I 60 anni di Per un pugno di dollari e i 40 anni di C’era una volta in America
Inizialmente gli speciali dovevano essere due, uno per ogni film; uno per ogni lungometraggio che ha scritto pagine di storia del cinema. Attenzione, però, non pagine di storia del cinema americano e neanche quelle del cinema italiano, solamente della settima arte in generale. Erano due le date, una saltata di proposito per collegarla a quella che sta per arrivare, che sta per giungere proprio in questa settimana. Un’operazione, forse, mai riuscita dallo stesso FreeTopix Magazine. In un solo reportage celebrare due film non è particolarmente semplice, soprattutto se quelle due opere cinematografiche sono state firmate, a distanza di venti anni l’uno dell’altro, dallo stesso regista e che regista, aggiungiamo noi: Sergio Leone.
È come una sorta di cerchio che si chiude, guarda caso, nel mese di settembre: il 12, appunto già passato, e il prossimo 28 di questo mese. Due giorni nello stesso mese ma a distanza di venti anni l’uno dell’altro. Un sessantesimo e quarantesimo anniversario che era impossibile non considerare, un duplice anniversario da celebrare in tutta la sua grandezza, soprattutto grazie allo stesso regista che ha regalato, con la sua visione e prospettiva, immenso lustro al cinema nostrano, impreziosendo le sue storie facendosi accompagnare da un compositore di rarissimo talento e riuscendo ad ingaggiare nomi altisonanti del cinema mondiale.
Per un pugno di dollari, del 1964, e C’era una volta l’America, del 1984. Due capolavori, due film, uno piccolo e l’altro grande, che hanno segnato e conquistato l’immaginario collettivo di generazioni e generazioni di persone; con musiche che hanno fatto epoca e con attori, Clint Eastwood e Robert De Niro che hanno preso parte, per quello che ha fatto lo stesso regista italiano, a due differenti omaggi non solo relativi al loro cinema ma alla loro stessa nazione in generale.
Come tutti, del resto, Sergio Leone è cresciuto con i film americani, con il cinema americano. È cresciuto con quell’immagine dell’eroe avventuriero, temerario e senza paura che, nella realtà, lo aveva visto trionfare durante il secondo conflitto mondiale, ai danni dei regimi fascisti e nazisti. Le opere cinematografiche con le quali si era formato, oltre ad effettuare la classica gavetta, erano tutte giunte da noi con notevole ritardo, visto il regime fascista non permetteva l’approdo, sul nostro schermo, dei primi capolavori prodotti oltreoceano. Il suo regista preferito, da quello che poi era emerso, era John Ford, l’autore di Ombre Rosse, film del 1939 interpretato dal leggendario John Wayne.
Figlio d’arte, Sergio Leone ha sempre respirato l’atmosfera del cinema grazie ai suoi genitori: Vincenzo Leone e Bice Waleran, rispettivamente regista e attrice del cinema muto. Il padre, come ricordammo in un altro speciale interamente dedicato a Sergio Leone, ebbe non pochi problemi con il regime che si era instaurato in Italia tant’è vero che per firmare le sue opere dovette usare uno pseudonimo: Roberto Roberti. Vi dice qualcosa? Non vi preoccupate, ci arriveremo più avanti.
Dunque, se il cinema era comunque di casa e se era cresciuto con i miti americani, rappresentati soprattutto da cowboy e gangster era naturale che in seguito avrebbe ideato quel tipo di storie o quantomeno avesse varcato, con la fantasia, i confini della propria nazione per entrare nel territorio sconfinato che si trova oltreoceano.
Eppure, dopo una lunga gavetta, dopo un lungo apprendistato svoltosi non solo sotto a suo padre ma anche con registi attori del calibro di Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, William Wyler. Di quest’ultimo divenne il regista della seconda unità durante le riprese del film storico ‘Ben Hur’, in modo particolare le riprese della famosa scena delle bighe è opera sua e già si notava il talento e la lungimiranza nelle inquadrature.
Quando realizzò quella scena entrata nella storia del cinema era l’anno 1959, mancavano solamente due anni al suo esordio assoluto e ufficiale come regista per un film tutto suo. contrariamente a quanto si potrebbe pensare ‘Il Colosso di Rodi’, nota opera cinematografica di genere peplum del 1961 è realmente il suo primo film. E’ vero, tutti quanti lo accostano ad un altro tipo di genere ben più famoso e ben più leggendario, ma la vicenda della famosa statua è di fatto il suo vero esordio abbastanza buono; ottenne un discreto successo. Tre anni più tardi, Sergio Leone, entra non solo nella storia del cinema, semmai nella leggenda anche di sé stesso.
Ci riesce per un semplice motivo. Cresciuto a pane e western, come si usa dire, decide di realizzarlo uno tutto suo. ovviamente gli serve un’idea, quella giusta possibilmente. L’occasione gli arriva quando gli segnalano un film, giapponese per giunta. La trama è molto semplice, seppur contiene dei forti risvolti politici e sociali.
Lo schema è semplice: uno straniero giunge in un piccolo villaggio e lo libera dalle due famiglie che si danno battaglia per il territorio. Fin qui nulla di eccezionale, nulla di eclatante. La sua operazione, molto probabilmente, potrebbe essere vista come la realizzazione di un remake e nulla di più. invece no, fu davvero molto di più. non sappiamo, a distanza di lunghi sessanta anni, quanto lui fosse consapevole di quello che stava per realizzare. Ma dai racconti dei suoi colleghi, dei suoi collaboratori Sergio Leone era consapevole di quello che voleva e che tipo di film avrebbe realizzato.
Avrebbe realizzato, pari pari, una copia del film nipponico, che si intitolava titolo ‘La sfida del Samurai’, diretto dal grande Akira Kurosawa. Attenzione, però, Kurosawa conquistò il Giappone nel 1961, Sergio Leone conquistò non solo l’Italia ma a poco a poco anche gli Stati Uniti d’America a partire dal 12 settembre del 1964. La sua trama era, come detto, identica. Se però in Akira Kurosawa l’eroe di turno era, appunto, un samurai, con Sergio Leone il personaggio principale era, comprensibilmente, un pistolero.
La storia venne trasportata dalle zone rurali del Sol Levante alle immense praterie di una cittadina completamente deserta e comandata da due bande rivali di cowboy. Per il ruolo del cowboy, Leone pensò, in un primo momento ad Henry Fonda. Quest’ultimo non lesse neanche il copione a causa del suo manager che scrisse un telegramma con scritto: non lo avrebbe neanche letto. Alla fine, dovette rimediare su altri due attori già affermati, ma la storia racconta altro.