Considerazioni su un movimento che nacque nel contesto di un gruppo che si riconobbe in una rivista
Theo van Doesburg è stato il creatore di ‘De Stijl’, ciò che abbiamo inteso definire un movimento che nacque nel contesto di un gruppo che si riconobbe in una rivista.
‘De Stijl’ è, infatti, il titolo di una rivista che nasce nel 1917, fondata e promossa da Theo van Doesburg ed accompagnata, nel suo processo di avvio, dalla appassionata convinzione dei pittori Piet Mondrian, Vilmos Huszar, dell’architetto J.J.P. Oud e del poeta A. Kok, cui danno man forte durante il primo anno di pubblicazione i pittori Bart van der Leck e Gino Severini, gli architetti Jan Wils e Robert van’t Hoff e lo scultore Georges Vantongerloo.
Non è un’invenzione estemporanea, ‘De Stijl’, ed è, piuttosto, il frutto maturo di una complessa gestazione intellettuale che trova il suo avvio almeno tre anni prima, quando, nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, un buon numero di intellettuali e artisti europei si rifugia in Olanda, favorendo la produzione di un clima culturale particolarmente fecondo.
Van Doesburg è un artista, ed è – forse, soprattutto – un intellettuale, una personalità dall’intelligenza vivacissima e brillante che avverte tutto il peso della insopportabile invadenza della temperie ‘simbolistica’, che, a muovere dalle scaturigini dello ‘Jugend’, giunge, tra chiusura dell’’800 e primo ‘900, alla straripante euforia delle varie declinazioni che assume, variamente in Europa, il contesto fin-de-siècle cui si accompagna il corteo dell’’Art Nouveau’, del ‘Floreale’, del ‘Liberty’, del ‘Déco’.
Il ‘Simbolismo’ fa leva sullo Spiritualismo e lo Spiritualismo, in questo periodo non significa le ragioni morali o l’apertura della riflessione sulla ‘Dottrina sociale’ della Chiesa inaugurata nel 1891 con l’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, ma significa, principalmente, una visione miste riosa ed iniziatica attraverso la quale la coscienza s’abbandona ai miti ed alle speculazioni più disparate ed assurde.
Lo Spiritualismo, vissuto, forse, soprattutto secondo una cadenza ‘te- osofica’1, secondo quanto dimostrano autori come lo stesso Kandinskij, si svolge, nel mondo delle arti figurative, seguendo spericolate derive visio- narie che trovano variamente sponda nell’opera di Moreau come di Boecklin o di Redon, personalità che sembra vogliano ripercorrere le strade battute, nel tempo, da artisti come Blake, Füssli, Turner e, più indietro, Bosch, Giorgione, El Greco, Brueghel, Roviale Spagnolo, Salvator Rosa, François de Nomé, Didier Barra ecc., che hanno inteso riferire, nella loro opera creativa, di un mondo inaccessibile e sulfureo, fornendone una pro spettiva destinata ad una lettura ‘scalare’, tale, insomma, da poter consen tire l’accesso ai penetralia contenutistici solo a quanti avessero le chiavi giuste per decrittare i codici iniziatici.
Agli altri, invece, a tutti gli altri, la sola visione superficiale ed epider mica di un mondo allusivo e nebbioso. Di queste cose Theo van Doesburg sembra essere perfettamente avvertito e intende, perciò, dar vita ad una riformulazione della Weltanschauung artistica nel suo complesso, introducendo una possibilità valutativa dell’arte come ‘diversa’ via d’approccio ad una lettura del mondo, proponendo in qualche modo, attraverso il segno creativo, l’accreditamento di un abbrivio epistemologico fin qui sostanzialmente inusitato.
Per van Doesburg tale ‘visione del mondo’, nel costituirsi come prospettiva di intelaiatura filosofica entro cui poter dar corpo ad un affaccio sulla consistenza ‘oggettiva’ della realtà ‘oggettuale’ deve poter segnare, quindi, la definizione di una ‘nuova immagine del mondo’ (Het nieuwe werelbeld), una immagine che si propone, come meglio osserveremo in seguito, sostanzialmente ‘antinaturale’.
Tutto ciò impone, necessariamente, l’abbandono di qualsiasi scadi- mento ‘simbolistico’, proponendo per la ricerca artistica un obiettivo più avanzato, quello, in particolare, di farsi portatrice di un suggerimento di interpretazione del mondo.
Può bastare, a tal fine, la sola capacità ‘intuitiva’ dell’arte?
Sappiamo che nella visione idealistica – già in quella hegeliana e non meno in quella neoidealistica crociana – l’arte rimane in una condizione di auroralità intuitiva, quasi una sorta di prepensiero. Van Doesburg mostra di essere insoddisfatto di ciò e individua la possibilità, per l’arte, di proporsi come prospettiva epistemologica, guadagnando, in tal modo, alla creatività artistica non tanto la capacità di una lettura scientifica della consistenza oggettuale delle cose, ma di una visione complessiva delle loro ragioni più interne.
Parafrasando Spinoza, si potrebbe dire una pictura more geometrico ‘demonstrante’ e non demonstrata, l’arte, cioè, che non va alla ricerca di una legittimazione geometrica della sua funzione (questo, in fondo, l’ave- va già fatto la perspectiva rinascimentale pierfrancescana o masaccesca) ma che si propone di utilizzare la geometria per ‘leggere’, more geometri- co il mondo della realtà fenomenica e per procedere a dettarne un nuovo statuto conducendo una battaglia di netta contrapposizione alle forze della natura.
Si affacciano, intanto, all’orizzonte anche altre posizioni di pensiero che si propongono attigue o collaterali alle considerazioni che va sviluppando van Doesburg: la prospettiva di Schoenmaekers, ad esempio, che discute sul tema di un ‘misticismo positivo’, leggibile in chiave ‘teosofica’, avendo conto della dinamica degli ‘opposti’, costruisce una possi- bilità di lettura della dimensione del mistero, senza però pretendere di disarticolare la consistenza profonda del mistero stesso.
Essa, perciò, può essere considerata un ottimo préalable delle dina- miche di ‘De Stijl’, una fertilissima anticipazione premonitiva, ma non ancora lo sviluppo di una processualità consapevole ed organica.
In sostanza, secondo Schoenmaekers, la messa in evidenza del ruolo della matematica dovrebbe poter consentire una opportunità d’accostamento alla inaccessibilità del mistero indipendentemente dal possesso di chiavi iniziatiche, permettendo, in tal modo di offrire alla libertà speculativa un dispiegamento più ampio.
Ciò spiega il motivo per cui potevano crearsi delle valide ragioni di contatto tra questa filosofia (sostanzialmente asistematica) e la ricerca artistica del gruppo che veniva formandosi, capeggiato da van Doesburg e Mondrian, che muoveva, invece, alla ricerca di una ragione intima delle cose e che tale ragione individuava nelle relazioni matematiche e, quindi, nella messa a fuoco di un sostrato logico che potesse costituirsi in motivo essenziale e soggiacente della realtà fenomenica.
Ciò pone in evidenza il tema di riflessione del processo di discostamento, nei fatti, forse addirittura più che nelle intenzioni stesse, delle posizioni astrattiste messe in campo da ‘De Stijl’, rispetto alle cadenze ‘teosofiche’ che appartengono alla temperie post-spiritualista degli anni d’esordio del ‘900.
CONTINUA MERCOLEDI’ PROSSIMO…