Torri Gemelle, veramente niente è stato più come prima. Pensiero che, sempre durante quei leggendari e, al tempo stesso, maledetti anni ’60 fu ampliato anche per le tragiche morti di Martin Luther King e a Robert Kennedy; uccisi, rispettivamente, il 4 aprile e il 5 giugno del 1968.
Eppure, questi tre omicidi, eccellenti come direbbe in tempi non sospetti Giovanni Falcone, rappresentano solamente la parte centrale di quella che è di fatto una vera e propria trilogia letteraria. Qualcuno, persino, azzarderebbe il termine saga. Perché in effetti di ciò che è successo dietro le quinte di quei tragici eventi, effettivamente, può essere descritto solo con il termine che vi abbiamo appena menzionato.
Ma come sempre andiamo con ordine anche se, forse, non ce ne sarebbe neanche il bisogno. Eppure, nonostante tutto, l’intenzione di specificare che questo speciale letterario è più attinente alla rubrica ‘Usa’ che propriamente a quella rinnovata nella forma, nella sostanza e anche nel nome ‘Raccontiamo un libro?’ non sarà da considerarsi come il tanto annunciato capitolo 1. Semmai, potrebbe esser inteso come un piccolo reportage in cui si cerca di analizzare e approfondire la prima parte di una storia, letteraria, in questo caso, che ha come sfondo quegli anni particolari che si sono svolti negli Stati Uniti d’America. e, se vogliamo, un episodio quattro di ‘Usa’ molto, ma molto ampliato
Anni non sempre facili da raccontare, da rievocare e quando, magari, siamo alle prese di una delle tante rievocazioni di quel periodo, di una delle tante celebrazioni, il cui ricordo è sempre dolce, spensierato. Anni belli, unici e irripetibili perché tutto sommato da poco il mondo era uscito dalla guerra e nonostante quelle tre grandi tragedie c’era instillata la speranza che comunque tutto poteva cambiare in meglio; tutti, ma non per qualcuno che ha avuto il merito di ‘riportare in vita quegli anni’, di ricostruirli sotto un’altra lente d’ingrandimento. Con un cinismo troppo nudo e credo anche per coloro che non amano le enfatizzazioni e preferiscono attenersi nell’esposizione con toni bassi, normali e pacati e alle volte anche troppo.
“Erano sbirri corrotti e artisti del ricatto. Erano intercettatori, soldati di fortuna e cabarettisti froci. Se un solo istante delle loro esistenze avesse imboccato un percorso diverso, la storia americana, così come noi la conosciamo, non sarebbe esistita”. Con queste parole, dirette, senza fronzoli, senza retorica, lo scrittore statunitense James Ellroy ci dipinse, nella quarta di copertina, la storia del suo paese. Quel romanzo uscito giusto trenta lunghi anni fa e che ancora oggi è considerato come uno dei maggiori capolavori hardboiled della storia. quello stesso Ellroy definito da molti, all’inizio della sua carriera, come l’erede designato di un certo Raymond Chandler.
Lo ammettiamo, però: è davvero un gran peccato non iniziare la rubrica proprio con questa opera; proprio con questo primo romanzo che, nella sua essenza, è tutto da raccontare. Nello stesso, oltremodo, avremmo anche qualche altro aspetto da considerare e che, per tempo, abbiamo fatto: non basterebbe qualche appuntamento di ‘Raccontiamo un libro?’, semmai ci servirebbe una rubrica intera all’interno del giornale stesso e questo, purtroppo, non è possibile.
Come, difatti, siamo anche già andati oltre senza neanche indicare il titolo, ‘American Tabloid’, che per un articolo di giornale è grave; è considerato un vero e proprio errore. Ma il punto è anche un altro e non è solo questo. Ovvero: da dove iniziare l’analisi? Bella domanda. Sicuramente qualcuno di voi suggerirà dall’ambientazione.
Sempre qualcuno di voi risponderà: logico, Stati Uniti anni ’60. Ed ecco che forse commetteremmo un altro piccolo errore. Perché, lo stesso Ellroy parte da lontano. Non dal 1961, magari da quello stesso 20 gennaio, giorno in cui avvenne l’inaugurazione del mandato presidenziale di John Kennedy. neanche, seppur in maniera simbolica, a partire dal 1° gennaio del 1960. Ma da ancora più lontano. Dal 22 novembre del 1958. Cinque anni prima della tragedia, cinque anni prima in cui il romanzo stesso si chiude, ma dove la trama stessa non termina, si evolve per altri cinque anni e così via.
Si, perché lo stesso scrittore americano, non si è accontentato di arrivare e fermarsi a Dallas, nella Dealey Plaza, con i suoi personaggi, i quali non sono antieroi ma che rappresentano la faccia più oscura dell’America; quella che forse non si era mai vista neanche in questo modo. È andato oltre. Oltre anche allo stesso e leggendario 1968, sconfinando fino alla fine, politica si intende, di Richard Nixon.
I personaggi invece? Appunto. Sono tanti, troppi ma non si fa fatica a stare al passo. Non si fa confusione. Con la scrittura semplice, diretta e anche ben organizzata, Ellroy, li fa entrare in scena ad uno ad uno in un modo indiretto, senza descrizioni pleonastiche, senza nessuna enfatizzazione. Perché per lui il mito stesso deve essere smantellato e non tanto distrutto e per un semplice motivo: gli Stati Uniti d’America non persero la loro verginità in quel 22 novembre del 1963.