Considerazioni su un movimento che nacque nel contesto di un gruppo che si riconobbe in una rivista
A differenza della dimensione ‘teosofica’ che non riesce ad intaccare la insondabilità del ‘mistero’, pur dimostrando, secondo Schoenmaekers, la circoscrivibilità delle sue caratterizzazioni grazie all’abbrivio logico-matematico, ‘De Stijl’ tenta di dimostrare la validità dell’indagine analitica come strumento di ingresso nelle spire stesse del ‘mistero’ che, penetrato nelle sue articolazioni, smette di essere ‘mistero’ e si trasforma in ‘proble ma’, complesso quanto si vuole, ma non pregiudizialmente irrisolvibile.
‘De Stijl’, per certi aspetti, accompagna l’evoluzione di pensiero che sarà propria della posizione ‘esistenzialistica’ che Gabriel Marcel sviluppa organicamente in Essere e avere pubblicato nel 1935, ove viene affrontato con lucida determinazione intellettuale il tema della dirimente tra mistero e problema.
Appare chiaro, a questo punto, come, lungo tale gradiente, trovi giustificazione piena, peraltro, il netto divario tra la posizione kandinskijana di ‘Astrattismo-lirico’ e quella mondrianiana nettamente ‘astratto-geome trica’, mostrandosi evidente come la pur comune riconducibilità ad una sensibilità ‘teosofica’ abbia portato, però, ad esiti profondamente diversi nei due artisti, lasciando, in fondo, sempre viva in Kandinskij un’istanza mistico-religiosa (si considerino le sue riflessioni contenute ne Lo Spirituale nell’arte) che non avrebbe mai potuto consentire all’artista russo il ‘salto di qualità’ nella astrazione vera e propria, anche quando il contatto con ‘Bauhaus’ gli avrebbe dovuto suggerire l’abbandono definitivo delle sue posizioni liriche a vantaggio di una scelta asciuttamente geometrica, cui egli certamente si dirige nel periodo degli anni ‘20-‘30, ma in termini ben poco convinti e, comunque, portando, anche in questa fase evolutiva della sua creatività artistica, ancora imprimenti le tracce di una visione ‘lirica’ e non propriamente ‘analitica’2.
Con gli opportuni aggiustamenti critici e storiografici, tutto ciò può valere anche per altri esponenti della proposta astrattista di ambito sostan zialmente lirico: pensiamo almeno a Paul Klee.
In una prospettiva storica più ampia e tenendo conto della processualità creativa delle ‘Avanguardie’ del primo ‘900, occorre, inoltre, aver con- to del fatto che il processo di riconduzione delle immagini delle cose ad una consistenza ‘matematica’ trovava sviluppo non solo nella temperie ‘astrattista’, ma anche nella pratica ‘cubista’ che, muovendo da Cézanne, introduceva il tema della ‘scomposizione’ dell’oggetto, disarticolando la consistenza di questo in solidi geometrici come il cilindro, il prisma, il cubo ecc.
Appare evidente che la prospettiva cubista, cui Mondrian stesso, nel suo periodo parigino, ed entro i primissimi anni ‘10, si accosta con interesse, non può, però, essere la chiave risolutiva del problema dell’individuazione della ragione intima e fondante della consistenza fenomenica: il Cubismo, infatti, non muove alla penetrazione delle cose, ma si limita a scomporne la facies nelle sue strutture, lasciando assolutamente inesplorata – e comunque fuori dai suoi interessi – l’essenza intima della realtà empirica.
La ‘scomposizione’ nei componenti poliedrici, insomma, non è la stessa cosa dell’’analisi’ geometrica del reale fenomenico. Possono essere prese in considerazione, in proposito, alcune opere che Mondrian produce all’esordio del decennio degli anni ’10, come due Na- ture morte, rispettivamente dell’‘11 e del ‘13, in cui appare evidente il ri corso ad una logica ‘scompositiva’ e non ancora ‘analitica’ e, non meno, la referenza alla realtà fenomenica che appare decisamente più pronunciata nella Natura morta dell’‘11.
Solo una ricerca di sempre più addentrata sintesi rastremativa del segno e di revirement dell’orientamento ‘scompositivo’ in un diverso sentire ‘analitico’ consiglierà all’artista la necessità di abbandonare la corposità volumetrica dei Cubisti, in premio di una essenzialità planare che si avvia a prodursi verso la soluzione più matura e compiuta che l’artista svilupperà confinando l’armamentario compositivo entro pochissimi elementi di base: le linee orizzontali e verticali che definiscono piani rigorosamente quadrangolari, i tre colori primari e il bianco e il nero.
Si potrà osservare la processualità incrementativa del suo approfondi- mento di ricerca, considerando le ‘differenze’, che si scalano tra Composi- zione A, del 1917 e Composizione in Giallo Rosso e Blu del 1922.
L’incontro delle sensibilità intellettuali di quelli che saranno i fondatori di ‘De Stijl’ con il pensiero di Schoenmakers, come può ben intuirsi, era nell’ordine logico delle cose e, pertanto, la visione ‘matematica’ del filo- sofo e la sua prospettiva di un orientamento ‘linearistico’ nella sua ricerca di fattori primari del pensiero – e della realtà stessa, quindi, delle manife stazioni epifenomeniche della vita – non possono non entrare in contatto peraltro nel ristretto ambito delle relazioni che si rendono praticabili in Olanda in questo scorcio d’anni del decennio dei ‘10 – con le elaborazioni concettuali cui si apre la riflessione astrattista, nella fase ‘premonitiva’ della fondazione di ‘De Stijl’.
Sulla scorta di ciò, e della considerazione, quindi, del rilievo che viene assumendo questo ‘clima’ culturale che si afferma tra primo e secondo decennio del ‘900, possiamo considerare come van Doesburg, in parti- colare, provveda ad animare una concezione dell’arte in cui l’abbrivio creativo sia dato dal progetto stesso dell’opera, un progetto ‘sistematica- mente’ pensato – e, quindi, sostanzialmente razionale – che sappia essere portatore di una ‘visione del mondo’ che, per rendersi comprensibile e convincente non può che fare appello alla ragione, sviluppandosi, necessariamente, secondo un ordinamento geometrico.
Ecco perché, in punto di valutazione critico-storiografica del processo che si mette in moto grazie all’azione appassionata innanzitutto di van Doesburg, si rende necessario ribadire che ciò che definisce propriamente una Weltanschauung (e, cioè, una ‘visione del mondo’) si propone, nel caso di ‘De Stijl’, come necessità di una nieuwe werelbeld (una ‘nuova immagine del mondo’), avendo conto di fissare un concetto fondamentale: che ‘nuova immagine del mondo’ non significa un nuovo modo di fornirne una rappresentazione mimetica, quanto, piuttosto, un atteggiamento intellettuale che deve darsi di fronte alla fenomenologia del reale per conferire ‘oggettività epistemica’ alla ‘consistenza oggettuale’ delle cose.
A questo punto, il presupposto ‘teosofico’ registra un arretramento vistoso e ne rimane in piedi la sola consistenza esigenziale di dirigersi alla individuazione del modo pensabile di darsi di quel processo unificatore di ciò che gli antichi avevano definito come ‘semi delle cose’, le omeomerie, ad esempio che distinguono la concezione filosofica di Anassagora.