L’America tra il dibattito di questa notte e il 23° anniversario dell’11 settembre 2001

11 settembre 2024. È il giorno del 23° anniversario all’attacco al World Trade Center e al Pentagono e nel dibattito presidenziale che si è tenuto poche ore fa, di questa ricorrenza, non c’è stata nessuna parola. Molto probabilmente è stata anche la scelta giusta, cavalcare la tragedia, d’ambo i lati, non si sarebbe rivelata una buona idea. così i temi, tra Kamala Harris e Donald Trump, sono stati l’economia, il razzismo, le armi, l’immigrazione, la questione mediorientale, la guerra in Ucraina, l’aborto e ma soprattutto si è ritornato a parlare o, quantomeno, di menzionare una parola in particolare che lo stesso Tycoon, durante le primarie del 2016, pronunciò spiazzando i suoi avversari più qualificati: sogno.

Una parola pronunciata, questa volta e al plurale, da Kamala Harris. Sarà lei il nuovo Presidente degli Stati Uniti, la notte del 5 novembre o Donald Trump rientrerà nuovamente alla Casa Bianca per un secondo mandato? Per adesso non importa rivelare la nostra sensazione, ciò che è rilevante ai fini del dovere di cronaca è quello di commentare com’è si è svolto il dibattito e, non meno rilevante, come sono andati i due candidati alla Presidenza.

I dossier sui quali dovevano misurarsi, convincendo gli americani a farsi votare a novembre erano davvero spinosi, trattati con toni abbastanza duri, senza ricordare il pessimo spettacolo offerto dai dibattiti del 2020. Le accuse, comunque, come normale che fosse, non sono mancate. Trump accusava e Kamala rispondeva riuscendo, in maniera anche spiazzante, a mettere sulla difensiva lo stesso Tycoon in alcuni punti.

È pur vero che la Harris non è riuscita ad essere convincente sull’economia. Trump si è ripetuto molte volte sull’immigrazione anche quando la questione medesima non era oggetto di analisi nel momento giusto. Dal canto suo, però, il Tycoon è sembrato più sicuro sulla sicurezza, rinfacciando alla Harris gli errori commessi dai democratici su come hanno gestito le grandi città ma, ripetiamo, è poi scaduto sulla stessa immigrazione diventando pedante sul problema dei confini, soffermandosi su particolari molto strani.

Raccontando, per esempio, che gli immigrati, nelle piccole città, rubano gli animali domestici per poi mangiarli. Avrebbe più volte etichettato la sua avversaria come Biden per non dire anche peggio dell’attuale Presidente degli Stati Uniti. Kamala, in tale frangente è riuscita a difendersi, è riuscita ad essere credibile quando si è definita una leader di nuova generazione, prendendo così le distanze dal suo predecessore, senza però risultare di essere irriconoscente.

È stata convincente sul tema dell’aborto. È stata convincente quando ha iniziato a capire quale sarebbe stata la vera tattica del Tycoon: ovvero quella di cadere sempre nella trappola delle accuse, spostando l’attenzione su cosa veramente i cittadini americani vogliono. Proprio in questi momenti Kamala Harris è apparsa non solo istituzionale, ma presidenziale; cercando di parlare a nome non solo dei suoi elettori democratici ma anche di coloro che, forse e sicuramente come prevedono le regole di una democrazia forte e in salute, non la voteranno.

Non si è tirata indietro sulla spinosa questione mediorientale, sostenendo che Israele ha il diritto di difendersi senza però essere cieca su quello che lo stesso Netanyahu ha provocato con i bombardamenti a tappeto, uccidendo soprattutto vittime innocenti. Ha persino sostenuto la soluzione dei due Stati, in cui entrambi i popoli, quindi anche quello palestinese, avrebbero diritto di difendersi; senza dimenticare di precisare che anche Gaza sarà ricostruita.

Donald Trump, dal canto suo proprio su questo tema, ha commesso un errore madornale. Una dimenticanza grave: ovvero quella di non ricordare i famosi accordi di Abramo che vennero firmati proprio durante la sua presidenza. Non ha risposto su una domanda precisa di uno dei due mediatori della serata, ossia se l’Ucraina merita di essere libera alla fine della guerra. Trump avrebbe tergiversato, puntando sull’accordo di pace, senza specificare in che modo si sarebbe definito, sostenendo, peraltro, che semmai ci fosse stato lui alla Casa Bianca, Putin non avrebbe sparato un colpo contro il popolo ucraino.

Altra questione di fondamentale importanza, per non dire spinosissima, è rappresentata dalla circolazione delle armi. Il tycoon ha accusato i democratici di avere l’intenzione di eliminare il diritto alla difesa del cittadino medio americano. Mentre la stessa Kamala Harris ha sostenuto non è questa la sua vera priorità della sua presidenza, senza però specificare quale sarebbe stata la soluzione adottata da lei.

In sostanza, in base anche all’andamento stesso del dibattito, è che la sensazione che si è avuta riguarda il fatto che tutti i temi non sono stati approfonditi nella loro essenza. È pur vero che non si era visto lo spettacolo osceno di quattro anni fa, ma le accuse che sono volate l’uno verso l’altro hanno impedito che alcuni temi venissero meglio affrontati.

Altra sensazione è stata quella di un Trump che ad un certo punto è cascato nel proprio nervosismo, uscendo con frasi ripetitive e alle volte sconnesse. Kamala Harris, invece, dal canto è partita in sordina, è partita intimidita, quasi, per poi uscire fuori dal proprio guscio, lasciando parlare il più del dovuto il proprio avversario in un momento ben preciso.

Questo modo di fare potrebbe essere controproducente, la verità è che l’ex procuratrice aveva intuito che Trump si era intrappolato con le sue stesse farneticazioni. Molte volte, la Harris, ha anche sostenuto di non voler più tornare indietro, ma di guardare avanti; di preoccuparsi dei sogni degli americani e cosa a loro stava a cuore.

Forse ci sarebbe un errore che la candidata per il Partito Democratico avrebbe commesso, non si sa quanto voluto: era troppo plateale con le espressioni del viso, mostrate su alcune parole di Donald Trump; in certi momenti era quasi teatrale. Per un dibattito televisivo potrebbe risultare dannoso.

Nonostante tutto Kamala Harris, al suo vero esordio dopo la convention di Chicago di qualche settimana fa, avrebbe retto l’urto contro Trump. Per alcuni il dibattito sarebbe finito in parità, per altri avrebbe vinto direttamente lei. La realtà è che entrambi sono stati convincenti su determinati punti, cercando di superarsi a vicenda. L’unica cosa che ci sarebbe da capire è se ci saranno gli altri due dibattiti annunciati in un primo momento prima del 5 novembre prossimo.

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