L’album, uscito nel 2002, venne completamente ispirato dalla tragedia dell’11 settembre 2001

Con la sesta traccia apriamo questa seconda ed ultima parte di questo contemporaneo appuntamento con ‘Retrospettiva in musica’. Empty sky, ‘Cielo vuoto’ in italiano. Ed è un titolo che dice tutto e che per molti versi non avrebbe neanche bisogno di ulteriori spiegazioni. Ciò non toglie che qualche parola deve per forza spesa per affermare che questo singolo è una canzone contro la guerra.

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La mancanza del proprio partner o comunque di una persona non può essere colmata con nessuna guerra. Nessun conflitto ha il potere di far ritornare indietro chi non c’è più, anche se fosse il motivo principale. Un testo dalle parole semplici e dirette, in cui la tragedia, personale di tutti quelli che persero qualcuno in quel giorno maledetto, si somma al dramma della guerra.

Anche ‘World Apart’, settima traccia del disco non scherza. Il suo significato è ancor più pregnante e poetico, per dire contemplativo. Composta da un ritornello che si ripete in continuazione e tre strofe in cui parla di due mondi diversi, ma che in realtà si appartengono, e che molto probabilmente hanno subito le stesse cicatrici.

Di altro tenore sono le successive due tracce del disco: Let’s be friend e Further On, entrambe, all’epoca volevano essere moderne. Ma lo stesso Bruce Springsteen non riuscì in quest’impresa, venendo un po’ tartassato dalla critica. A parte questo le tracce numero 8 e 9 sono, di fatto, le meno convincenti e poco attrattive di quella raccolta d’inediti anche, più per l’ottava, c’è sempre il tentativo di veicolare il messaggio di unione fra popoli evitando ogni possibile contrasto.

Con la traccia numero dieci invece, intitolata ‘The Fuse’, il Boss ostenta una perfetta descrizione della tragedia dell’11 settembre. Infatti, nel testo vengono indicati bandiere a mezz’asta, cortei funebri, credenti ai piedi della Croce ed una lunga scia di sangue che sorge in un cielo offuscato da nera polvere di morte. Ancora: stridore di gomme sull’asfalto, una minaccia sibila nell’aria come elettricità, il diavolo è all’orizzonte, per poi proseguire.

Con la traccia numero 11 si entra in una nuova fase del disco, quella in cui l’elaborazione del lutto è ancora evidente ma, il cantante stesso, sembra dire riprendiamo a vivere. È proprio da questo presupposto che poggia le basi sia il testo che la musica della bella ballata, molto country, spensierata e allegra dal titolo: Mary’s Place. Mary, personaggio fittizio, ha una casa dove tutti sono invitati per riunirsi e trascorrere dei momenti felici, superando quello che è successo.

Di altro tono è la traccia successiva, la numero 12, dal titolo che dice tutto e di cui non ci sarebbe bisogno di ulteriori spiegazioni: You’re missing, tradotto in italiano ‘Tu manchi’. Seppur il protagonista è uno solo, in verità il testo della canzone fa riferimento a tutti quei pompieri che non uscirono vivi dalla Torri Gemelle e che mancano ai loro affetti più cari.

Saltiamo un numero e andiamo direttamente al singolo numero 14, Paradise. Una canzone forte, con un testo molto forte e che all’epoca ha fatto molto discutere: si racconta la prospettiva di uno dei terroristi prima di compiere un attentato. Un modo, non tanto ipocrita ma quanto realista e profondo nella sua semplicità, nel non far perdere la ragione anche a chi è stato attaccato; per non reagire alla stessa e identica maniera dei terroristi medesimi.

Sarebbe l’ultima traccia, ma noi l’analizziamo come la penultima. Ufficialmente la prima volta che venne eseguita fu, guarda caso, pochi mesi prima degli attentati. Il testo era dedicato ad Asbury Park, una città del New Jersey che non si era più ripresa dagli effetti, addirittura, della Grande Depressione.

Il titolo del brano era ‘My city of ruins’. Dopo l’11 settembre del 2001, la stessa canzone assunse una diversa connotazione; soprattutto grazie all’implorazione finale insita già originariamente nel testo: Come on rise up! Come on rise up! Rise Up.

Si dice che il numero 13 negli Stati Uniti d’America equivale al nostro 17, la disgrazia. Mettiamoci, anche, che la traccia che presta il nome al disco è, di fatto, la tredicesima di cui ci dovremmo preoccupare. Questa volta no. Nessun pensiero o evento nefasto. Ma solo tanta positività nel celebrare la canzone ‘The Rising’. Questo il brano che avremmo dovuto analizzare per prima, racchiude il senso di tutte le altre dodici canzoni che compongono il disco.

In fondo lo dice anche il titolo stesso: ‘The Rising’, la riscossa. La riscossa, dunque, è quella relativa di una possibil ripresa dopo una botta tremenda, dopo una caduta, dopo un dramma avvenuto dopo una tragedia. Altre parole non ci sono per descrivere non solo il senso di questo brano, ma anche dell’intero dodicesimo lavoro di Bruce Springsteen il resto è solamente retorica ed ipocrisia.

The rising, dunque, fu un disco apprezzato dalla critica, seppur bacchettato su alcuni punti e per certi versi non fu una raccolta d’inediti qualsiasi; certo, l’occasione dell’11 settembre è stata molto ghiotta, non solo perché il Boss della musica mondiale ha potuto lanciare messaggi molto semplici, profondi e che toccano il cuore. Ma perché, nella sua essenza, con questo disco, ha cercato, riuscendoci anche, molto probabilmente, nel descrivere un lutto, un dolore che era tutto nazionale.

Non solo, The Rising ha rappresentato in grande stile, per non dire anche in pompa magna, il suo grande ritorno dopo anni di silenzio o comunque di pubblicazione relative solo a raccolte dei suoi più grandi successi. Era dal lontano 1996 che mancava una raccolta di inediti nelle classifiche e nei negozi di tutto il mondo. Forse qualcuno avrebbe potuto ipotizzare che si fosse ritirato; forse, come capita spesso ai grandi come lui che non ci sono ci sono momenti in cui le canzoni stesse servono a spronare, per poter reagire dopo le grandi batoste subite.

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