Quarta ed ultima parte del reportage interamente dedicato ad una delle più grandi leggende di Hollywood

Il riferimento della possibile terza statuetta che avrebbe meritato Gene Hackman e a cui ieri stavamo facendo riferimento era per il ruolo dello sbrigativo e osso duro agente dell’Fbi nel dramma storico e thriller ‘Mississippi Burning – Le radici dell’odio’. Nel ruolo di Rupert Anderson, ispirato alla vera figura del funzionario americano John Proctor, fu talmente convincente che in quell’occasione riuscii a miscelare un po’ tutti gli aspetti, le sfaccettature, diciamo così, di tutti gli altri personaggi che fino a quel momento aveva ricoperto.

D’altronde i suoi primi ruoli non furono sempre positivi. Infatti, nel ricordare tutti i suoi titoli non abbiamo mai specificato, solamente in alcune rare occasioni il ruolo ben specifico che gli era stato affidato da parte dei registi con i quali aveva lavorato tra i decenni 1960 e 1970.

Le parti per le quali era ingaggiato erano, in quei decenni in modo particolari, tutti quanti del cattivo o, comunque, del cosiddetto antagonista. Questa particolarità gli permise, non si sa quanto volontario, di approfondire quei tipici aspetti del classico personaggio duro, molto vicino quasi all’antieroe che eroe senza macchia. Non a casa la sua classica caratteristica era: lo sguardo deciso, diretto e al tempo stesso anche ironico, sarebbe giusto definire anche furbetto e sornione, esaltato dalla capacità di mostrare anche dei lati burberi, spicci e da un realismo talmente evidente che sembrava che fuori dal set fosse così anche lui. tutto ciò gli era anche dovuto grazie alle esperienze che aveva avuto nella sua esistenza e che abbiamo ricordato, seppur non proprio nello specifico.

Dunque, oggi, il grande e leggendario Gene Hackman compie 95 anni. Raggiunge un’età che sicuramente pochi riescono a toccare o a sfiorare. Nonostante questo lungo speciale sia di fatto la celebrazione della sua vita e della sua carriera appare inevitabile oltre che tirare le somme, e forse quello lo stiamo già facendo dall’inizio, semmai di cercare di trovare una sorta di suo erede.

Se ci avete fatto caso non vi abbiamo posto tale pensiero con la mera natura interrogativa e per un semplice motivo: la risposta è già insita in tutti noi. è impossibile trovare un suo erede. Forse in tutto questo tempo e chissà perché il nome che stiamo per fare non è mai stato accostato allo stesso Gene, come continuità di stile di recitazione, il che ci permette di avanzare l’ipotesi che una sorta di erede ci sia veramente stato, seppur con caratteristiche in parte eterogenee.

Dunque, il nome che ci è venuto in mente e che vi proponiamo tra queste righe virtuali è quello di Kevin Spacey. Vero, direte voi, quest’ultimo sostituì proprio Hackman nel ruolo di Lex Luthor in ‘Superman Returns’ del 2004; proponendo in quell’occasione una versione più dark dell’antitesi dell’eroe venuto da Krypton, senza mai discostarsi o comunque dimenticare la natura ironica e furba proposta nei primi nei capitoli del 1978, 1980 e 1987.

Naturalmente si tratta di due attori diversi, che hanno seguito un percorso altrettanto diverso e che, cosa non ben più importante, solamente uno è stato al centro di uno scandalo. Ciò non toglie la bravura dello stesso Spacey che in alcuni momenti si è veramente avvicinato allo stesso Gene Hackman.

Attualmente, Hackman è l’attore vivente più anziano ad aver vinto il premio oscar per la miglior interpretazione maschile, sia come protagonista e sia non come protagonista. Certo, rimanendo nell’ambito dell’Academy Award e dei suoi riconoscimenti, ci viene spontaneo chiederci se due statuette d’oro rappresentano un bottino fin troppo amaro per la carriera che ha avuto.

Forse saremmo di parte, forse saremmo anche esagerati ma riteniamo di sì. Se non poteva almeno riuscire a conquistare tutti gli oscar per la recitazione, ribadiamo che quello del 1989 sarebbe stato il suo terzo successo personale. Eppure, nonostante la sua seconda statuetta la conquista agli inizi degli anni 90, quali furono gli attori che gli proibirono, non proprio nel vero senso del termine, di aggiudicarsi l’ambito premio?

Al Pacino, per il ‘Padrino – Parte II’; Jack Nicholson, per ‘Chinatown’; il suo migliore amico Dustin Hoffman, per ‘Lenny’; Albert Finney, per ‘Assassinio sull’Orient Express ed Art Cagney per Harry e Tonto. Nel 1989, invece? Max Von Sydow per ‘Pelle alla conquista del mondo’; Edward James Olmos per La forza della volontà; Tom Hanks, per ‘Big’, ovvero la versione statunitense ‘Da Grande’ con Renato Pozzetto. Ma a soffiargli la tanto ambita statuetta ci fu, quasi per la seconda volta consecutiva, il suo migliore amico Dustin Hoffman.

In effetti, il collega in quell’occasione si mostrò talmente inarrivabile nel ruolo svolto in ‘Rain Man – L’uomo della pioggia’ con un giovanissimo Tom Cruise e Valeria Golino. Dunque, in questo caso si potrebbe parlare di mera sfortuna e non tanto di occasione sprecata da parte dell’attore nato a San Bernardino novantacinque anni fa, ormai.

Ma a questo punto torniamo al punto di partenza. Vi riproponiamo il quesito con il quale abbiamo inaugurato questo lungo reportage interamente dedicato a lui: in che modo lo possiamo identificare? Qual è il personaggio attraverso il quale lo ricordiamo maggiormente? Certo, da diversi anni, negli Stati Uniti, come specificato nella prima parte, molti lo hanno iniziato ad apprezzare anche come scrittore. Chissà se le sue opere letterarie, un giorno, saranno distribuite anche da noi?

Sta di fatto che forse non abbiamo detto tutto, sta di fatto che neanche siamo riusciti ad approfondirlo come volevamo. In fondo, personaggi come lui non possono essere trattati così velocemente. Nessun articolo che sia di un’unica, due, tre, quattro o di cinque parti può bastare per raccontarlo e farlo scoprire soprattutto alle nuove generazioni, le quali di sicuro un po’ lo possono conoscere per esser stato il nemico di Superman al cinema.

In merito al suo ritiro, avvenuto ufficialmente quattro anni più tardi alla sua apparizione nella trasmissione di Larry King, si può apprezzare il modo in cui lo ha fatto. Niente annunci spettacolari e in pompa magna. Si è ritirato così, in silenzio, così come aveva iniziato la sua carriera, mantenendo fede alla caratteristica naturale di tutti i suoi personaggi: di uno di altri tempi: Auguri, Gene.

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