Il 7 ottobre di un anno fa l’attacco che ha destabilizzato il Medioriente

Si può essere dalla parte di Israele? Come si può essere dalla parte della Palestina? O come si potrebbe essere dalla parte di Benjamin Nethanyu? Come in quella di Hamas? O forse, più semplicemente, sarebbe più giusto avere il coraggio di non prendere alcuna posizione, cercare di raccontare ed analizzare questa maledetta situazione ripartendo da zero? Ripartendo dall’inizio? Perché a questo punto è diventato troppo complicato sentenziare su chi ha ragione e su chi ha torto. Su chi avrebbe il diritto di difesa e su chi ha iniziato per primo o, più semplicemente, su ha ricominciato quel brutto e sporco gioco conosciuto con il termine di ‘Guerra’.

La striscia di Gaza, all’indomani della fine del Secondo Conflitto Mondiale, ha sempre rappresentato il vero tallone d’Achille. In ottanta lunghi anni di pace nessuno è mai riuscito a trovare, in via definitiva, una situazione che potesse quantomeno mettere d’accordo i due popoli innocenti, si, perché si tratta proprio di questo, che pagano le scelte scellerate di chi aveva l’obbligo di non permettere che si arrivasse a tal punto: la stessa Comunità Internazionale.

È dal lontano 1948 che quel territorio, quella linea che divide gli israeliani ed i palestinesi, è una bomba pronta ad esplodere in qualsiasi momento. È risaputo che gli israeliani sono sotto la protezione degli Stati Uniti d’America; mentre i palestinesi sono un po’ lasciati a sé stessi rappresentati, si fa per dire ed in maniera soprattutto controproducente da Hamas. Quest’ultima è un’organizzazione terroristica il cui nome è un acronimo che corrisponde ad Harakat Al-Muqawama al-Islamiyya. Tradotto nella nostra lingua significa: Movimento Islamista di Resistenza.

Il punto, però, è ancora un altro e, a sua volta, per poter cercare di spiegare nel miglior modo possibile questa situazione intricatissima e, allo stesso tempo, drammatica dove a pagar le peggior conseguenze sono sempre gli innocenti: donne e bambini, tanto per essere nudi e crudi nell’esposizione della tematica, dovremmo tornare indietro nel tempo e non quando si cerca di ripartire dalla data, apparentemente principale; quella del 1948.

No, bisogna tornare ancora di più indietro nel tempo. Ovvero al tempo degli antichi egizi e al tempo dei romani; forse, molto probabilmente, solo in questo modo si riesce a comprendere cosa veramente sia successo e perché, in oltre duemila anni di storia, le cose sono andate così storte.

Chiaramente, da parte nostra e come sempre, senza prendere le parti dell’una e dell’altra, senza accusare nessuno, semmai il cercare di comprendere del perché di alcune scelte, di alcune soluzione che si sono rivelate scellerate. Però ci teniamo anche a specificare un dettaglio che riguarda questo appuntamento: non sarà molto lungo, non tanto perché non abbiamo nulla da dire, anzi al contrario, e non è neanche perché non vogliamo dire tutto. Semmai, proprio per questo motivo che sembra insignificante, ci teniamo ad andare per gradi. Ci teniamo ad analizzare ogni singolo aspetto della vicenda anche con semplici speciali o mini-speciali come in questo caso. Proprio come quello che sta per essere inaugurato proprio oggi. Perché, nella sostanza, la disputa tra Israele e Palestina non è mai stata semplice.

Non è mai semplice anche per un altro motivo non tanto superficiale e già affrontato in tempi non sospetti con la rubrica ‘Parole Schiette’. Un motivo che ci permette di ricollegarci a quanto detto all’inizio di questo articolo, all’inizio di questa prima parte: si può essere dalla parte di uno o di un altro? E soprattutto è possibile trasformare una crisi internazionale, di difficile risoluzione, e portarla ad un classico livello da tifo da stadio?

In fondo lo avevamo detto anche più di qualche mese fa: Israeliani e Palestinesi non sono squadre di calcio o di qualsiasi altra squadra sportiva, no. Palestinesi e Israeliani sono popoli che hanno un problema che si trascinano da tempo, per non dire da secoli, anzi no, sarebbe meglio dire da millenni.

Questa diatriba, questa controversia territoriale, però, esplode qualche anno più tardi alla fine del secondo conflitto mondiale, tre anni più tardi, esattamente, nel 1948. Da lì in poi avvengono, in successione, una serie di errori per cercare di decidere, di trovare comunque una soluzione, che possa spegnere, sul nascere, un incendio che ancora oggi è difficile da domare.

Un incendio che, per qualcuno, doveva essere spento in modo diverso da è suddivisa la striscia di Gaza. Per qualcuno, ad essere proprietari di quel territorio, per intero, sarebbero solo ed esclusivamente, gli stessi palestinesi, popolo nomade che, ad un certo punto della sua storia, legittimamente decise di stabilirsi in un punto ben preciso in quell’area senza più spostarsi.

Dall’altro lato invece si sostiene che quei territori, originariamente erano degli stessi israeliani lasciati a causa per motivi storici. Motivi storici che sono riconducibili alle persecuzioni inflitte al popolo ebreo mosse da parte degli egiziani, prima, e da parte dell’Impero Romano, a seguire. Sempre per qualcuno, il racconto storico può sembrare un po’ troppo superficiale. Ma la verità è che sussiste un ulteriore altro motivo ben più pesante che sta emergendo in questo lungo anno di guerra in Medioriente.

Sempre per qualcuno ciò che è accaduto il 7 ottobre, in verità, non esiste. Hamas non ha attaccato Israele compiendo una strage, non sarebbe penetrato nel territorio nemico uccidendo, comunque, gente innocente e prendendo ostaggi. Quello che si vuol vedere, d’altronde anche logico e non può essere altrimenti, è la risposta che lo stesso Netanyahu ha messo in pratica contro l’organizzazione terroristica nata nel 1987 non è proporzionale.

Lo stesso leader israeliano ha provocato un numero spropositato di morti rispetto a quello che si è registrato entro i suoi stessi confini uccidendo non i terroristi, o almeno per la maggior parte, no. Donne e bambini o comunque vittime innocenti che, con la stessa organizzazione terroristica non ha nulla a che fare.

D’altronde è anche naturale l’indignazione della stessa comunità internazionale per la risposta che lo stesso Netanyahu sta operando in quella porzione di territorio ma si sta perdendo di vista, ancora, un altro dettaglio e che tutti, stranamente, stanno prendendo sottogamba o quantomeno fanno finta di non affrontarlo in tutti i sensi.

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